In questo periodo Pasolini ha molte idee sul futuro letterario, medita di lasciare il cinema con un ultimo film dedicato alla nascita del Novecento, per dedicarsi alla saggistica polemica ospitata da un quotidiano borghese come il Corriere della Sera (Scritti corsari) e a un romanzo sui collegamenti tra politica e malaffare (Petrolio). L’idea dell’ultimo film si modifica, dal mai scritto Liberty (una commistione di cabaret e politica) all’inferno di Salò, come inizio dell’incompiuta Trilogia della morte. In breve la trama di Liberty, che Pasolini ha lasciato sotto forma di abbozzo. Bomba e Supposta sono due vecchie signore che lavorano nel varietà, scritturate da uno scalcinato impresario, girano l’Europa di fine anni Trenta e incontrano alcuni personaggi che cambieranno il destino del mondo. Il film dovrebbe mostrare persino un incontro svizzero tra il marxista Lenin e un giovane socialista di nome Benito Mussolini, arrestato per accattonaggio dopo essersi sottratto agli obblighi di leva. Film comico, commedia stile belle époque, accenni sul suicidio di Salgari, sul tango come ballo di corte, un pizzico di polemica religiosa, il futurismo, l’uccisione di Francesco Ferdinando. Pasolini non ne fa di niente, in compenso si reca in Africa e in Medio Oriente alla ricerca dei luoghi dove girare il film che ha appena finito di scrivere con la Maraini. Le vicende narrate dal film si svolgono nell’antico Oriente, seguono il filo conduttore dell’opera letteraria di novellistica araba del 1400, senza ricorrere al personaggio della bella narratrice Sheherazade che intrattiene il sultano per salvarsi la vita. La storia principale, vero e proprio filo conduttore che congiunge tutte le narrazioni, consiste nella ricerca dell’amata Zumurrud (Pellegrini), rapita dai briganti, da parte del principe Nur-ed-Din (Merli). Molte le disavventure che il giovane deve patire, fino a quando ritrova la ragazza, diventata (non si sa come) un uomo, il re Sair, con cui dovrà giacere e compiere un rapporto omosessuale passivo. La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni, dice Pasolini, citando la raccolta di novelle orientali Le mille e una notte, quindi diverse sono le storie sceneggiate e adattate con cura dal regista e da Dacia Maraini. Il film consta di quattro racconti incastonati come in un gioco di scatole cinesi nella storia principale, una sorta di sogno che ne racchiude altri minori, prodotti dal primo. Una storia racconta la scommessa fatta tra un re e una regina su quale tra due ragazzi sia il più bello, con il patto che il meno avvenente sarà colui che s’innamorerà per primo. La scommessa resterà senza vincitori. Il re e la regina spiano i ragazzi, ma l’atto d’amore viene compiuto mentre uno dei due giovani dorme, senza destare l’amato. Un altro racconto vede Citti nei panni di un demone castigatore che uccide la sua diletta (decapitandola) perché fare l’amore con gli occhi è libidinoso. Tutte le storie sono raccontate come se fossero sogni narrati durante un sogno, conservano un tono fantastico intriso di mistero. Il fiore delle mille e una notte è il film più immaginifico e sereno della Trilogia, anche quando racconta storie di sesso e morte. Pasolini narra di amori felici e infelici, sospesi in una dimensione magica, onirica, quieta, in una parola serena. Aziz (Davoli) s’innamora della sconosciuta Butur – un vero colpo di fulmine – e tradisce la promessa sposa Aziza, che prima si presta al gioco dell’amato, poi muore di dolore. La fedeltà è un bene, ma è un bene anche la leggerezza, dice Pasolini per bocca di Aziz, in ogni caso il traditore viene punito da Butur (inconsapevole della promessa di matrimonio) con l’evirazione inferta al colpevole da un gruppo di bambini. Aziz, reo di non aver saputo amare, soffrirà per tutta la vita la sua colpa e non potrà più amare.
