Il mese di maggio nell’antichità classica greco-romana è dedicato alle dee collegate alla fertilità e alla primavera (Maia [greca e romana], Tellus, Artemide, Flora, ecc.). Nel mondo cristiano maggio è dedicato alla Madonna, Maria Madre di Gesù, che è certamente una delle donne più famose di tutta la storia umana. Fiumi di parole sono stati scritti su questa figura tanto umana quanto celestiale, eppure «di Maria non si dice mai abbastanza» come diceva San Bernardo di Chiaravalle, teologo e monaco cistercense del XII secolo. Nata nel I sec. a. C. nell’allora piccolissimo villaggio di Nazareth, poco più che una ragazzina, Maria – in ebraico antico Myrhiàm – è passata alla storia per aver detto «Sì» alla richiesta di Dio che, tramite l’Arcangelo Gabriele, le annunciava che sarebbe diventata la madre del Messia. I cattolici e gli ortodossi la venerano come «Santissima Madre di Cristo» e il suo concepimento virginale è contemplato nella XIX sūra del Corano. Maria di Nazareth è, quindi, il cardine di molti testi religiosi, canti, preghiere e lodi. D’altra parte, tantissimi scrittori e poeti della nostra letteratura hanno scritto delle pagine, seppur non sempre di carattere religioso, ispirandosi a Maria.
«Il cristianesimo medievale è stato rivoluzionato dallo straordinario sviluppo, tra l’XI e il XIII secolo, del culto mariano. Il culto della Vergine Maria, quale «madre di Dio» (Concilio di Efeso, 431), si è sviluppato molto presto nel cristianesimo greco ortodosso. È penetrato più lentamente nell’Occidente cristiano, dove pure Maria era presente sin dall’alto Medioevo, soprattutto in epoca carolingia, ma fu soprattutto solo a partire dall’XI secolo che cominciò a occupare un posto centrale nelle credenze nelle pratiche religiose dell’Occidente cristiano […] La Vergine è un elemento essenziale dell’incarnazione e gioca un ruolo sempre più importante nei rapporti tra gli uomini e Cristo» (Jacques Le Goff, Il cielo sceso in terra. Le radici medievali dell’Europa, p. 98 e sgg). Nelle opere delle Tre Corone della letteratura italiana il richiamo alla Madonna è evidentemente molto forte. Nell’ultimo canto del Paradiso dantesco, per esempio, celeberrimi sono i versi a Lei dedicati:
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura» (Pd, XXXIII, 1-21).
Durante l’Umanesimo altri scrittori, come Vittoria Colonna e Torquato Tasso, hanno scritto su questa figura celestiale. Nell’Ottocento autori come Pascoli, Carducci e Manzoni Le hanno dedicato versi e rime. Nel Novecento Clemente Rebora scrive: «O creazion, che ansiosa aneli, non più al peccato ma servir d’ascesa marianamente per Gesù al Padre», da notare il curioso avverbio di modo “marianamente” che vuole significare “così come ha fatto Maria”; “attraverso Maria”; “percorrere le strade che Maria ci indica”.
Uno degli scritti fondamentali che parlano di Maria è naturalmente il Magnificat che è un testo eccezionale, di così straordinaria bellezza che è stato letto, recitato, cantato a più riprese negli ultimi duemila anni. Compare per la prima volta nel Vangelo di Luca, il quale riprende le parole che Maria stessa dice nel famoso incontro con sua cugina Elisabetta. Ernesto Balducci, presbitero e scrittore del Novecento, ha detto sul Magnificat: «È un capovolgimento sociale e politico quello che Maria contempla, per esaltare il Padre. In questa esaltazione è riflessa la coscienza di una scelta di vita, una scelta dove tutti i valori si trasformano». Della storia e dell’importanza di questo cantico, che lascia traccia nei testi letterari, ne parliamo con il professore Pietro Salvatore Reina, docente di religione presso l’Istituto Comprensivo Merano I, autore di molti articoli, recensioni e saggi.
D.: Professore Pietro Salvatore Reina, ci faccia capire meglio questo meraviglioso cantico. Da dove arriva il Magnificat e, nella società globalizzata di oggi, qual è la sua eco?
R.: Gli studi biblico-teologici affermano che il cantico di Maria si ispira al cantico della profetessa Anna (1Sam 2,1-10) e a molti altri passi dell’Antico Testamento. Nel Magnificat – letterariamente e saggiamente posto sulle labbra di Maria dall’evangelista Luca, un ebreo ellenista di Antiochia di Siria, collaboratore di (san) Paolo e che esercitava la professione medica – si nota il grande e biblico tema dei poveri e piccoli soccorsi a scapito dei ricchi e potenti. L’evangelista Luca deve aver trovato questo cantico o buona parte di esso nell’ambiente dei «poveri» (la corrispondente parola ebraica è anawin) dove forse veniva attribuito alla «figlia di Sion», egli ha ritenuto conveniente porlo sulle labbra di Maria inserendolo nel suo racconto (= vangelo) in prosa. Il Magnificat BWV243 in Re maggiore di Bach, una delle più celebri composizioni vocali sacre in lingua latina, è stato accolto con favore all’interno della liturgia luterana così come il «cantico di Maria» chiude la preghiera liturgia della Chiesa del vespro. Leggere, recitare, pregare, cantare il Magnificat significa oggi farsi toccare, attraversare dalla speranza: la tenerezza e la bellezza di quei versi sono più forti e potenti della violenza e della guerra che oggi attraversiamo.
