Il Giudizio Universale (1961), una commedia surreale, a tratti grottesca

Articolo di Gordiano Lupi

Regia: Vittorio De Sica. Soggetto e Sceneggiatura: Cesare Zavattini. Organizzazione Generale: Alfredo De Laurentiis. Arredamento e Costumi: Elio Costanzi. Scenografie: Pasquale Romano. Aiuti Regista: Luisa Alessandri, Franco Montemurro, Francesco Rissone. Coreografie: Ugo Dell’Ara. Montaggio: Adriana Novelli. Musiche: Alessandro Cicognini. Direzione Musiche: Franco Ferrara. Fotografia: Gabor Pogany. Produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica s.p.a.. La canzone na musica (Modugno – Pugliese) è cantata da Domenico Modugno. Coproduzione Italia/Francia. Interpreti: Nicola Rossi Lemeni (La voce), Ellis Davis, Fernandel, George Riviere, Paolo Stoppa, Anouk Aimee, Don Jaime De Mora y Aragon, Melina Mercouri, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Renato Rascel, Silvana Mangano, Vittorio De Sica, Jack Palance, Mike Bongiorno, Eleonora Brown, Elisa Gegani, Lino Ventura, Alberto Stoppa, Ernst Borgnine, Akim Tamiroff, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Jimmy Durante, Domenico Modugno, Marisa Merlini, Andreina Pagnani, Giuseppe Janigro, Alberto Bonucci, Sergio Iossa, Marina Karamann, Lilly Lembo, Maria Pia Casilio, Gaddo Treves, Mario Abussi, Holmsted Reminaton, Giuseppe Porelli, Nando Angelini, Edith Arlene Peters, Giacomo Furia, Regina Bianchi, Lamberto Maggiorani, Luigi Bonos, Vittorio Bonos, Ottavio Bugatti, Ugo D’Alessio, Eugenio Maggi, Teresa De Vita, Pietro De Vico, Enzo Petito, Luigi Reder, Agostino Salvietti, Carlo Taranto, Hilde Maria Renzi, Giusepe Iodice, Mario Passante, Nello Ascoli, Alfredo Melidoni, Vittorio Bottoni, Alberto Castaldi, Pasquale Cennamo, Nino Di Napoli, Alberto Barbieri Albani, Pasquale Cutolo, Eliana De Sabata, Arturo Lattanzio, Antonio Rispoli, Eugenio Cuomo, Mario Siniscalco, Gennaro Rotondo, Vincenzo De Rosa, Carmine Ferrari, Alfio Vita, Alfredo Patierno, Pilade Collaveri.