La scenografia e la fotografia della pellicola sono magnifiche, persino grandiose, gli spaccati di Etiopia, Yemen, Persia, Nepal, India ricreano uno scenario fantastico intriso di antica bellezza e splendore, un mondo di sogno, composto da deserti e palazzi, regge e villaggi, isole e città, mercati con ragazzini in festa, poveri e ricchi … Pasolini descrive un terzo mondo vitale servendosi della gioia ilare dei ragazzini, liberi e solari anche quando compiono gesta efferate, ricostruendo rumori, luci, ombre, luoghi e inquadrando volti bruciati dal sole che si esprimono con i dialetti del Sud Italia. Per la prima volta il regista realizza quella poesia delle immagini a lungo ricercata, compiendo una pura elegia del sogno, grazie a simboli eclatanti e a paesaggi di una bellezza ancestrale. Il fiore delle mille e una notte è il film più maturo di Pasolini, stilisticamente perfetto, conserva il tono di fondo fantastico della ben nota opera letteraria. Una pellicola che rappresenta l’apogeo della Trilogia della vita, completa l’idea del poema sul terzo mondo, si pone come obiettivo di sfatare i pregiudizi che ostacolano fino a rendere impossibili i rapporti d’amore. Tutta l’opera è permeata di amore per la cultura popolare, di compassione per un mondo che sta scomparendo, inglobato da un progresso che spersonalizza. Pasolini compie uno studio dei volti popolari, inserendo personaggi tipici del mondo borgataro romano, che si esprimono in dialetto, mostrano dentature imperfette, espressioni stupefatte, in una parola rappresentano un ambiente che si sta estinguendo, giorno dopo giorno, per assuefarsi all’uniformità. Il fiore delle mille e una notte è un sogno – affresco di un mondo passato che persiste nel presente, dove i poveri conservano la loro dignità, sono sereni, sorridenti, vitali. Un film compiuto e riuscito – il migliore della Trilogia della vita – che realizza un viaggio nel Sud del mondo in una totale serenità, senza toni cupi o malinconici, neppure nei momenti più tragici e crudeli. Pasolini descrive un mondo che i suoi occhi vedono puro e libero, senza complessi e costrizioni, dove l’amore è sensualità, scevra dalla dialettica politico – rivoluzionaria, aliena da ogni tipo di costrizione occidentale. Il sesso è onnipresente ma non è mai morboso, al contrario è un dono, uno scambio, un valore, un bene prezioso che passa di mano in mano, lasciandosi guidare solo dal proprio gusto e dalla propria passione. L’amore per la bellezza si libera da ogni schema, può essere eterosessuale e omosessuale, senza differenza. Il fiore delle mille e una notte incassa meno della metà de I racconti di Canterbury e meno di un quarto de Il Decamerone. Presentato e premiato a Cannes 1974 in una versione da 155 minuti, poi ridotta dall’autore. Immancabile la denuncia per oscenità, poi archiviata dalla Procura di Milano.
Regia: Pier Paolo Pasolini. Soggetto: da Le Mille e una notte. Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Collaborazione alla Sceneggiatura: Dacia Maraini. Fotografia: Giuseppe Ruzzolini. Scenografia: Dante Ferretti. Costumista: Danilo Donati. Musica: Ennio Morricone. Montaggio: Nino Baragli, Tatiana Casini Morigi. Aiuto Regia: Umberto Angelucci, Peter Sheperd. Produzione: PEA (Roma) / Les Productions Artistes Asdsociés (Paris). Produttore: Alberto Grimaldi. Pellicola: Kodak Eastmancolor. Formato: 35 mm., colore, 1:1,85. Macchine da Presa: Arriflex. Effetti Ottici Speciali: Rank Film Labs, England. Sincronizzazione: NIS Film Roma. Mixage: Fausto Ancillai. Distribuzione: United Artist Europa. Riprese: Marzo – Maggio 1973. Teatri di Posa: Stabilimenti Labaro Film, Roma. Esterni: Yemen del Nord, Yemen del Sud, Persia, Nepal, Etiopia, India. Durata: 129’ (3559 m.). Prima Proiezione: Festival di Cannes, 20 maggio 1974. Interpreti: Ninetto Davoli (Aziz), Franco Citti (il genio), Franco Merli (Nur-ed-Din), Tessa Bouché (Aziza), Ines Pellegrini (Zumurrud), Alberto Argentino (il principe Shahzaman), Francesco paolo Governale (il principe Tadji), Salvatore Sapienza (il principe Yunan), Abadit Ghidei (la principessa Dunja), Fessazion Gherentiel (Bertanè), Giana Idris (Giana).