D.: Nella letteratura italiana abbiamo moltissime pagine che parlano di Maria: da san Francesco d’Assisi, a Jacopone da Todi che scrisse “Il pianto della Madonna”, Dante, Boccaccio che scrisse: «Volgi gli occhi pietosi allo mio stato, Donna del cielo, e non m’ avere a sdegno… Io spero in te, e ‘n te sempre ho sperato», fino a Manzoni che Le dedica uno (Il Nome di Maria) dei suoi Inni Sacri (La Risurrezione, Il Natale, La Passione, La Pentecoste). Tuttavia della Madonna si sono occupati anche scrittori e poeti «maledetti», definiti superficialmente «atei», come ad es. Paul Verlaine, Arthur Rimbaud ma pervasi da un’inquietudine religiosa e dall’ansia di Dio. Perché mai Maria è così attraente dal punto di vista letterario e comunque artistico?
R.: La stessa Maria ha profetizzato nel Magnificat «tutte le generazioni mi chiameranno beata». A nessuna creatura umana, dopo Gesù Cristo, sono e sono state rivolte invocazioni, dedicate opere d’arte, cattedrali, ecc. come a Maria. Maria è la «figura», l’«icona» di tutte le donne, della loro femminilità, della loro capacità assoluta di amare. In ambito letterario Jacopone da Todi, Dante, Petrarca (Vergine bella, che di sol vestita), Boccaccio, Lorenzo il Magnifico, Angelo Poliziano, Vittoria Colonna, Pietro Bembo, Veronica Gambara, Torquato Tasso, Gabriello Chiabrera, Giuseppe Parini, Alessandro Manzoni, Giosue Carducci (le ultime strofe della Chiesa di Polenta palesano sentimenti di profonda commozione verso Maria), Guido Gozzano («Donna: mistero senza fine bello!»), David Maria Turoldo, Giovanni Testori, Biagio Marin, Antonia Pozzi, Italo Alighiero Chiusano, Margherita Guidacci, Pier Paolo Pasolini, Alda Merini et alii hanno dedicato alla Madonna dei versi quale «archetipo» di chi ama, di amore materno, di eterno femmineo, dell’aurora che annunzia il sole, ecc. Le più antiche immagini che rappresentano la nascita di Gesù, l’adorazione dei Magi si trovano nel nostro Paese e precisamente a Roma, conservate nelle catacombe di Priscilla (nella cosiddetta cappella greca), lungo la via Salaria.
D.: Il Magnificat si collega evidentemente all’Annunciazione di Maria. Esistono dei luoghi, uno in particolare, dove chiunque può toccare con mano le pietre che furono testimoni dell’incontro tra la Madonna e sua cugina Elisabetta?
R.: Alcuni anni fa ho visitato le citta di Nazareth, Ain Karem (un villaggio/quartiere a 8 km da Gerusalemme) ed Efeso: «pietre vive» storico-archeologiche che fanno comprendere il mistero della tenerezza e dell’incommensurabile amore che tesse il mistero dell’Incarnazione. Sono luoghi che riescono a raggiungere le corde dell’anima, che pongono domande sul senso stesso dell’esistenza. Sono luoghi che hanno qualcosa in più dovuto al valore spirituale, culturale che rivestono da millenni. Luoghi tessuti e arricchiti di grazia, speranza, preghiere. Spazi abitati dalla bellezza e divinità e intrisi di spiritualità. Le case di Nazareth e di Efeso invitano al silenzio, a far rinascere in noi l’attenzione per l’interiorità della nostra vita. La casa di Nazareth è anche una «lezione» e/o una «scuola» dell’amore per il lavoro. Nel villaggio di Ain Karem – secondo la tradizione – avviene l’incontro tra Maria ed Elisabetta. Due donne gravide: la prima in grembo porta Gesù, la seconda Giovanni il Battista. In questo luogo, sui monti della Giudea, sulle labbra di Maria si sarebbe sciolto un cantico che da allora rappresenta una «tavolozza» sulla quale artisti, poeti, musicisti hanno attinto per dipingere, cantare le meraviglie dell’Onnipotente. Il Magnificat è un «passaggio di civiltà»: esso nobilita la natura umana che il Cristo-Logos assume solo per amore, per infinito amore.