Il messaggio del Natale e l’umanità violata. Il sociologo prof. Francesco Pira: «combattere l’egoismo e diventare artigiani di Pace»

Articolo di Pietro Salvatore Reina

La parola «Natale» – dal latino «natalis», che a sua volta deriva da «natus» – è un sostantivo che, «per antonomasia, indica il giorno di nascita di Gesù Cristo e la festa cristiana che si celebra per ricordarlo» (Devoto Oli, Vocabolario della lingua italiana).

La nascita di Gesù è di fondamentale importanza, non solo dal punto di vista religioso ma anche storico. Per collocare qualunque evento, si iniziano a contare gli anni dalla sua nascita. Gesù è posto al centro del tempo. La sua nascita ha «spezzato» in due il corso della storia dell’umanità. Santo Mazzarino, il più brillante storico dell’antichità classica, nel primo volume de L’impero romano (p. 164) scrive: «l’esistenza storica di Gesù̀, nel quadro e nell’ambiente che abbiamo delineato sopra (l’epoca giulio-claudia), è in verità̀ innegabile».

Un calendario romano del 354 ci testimonia che a Roma, verso il 330 – diciassette anni dopo l’Editto di Milano – si cominciò a festeggiare il Natale il 25 dicembre. Quella data fu scelta perché già vi si festeggiava Helios, il sol invictus il dio del «sole mai vinto», il «trionfatore sulla notte» che proprio in quei giorni successivi al solstizio d’inverno sembra riprendere energia, forza e ricomincia a salire nell’orizzonte. Non è un caso che i più antichi mosaici cristiani scoperti sotto la Basilica di San Paolo e nella necropoli pre-costantiniana sotto la Basilica di san Pietro rappresentano la coppia Cristo-Helios sul carro trionfale (cfr. figura allegata).

Dalla città di Roma il Natale di Gesù Cristo si propaga, alla fine del V secolo, in Africa settentrionale. L’imperatore Giustiniano, nel 529, lo dichiara «giorno festivo» e da allora la festa del Natale di Gesù si diffonderà gradualmente in tutta l’Europa.

È soprattutto il Vangelo secondo Luca che ci parla della nascita di Gesù che avvenne a Betlem (che in ebraico significa «Città del pane» (lekhem=pane) attorno al 7 o al 5 a.C.

Una delle più antiche rappresentazioni iconografiche del presepe e/o della Natività si trova in Sicilia, al Museo Archeologico «Paolo Orsi» di Siracusa: il sarcofago di Adelfia (IV sec. a.C.). In uno dei due lati di questo sarcofago che accoglie le spoglie mortali di Adelfia, la moglie del conte Valerio, si riconoscono i tre Re Magi che visitano il piccolo Gesù avvolto in fasce tra il bue, l’asinello, Maria e Giuseppe.

Da decenni, oramai, studiosi come Umberto Eco, Massimo Cacciari e Umberto Galimberti segnalano come nella nostra cultura il Natale è praticamente «ateo»: di religioso è rimasto soltanto il «rito». Soprattutto, osserva con acume il professore Umberto Galimberti, da quando il denaro è diventato in Occidente l’unico generatore simbolico di tutti i valori e la tecnica un mezzo per conseguirli.

In questo tempo di Natale, un tempo che celebra «il Verbo che si fa carne» (Vangelo secondo Giovanni 1,14), il «mistero» e il miracolo dell’Incarnazione possa essere la base di una promessa di salvazione e salvezza di un’umanità violata dalla brutalità, dalle guerre, dalla morte.

D.: Il mondo – in questo tempo di Natale che celebra «il Verbo che si fa carne» (Vangelo secondo Giovanni 1,14) – è tragicamente segnato non solo da grave crisi ma pare aver smarrito la pace come orizzonte di dialogo. Circola troppo odio tra le persone, si è riacceso l’antisemitismo. Il mondo non è solo segnato da gravi crisi, ma ha smarrito la pace come orizzonte del dialogo, delle relazioni tra i suoi diversi Paesi. Davanti a tanta umanità violata e violentata la parola e l’evento del Natale esigerebbero gesti concreti di pace. Cosa, professore Francesco Pira, Associato di Sociologia dell’Università di Messina, in questi ultimi decenni ha segnato e segna la crisi, le crisi antropologiche dell’uomo occidentale che non sembra più riuscire a governare la modernità, a governarsi, e che “pare” abbia smarrito la sua bussola, la sua identità?