Il giudizio universale è una commedia surreale, a tratti grottesca, che riproduce al cinema la teoria neorealista del pedinamento, cavallo di battaglia di Cesare Zavattini. La macchina da presa segue la vita dei protagonisti durante una lunga giornata, al termine della quale –  per la precisione alle ore 18 – è previsto il giudizio universale, come ammonisce una voce profonda che proviene da un cielo minaccioso, solcato da nubi nerissime. Il film è ambientato a Napoli, girato magistralmente da De Sica, scritto e sceneggiato con precisione da Zavattini e fotografato con cura dall’esperto Gabor Pogany. Vediamo un uomo politico accolto con tutti gli onori che arriva a Napoli per promettere sviluppo ma non in tempi brevi, subito dopo un vedovo confessa i suoi vizi (Fernandel), segue una donna affascinante ma ne perde le tracce per colpa di un presunto amico che nasconde un abile borsaiolo. Paolo Stoppa scopre il tradimento della bella moglie con il migliore amico, si abbandona alla disperazione, ma viene consolato dai coniugi fedifraghi. Nino Manfredi è un cameriere licenziato per l’arroganza di un diplomatico che viene riassunto grazie alla sua intercessione. Vittorio Gassman è un ricco borghese che incontra il povero Renato Rascel, viene colpito da un lancio di pomodori, si scontra di nuovo con il povero che confessa la sua invidia, ma affronta con decisione il giudizio universale munito di un elenco di domande da porre al creatore. Marisa Merlini è la madre ilare del bambino che colpisce Gassman con i pomodori: “Non devi sprecarli così!”, è il suo rimprovero. Vittorio De Sica è il brillante avvocato difensore di un truffatore che elargisce onorificenze a illustri sconosciuti. Jack Palance è un aspirante ballerino amante di una ricca aristocratica, pentita dei suoi soprusi verso i poveri, alla ricerca di un riscatto prima che sia troppo tardi. De Sica “pedina” una serie di esistenze piccolo – borghesi, intervallate dalla voce che corre, secondo la quale “alle 18 ci sarebbe il giudizio universale”, una spada di Damocle che pende sul quotidiano composto da piccole miserie umane. Alberto Sordi è uno dei personaggi più laidi della pellicola, un venditore di bambini che mette in contatto famiglie povere con ricchi americani, immatricola ragazzini come se fossero automobili. Non crede al giudizio universale, procede nel suo oscuro traffico, ma alla fine si pente di fronte al giudizio divino e promette di cambiare lavoro. Franco e Ciccio sono due poveracci circondati da un numero indescrivibile di figli che si presentano in un teatro per ottenere un posto da guardaportone. Ma c’è lavoro soltanto per uno di loro, inoltre la prole numerosa infastidisce il responsabile del teatro. Finiranno per rinunciare entrambi, dopo il giudizio universale, per non farsi torto l’uno con l’altro. Domenico Modugno canta una struggente canzone per i vicoli di Napoli. La televisione parla del giudizio universale, le persone commentano sulla possibilità che si verifichi, sulla persona preposta a farlo, ma quasi tutti propendono per il padreterno. Il regista è bravo a mantenere la tensione sino alla fine, quando scatena il giudizio universale irrompe il grottesco nel clima da commedia, perché un Dio burbero ma bonario scatena una tempesta di pioggia e chiama per nome le persone da giudicare. I napoletani (De Vico) si ingegnano anche nella disgrazia: vendono portafortuna e ombrelli senza darsi pena di quel che accade. Il padreterno chiama razzisti, nazisti, inglesi, maomettani, persone comuni e riceve da tutti risposte evasive, volte a eludere ogni responsabilità. A un certo punto si annoia di giudicare e manda una pioggia torrenziale che molti scambiano per il diluvio universale. Torna improvvisamente il sole, ma il merito è soltanto di due giovani che si amano, sembra dire il regista. Gli uomini festeggiano lo scampato pericolo. Il film – cominciato con un intenso bianco e nero – finisce in quattro colori, come per sottolineare il cambiamento. I personaggi si ritrovano a teatro per il gran ballo, per una conclusione assurda che ricorda la pochade.

Il regista compie un grande lavoro neorealista con una pellicola classificabile come commedia, quando riprende i bassifondi napoletani, le abitazioni, i panni tesi alle finestre e nei vicoli, le famiglie povere con molti figli. La sceneggiatura di Zavattini sembra desunta da un romanzo russo del Novecento, una storia grottesca alla Gogol o alla Bulgakov, stile Il naso, Il cappotto, Il revisore o Cuore di cane. L’elemento grottesco, surreale, imprevedibile, viene calato come un imponderabile deus ex machina all’interno di una costruzione neorealista. Il limite della pellicola è che risulta dispersiva, a volte confusa, sprecando il talento di tanti interpreti eccellenti come Sordi, Manfredi, Fernandel e gli stessi Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, ben calati in un ruolo ai limiti del drammatico.

Paolo Mereghetti concede una stella e mezzo con un giudizio non del tutto positivo: “Miriadi di piccoli episodi s’intrecciano senza sosta, costringendo De Sica a continui slittamenti di tono. Se Sordi, nei panni di un laido commerciante di bambini che compra orfanelli nei bassi per rivenderli ai ricchi americani, è indimenticabile, più spesso si rimane a livello di barzelletta. La sceneggiatura di Zavattini sembra ricordarsi a volte del surrealismo e dell’indignazione satirica di Miracolo a Milano(1950), ma non risparmia un solo luogo comune sul folclore partenopeo. Tutto girato in bianco e nero, il film diventa a colori nella scena finale, quella di un liberatorio ballo a teatro”. Tre stelle per Pino Farinotti, ma nessun giudizio critico, solo una sintetica trama. Morando Morandini è il più equanime (due stelle di critica, tre di pubblico): “Reduci dal successo internazionale de La ciociara(1960), De Sica – Zavattini hanno carta bianca da De Laurentiis per realizzare, con un International all stars cast sul libro – paga, un film sulla fine del mondo in cui il genere del cinema a episodi è portato alle sue estreme conseguenze, sbriciolato in una cinquantina di sketch più op meno fulminei o barzellettistici. Surrealismo, fantasia, satira, non rimandano tanto a Miracolo a Milano (1960) quanto ai libretti dello Zavattini prebellico. Idee, trovate, estri non mancano, ma sono come tritati e coperti da una salsa micidiale di moralismo e di folclore fino al finale a colori, deludente e inconcludente. Un film stonato”.

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