Quest’anno ho deciso di non scrivere il classico articolo in cui si ricorda, il 19 luglio, l’anniversario della strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il Giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, per dare spazio all’analisi linguistica della parola “coraggio”, diventato un termine molto usato tra gli aforismi, e i diversi pensieri, che lo ricordano. Mi è parso indicativo, e perché no curioso, notare che fu proprio una mediazione poetica siciliana a portare nella lingua italiana la parola “coraggio”. Un connubio perfetto quello di Paolo, palermitano e siciliano, e la parola coraggio.
L’etimologia della parola coraggio rimanda al provenzale coratge, francese ant. corage, che è il latino coratĭcum, der. di cor «cuore». C’è anche chi riconduce l’origine di coraggio a cor (cuore) habere (avere) o cor agere (agire col cuore). In ogni caso, al centro resta il riferimento al cuore. Pertanto, avere coraggio significa letteralmente avere cuore. Ora, la prima attestazione di “coraggio” risale alla metà del Duecento, scritta dalla mano di Bonagiunta da Lucca, poeta della scuola toscana. I poeti e i letterati, in quel periodo, padroneggiavano il provenzale.
Nel Duecento, ai tempi in cui Bonagiunta scriveva, la scuola siciliana e la scuola toscana erano i due centri letterari più importanti d’Italia, i più attivi nella creazione di quei modelli che avrebbero generato la lingua italiana. Bonagiunta ebbe un ruolo essenziale nella mediazione di alcuni tratti della poesia siciliana nella scuola toscana, fra cui spiccava la ricchezza di provenzalismi.
“La paura è normale che ci sia, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti.” questo affermava Paolo Borsellino. Quando leggiamo, scriviamo, condividiamo e ripetiamo le parole di Paolo Borsellino, non facciamo rivivere solo un concetto creato da chi ha sperimentato che cosa significa provare paura e ha deciso di abbandonarla per fare posto al suo coraggio in nome della giustizia e della verità, ma conserviamo quel concetto associandolo alla corte di Palermo, una delle più importanti e feconde che si ricordino del Duecento.
Paolo Borsellino possedeva la forza d’animo, la volontà necessaria e la conseguente capacità di affrontare situazioni pericolose, difficili, dolorose o imprevedibili. La persona coraggiosa ha un cuore ricco di energie, forte, determinato che diventa elemento propulsore di gesti, scelte e progetti pieni di vita, capaci di percorrere strade nuove con assoluta intraprendenza.
La figura del Giudice Borsellino genera in noi un forte senso di ammirazione, catalizza l’attenzione sul suo esempio, coinvolge e trascina. Il suo grande cuore è un modello per tutti e deve essere una luce, un faro, nella società odierna. Il coraggioso sa riflettere profondamente, soprattutto in situazioni di fragilità personali o sociali.
Può anche fare esperienza della paura, ma deve ritrovare il coraggio di fare delle scelte e di denunciare proprio come faceva Borsellino. Ecco l’essenza del coraggio: fare delle scelte senza cedere alla paura, denunciare prevedendo di dover pagare un prezzo, impegnarsi in prima persona, abbandonare opinioni o modi di vivere appiattiti sul compromesso e sul tornaconto.
Bisogna bandire dalla propria vita le tante parole che giustificano o alimentano alibi o pretese inconsistenti e nutrirsi di speranza. Una speranza ricca di coraggio che ci fa percorrere anche quelle strade che avevamo deciso di abbandonare, quando tutto sembrava ormai finito e spento.
Questo era Paolo un uomo che ha messo la sua vita a servizio dello Stato, dimostrando di avere senso civico, morale ed etico. Ha pagato a caro prezzo il suo coraggio: è stato ucciso dalla mafia! Ancora oggi, aspettiamo delle risposte a quelle domande avvolte in un silenzio assordante per tanto, tantissimo tempo.