«Ormai, si discute spesso della perdita dell’identità dell’uomo del nostro tempo. Quello che si avverte è la mancanza di orientamento e l’assenza di veri sentimenti. Il mondo appare travolto da numerosi “ismi” (egoismo, individualismo ed egocentrismo) e mostra il volto di una crisi profonda. Il sociologo Zygmunt Bauman ha descritto la sua visione della modernità, una modernità liquida, che, come un fiume in piena, travolge tutto. Bauman ha delineato l’isolamento dell’uomo e la decadenza della società in toto. “L’uomo solo, sostiene Bauman, viene meno ai suoi compiti di cittadino attivo, di padre o madre, intellettuale o scrittore, politico o insegnante”. Il progresso corre veloce e l’individuo non riesce a seguire il ritmo dei continui cambiamenti. Proprio per questo motivo, Bauman ritiene, nel suo volume “Consumo dunque sono”, che rispetto ai nostri antenati noi non siamo più felici, siamo passati dalla dimensione del consumo a quella del consumismo che ha trasformato gli individui in merce essi stessi. L’identità individuale deve fare i conti con i social network, l’intelligenza artificiale e il Metaverso. La continua proliferazione di profili falsi sui social network deve farci riflettere, perché sono tante le persone che decidono di assumere altre identità o di apparire in modo diverso dalla realtà per ottenere il consenso dei propri follower. Quello che conta è essere apprezzati dagli altri. Gli ambienti virtuali consentono la massima visibilità ai comportamenti sociali e processi comunicativi. All’interno degli ambienti virtuali trovano spazio le tendenze narcisistiche, l’io performativo e l’iperconsumismo. Già Papa Paolo VI descriveva l’uomo moderno come “un disorbitato che ha perso il suo vero orientamento, simile a colui che è uscito di casa e ha perduto la chiave per rientrarvi” e lo invitava a cambiare. Papa Francesco in diverse occasioni ha tracciato un’analisi della cultura moderna che mette a rischio quell’umanesimo che si è sviluppato nei secoli. La nostra epoca veicola princìpi che oscurano valori fondamentali come il rispetto per la vita e il rispetto dell’altro. Non viene data la giusta importanza alla donna e il suo corpo è diventato oggetto di “vetrinizzazione” e di violenze. La dignità della donna, dei bambini e degli anziani e dei migranti è sempre più spesso calpestata. È necessario dar vita ad una rivoluzione per restituire importanza ai diritti della persona e per trasformare questa società liquida in “solida”, ricca di relazioni vere e sincere. Ricordiamoci sempre che da soli non siamo niente».

D: In una poesia del 1952 il poeta Salvatore Quasimodo scrive: «non v’è pace nel cuore dell’uomo. / Anche con Cristo e sono venti secoli / il fratello si scaglia sul fratello». Quali strategie si possono attuare per ri-costruire quanto i venti di morte delle guerre stanno continuamente bombardando? La parola pace è bisognosa di dialogo, di opere. Non sta solo nei tavoli delle diplomazie internazionali ma nelle nostre continue e piccole interruzioni d’ostilità, violenze, ecc. Quali sono gli elementi che in quest’ultimo secolo stanno permettendo di costruire un’umanità violata dalle guerre? Come e cosa può aiutarci a volgere, invece, l’attenzione sulle due sillabe della parola pace come nuovo architrave di un’umanità nuova, di un nuovo umanesimo?

