Qualche giorno fa sono stato in un carcere italiano a fare visita ad un giovane africano che mi aveva fatto la nomina. A me hanno insegnato che se qualcuno presenta una nomina in carcere devi andare a fare almeno il primo colloquio. In carcere di luglio il caldo è terrificante, solo alcuni corridoi ( non si capisce il perché) sono dotati di impianti di aria condizionata. Per il resto si soffoca. Per la fretta di andare a visitare il giovane non presi appuntamento a mezzo mail (scorie del covid). Cosa questa che è più grave di un reato per l’amministrazione carceraria oberata di lavoro e che mi ha costretto ad attendere l’autorizzazione del comandante.
Tutto ciò, però, mi ha dato la possibilità di parlare con un sottoufficiale che mi ha detto quanto sia sempre più complesso, anche in un grande carcere come quello, gestire i detenuti e lavorare in sicurezza di tutti. Ci si trova d’accordo su molte cose e si individuano molte criticità pratiche del “sistema carcere”. L’attesa si fa piacevole e lo scambio di vedute ricco e pieno. Non comprendo il motivo per il quale le riforme quando vengono fatte non coinvolgano (quasi mai) gli operatori diretti del settore carcerario quali gli agenti di Polizia Penitenziaria.
Arriva l’autorizzazione ad interrompere il piacevole colloquio. Ringrazio e mi porto verso l’ingresso interno che immette nei corridoi verso la sala avvocati-magistrati. Attendo ancora, una volta entrato nella stanza, poiché nel padiglione dove è il mio assistito vi è stato un parapiglia tra detenuti. Attendo ma di lì a poco arriva il giovane, è spaurito e parla pochissimo l’italiano. Non si mette bene per capirci qualcosa. Praticamente il nostro colloquio avviene a gesti. Quasi alla fine chiedo l’intervento di un ragazzo che era lì e che era del suo Paese di provenienza (Costa d’Avorio). Il Poliziotto me lo concede ed io ringrazio.
Il detenuto introdotto gestisce questa improvvisata traduzione. Qualcosa riesco a capirla ma stento a crederci. Il giovane che ho di fronte è in carcere per avere rubato (o tentato di rubare, non è chiaro) una bicicletta. Lo chiedo varie volte. Chiedo varie volte di ripetere il concetto e chiedo se ho compreso bene; ovvero che si tratta di un furto di una bicicletta. Mi viene confermato dal ragazzo che si occupa della traduzione. Termino il colloquio ma non sono convinto (come direbbe Montalbano: non mi sono fatto persuaso). Saluto i due ragazzi e prometto di fare una istanza di libertà per il giovane al più presto.
Uscendo, sempre non persuaso, mi porto all’ufficio della Matricola (dove vi sono le posizioni dei detenuti) ed apprendo che quanto detto dal giovane e tradotto dall’altro ragazzo era vero, era la cruda realtà. Il ragazzo che mi aveva nominato era in misura cautelare, dopo la condanna in primo grado ad 8 mesi di reclusione e ne aveva già trascorsi quasi 5 in carcere. Un paradosso sotto vari profili. Nella mia mente scattano due riflessioni:
1) devo tirarlo fuori dal carcere;
2) il sistema giudiziario è vicino al punto di non ritorno.
L’indomani leggo un articolo su di un quotidiano on line (Fanpage del 20.07.2024) che un cittadino straniero (indiano) ha palpeggiato, davanti a testimoni, una bimba di 7 anni (commettendo il gravissimo reato di violenza sessuale) ed il giudice (non conosciamo i motivi e quindi solleviamo ogni valutazione) lo ha rimesso in libertà ad attendere il processo. Non possiamo giudicare la decisione del giudice che avrà motivato tale provvedimento ma è evidente una distonia tra i due episodi che può portare a conseguenze molto gravi. La Giustizia non può lasciare libero un soggetto che ha usato violenza ad una bimba di 7 anni davanti a testimoni e tenere in carcere (in misura cautelare) una persona accusata di avere rubato una bicicletta. Ci auguriamo che la dritta via non sia smarrita e che il secondo episodio possa essere spiegato ma il tutto è alquanto anomalo.