Il coraggio è una commedia classica, tratta da un’opera teatrale di Augusto Novelli, rielaborata dallo stesso Totò, anche produttore di un film che non riscosse grande successo.
Domenico Paolella (Foggia, 1915 – Roma, 2002) è un regista che sopravvive alla caduta del fascismo; aveva cominciato come assistente di Carmine Gallone (Scipione l’Africano), debuttando a 24 anni con Gli ultimi della strada (1939), film insolito – anche se propagandistico – sugli scugnizzi napoletani. Autore di interessanti cortometraggi, corrispondente di guerra dal fronte sovietico, direttore del cinegiornale INCOM (1946 – 1951). Il suo nome resta legato alla commedia e ai film musicali, soprattutto a diversi lavori interpretati da Totò. Muore nel 2002, ma le sue ultime regie sono datate 1979: Gardenia, Belli e brutti ridono tutti, No, non è per gelosia (episodio di Tre sotto il lenzuolo, firmato Paolo Dominici). Negli anni Novanta lo ricordiamo soggettista e sceneggiatore di alcuni film di Aldo Lado, Stelvio Massi, Lamberto Bava e Sergio Sollima. Tra i suoi titoli migliori citiamo Le monache di Sant’Arcangelo (1972) Storia di una monaca di clausura (1973), che generano il tonaca-movie, anche se il suo era cinema storico di buon livello artistico. Molti film con protagonisti Maciste, Golia ed Ercole – il neo peplum italiano anni Sessanta – portano la sua firma.
Il coraggio è una commedia ben strutturata, dotata di una sceneggiatura elaborata e priva di pecche, ben fotografata, girata quasi completamente in interni (stabilimenti di Tirrenia – Pisorno) e montata con ritmi rapidi. Gino Cervi è il commendator Paoloni, salvatore del furbo Gennaro Vaccariello, caduto nelle acque del Tevere, che approfitta della situazione per farsi mantenere – insieme alla numerosa famiglia – dal benefattore. Molti equivoci da pochade. Bravissimo Cervi nel ruolo del burbero bonario, così come Totò è strepitoso nei panni del poveraccio che inventa giorno dopo giorno il modo per sopravvivere. L’attore è contenuto nei suoi eccessi da Paolella e da una vera e propria squadra di sceneggiatori. Limita le battute a doppio senso a uno scambio di frasi con Gianna Maria Canale (amante del commendatore), quando si finge un ricco argentino che la vorrebbe sposare: “Ma certo, mia cara, una Vaquerillos in più o una Vaquerillos in meno cosa vuoi che sia”. Non può mancare una storia d’amore molto anni Cinquanta come sottotrama della pellicola. Irene Galter e Gabriele Tinti (giovanissimi, il secondo sposerà Laura Gemser e diventerà un nome importante del cinema di genere) sono impegnati nel solito copione della giovane ereditiera che s’innamora del povero ma bello. Totò diventa grande amico di Gino Cervi, scoprendo una truffa ai suoi danni ordita da Leopoldo Triste (infido amministratore) e liberandolo dalla mantenuta (Canale) che toglieva molti denari alle casse aziendali. Ricordiamo tra le prime battute del film Gino Cervi affermare di essere residente in via Marcello Marchesi, uno degli sceneggiatori della pellicola.
Domenico Paolella era un regista abbastanza affermato, ma nonostante tutto Luigi Chiarini su Il contemporaneo (1956) scrisse che era “un giovane regista che si aggrappava a Totò per ottenere successo”, ma finiva per stroncare un film definendolo “scolorito e noioso”. La colpa che imputa Chiarini al regista è quella di aver usato un vecchio testo teatrale, già cavallo di battaglia di Petrolini, per fare soltanto farsa e non dire niente di nuovo. Paolo Mereghetti concede due stelle: “Specie di apologo surreale… l’originalità del presupposto si sfilaccia ben presto in una specie di predicozzo moralista… indimenticabile l’imitazione del cardinale fatta al telefono con l’imbuto”. Morando Morandini (due stelle e mezzo per la critica, tre per il pubblico) è più benevolo: “Una spiritosa e precisa satira di costume. Ritmo rallentato nella seconda parte che si regge quasi soltanto sulle spalle di Totò”. Pino Farinotti conferma le tre stelle, senza motivare. A nostro giudizio Il coraggio è un film che mostra le vere possibilità comiche di Totò, perché basato su una solida sceneggiatura e diretto con mano ferma da un regista per niente succube dell’attore. Totò collabora anche come autore alla stesura del soggetto e realizza una commedia molto teatrale partendo dall’atto unico di Augusto Novelli. Strepitosi i monologhi sui poveri che mettono al mondo i figli perché non possono permettersi altri svaghi, ma anche sullo scheletro nell’armadio, il segreto inconfessabile che tutti avrebbero e che può sempre servire come minaccia. La macchietta del finto ricco sudamericano che chiama Susina la sua piccola Susy è strepitosa. Il binomio sesso e politica, ma anche la trilogia affari – sesso – politica, già negli anni Cinquanta era molto presente. Un testo attuale, se epuriamo i pochi elementi strutturali.
Regia: Domenico Paolella. Soggetto: Augusto Novelli. Sceneggiatura: Carlo Moscovini, Marcello Marchesi, Marcello Mantoni, Edoardo Anton, Marcello Ciorciolini, Antonio De Curtis (Totò). Fotografia: Mario Fioretti. Montaggio: Gisa Radicchi Levi. Musiche: Carlo Savina. Scenografia: Piero Filippone. Produttore: Isidoro Broggi, Renato Libassi per DDL. Commedia. B/N. Durata: 95’. Studi Tirrenia (Pisorno). Interpreti: Totò, Gino Cervi, Gianna Maria Canale, Irene Galter, Gabriele Tinti, Paola Barbara, Leopoldo Trieste. Ernesto Almirante, Bruna Vecchio, Anna Campori, Sandro Pistolini, Gina Amendola, Anna Maria Luciani, Gianni Partanna, Lucia Brusco.