«Oggi, i valori della solidarietà e del vivere insieme vengono messi in grande discussione e non trovano spazio. Il conflitto russo-ucraino e la guerra in Medio Oriente preoccupano il mondo, perché si teme l’utilizzo di armi nucleari. Non mancano le armi convenzionali e il loro impiego serve per favorire la violazione dei diritti umani e impedire gli interventi umanitari. Purtroppo, le nuove tecnologie non sempre vengono sfruttate per il bene comune. Il progresso favorisce la produzione di armi tecnologiche pericolose. La pace e la sicurezza sono destabilizzate da armi che sfruttano l’intelligenza artificiale. Tanta gente teme che avvenga una corsa agli armamenti e che si sviluppi una Cyberwar. Nel mese di ottobre è stata celebrata la Settimana del Disarmo. Papa Francesco continua a lanciare messaggi di pace e ha invitato la comunità internazionale a stabilire norme per controllare le nuove tecnologie, ribadendo che l’uomo deve agire secondo la propria coscienza. La pace è la condizione per una società più giusta e meno egoista. “La pace è artigianale. Non la costruiscono solo i potenti con le loro scelte e i loro trattati internazionali, che restano scelte politiche quanto mai importanti e urgenti”, ha affermato il Santo Padre. Noi dobbiamo diventare “artigiani di pace” in ogni contesto e dobbiamo puntare all’accoglienza dell’altro. Bisogna lottare contro l’egoismo che diventa il protagonista di qualsiasi conflitto. Riusciremo ad avere un’umanità nuova se smetteremo di pensare ai nostri interessi, di umiliare e fare del male agli altri».

D.: In quest’ultimi anni in tante sue riflessioni, articoli, libri (….) ha posto e pone l’attenzione sulle disuguaglianze, sui fenomeni violenti di discriminazione caratterizzanti l’attuale società globalizzata, «liquida» (Bauman) che ha smarrito i suoi punti di riferimento naturali e che sempre più individualisticamente e narcisisticamente esplode nei social network. Come il messaggio umano e religioso di pace del Natale ci può spingere a fare i conti con le violenze della nostra civiltà?

«Il Natale dovrebbe essere un tempo pieno di umanità che sconfigge la “globalizzazione dell’indifferenza”. A Natale nasce un bambino che è il simbolo della pace e che rappresenta il valore pace. In questo momento storico, c’è bisogno di un Natale pieno di pace e senza armi. Il portale asvis.it ha riportato, nel mese di giugno di quest’anno, il dato che emerge dall’edizione 2024 del Global peace index, pubblicato a giugno dall’Institute for Economics & Peace. “L’indice rileva che il livello medio della pace è peggiorato dello 0,56%. Si tratta del dodicesimo peggioramento negli ultimi 16 anni. Su 163 Paesi analizzati, 97 registrano un peggioramento delle condizioni di pace, mentre 65 hanno migliorato la loro situazione. I conflitti, evidenzia il Rapporto, sono sempre più internazionalizzati, con 92 Paesi impegnati in conflitti oltre i loro confini. È il maggior numero mai registrato dall’avvio dell’Indice nel 2008. L’anno scorso si sono registrati 162mila decessi legati ai conflitti. È il secondo numero più alto mai registrato negli ultimi 30 anni, con i conflitti in Ucraina e Gaza responsabili di quasi tre quarti delle morti. L’Ucraina ne rappresenta più della metà, registrando 83.000 morti, mentre le stime per il conflitto in Palestina parlano di almeno 33.000 (fino ad aprile 2024)”. A Betlemme, nella Terra Santa dove Gesù è nato, c’è la guerra e questo è davvero inaccettabile. La politica internazionale deve riuscire a costruire “ponti” di pace e trovare soluzioni ai problemi in maniera precisa. Non ci sono dubbi sulla necessità di creare progetti e programmi atti a costruire la pace. Fortunatamente, sono ancora tante le persone che credono nella pace e che operano per costruire la pace. Sogno una cultura della pace, di gesti e di parole di pace e un nuovo anno “disarmato”. Speriamo che il 2025 sia un anno pieno di gioia, di serenità, di fiducia, di speranza, di dialogo, di rispetto, di unione e di fratellanza tra i popoli».

P.S.: Il professore Francesco Pira, il direttore del sito on line Angelo Barraco e il sottoscritto vi augurano di trascorrere un felice Natale nella speranza che il mistero e miracolo dell’Incarnazione possa essere e divenire una lezione e promessa di salvazione e salvezza del mondo dalla brutalità e dalle violenze che generano morte.

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