Noi siamo i figli delle ovaiole, incubati nello sterco
ecco la luce che meritiamo, quando usciamo dalla gabbia
la rabbia che ci ha generati non finisce coi nostri padri
i quadri in cui siamo dipinti non si vendono alle aste
sono queste le nostre storie, sono storie tutte uguali
le ali, non le abbiamo, mangiamo e procreiamo.
Siamo la carne per il macello, il bordello dei pezzi grossi
siamo scossi dalla colpa del castrato, siamo puttane
lontane poesie d’amore e di eresia, abbiamo scritto di nascosto.
Il posto in cui viviamo, il ventre di una vacca muta
caduta, sfinita, partoriva da sola, gridava senza gridare
nel mare del cordoglio ci muovevamo, piangevamo, brutti
per tutti quei giorni di doglie e veglie.
Siamo nati per sbaglio e per sbagliare, non ci battiamo per nulla
sulla nostra tomba, non sapranno cosa scolpire:
vissuto nell’incertezza di avere il potere dell’impotente
oppure niente, una tomba bianca.
Arranca qualche vecchio laburista, nascosto alla nostra vista
l’artista una volta lo inseguiva, scriveva di lui.
Noi non sapremmo cosa dirgli: ci segui, vecchio?
Un secchio di seguaci è tutto ciò che abbiamo
andiamo poco lontano, senza tenderci la mano.
Siamo i figli dei padri innocenti, siamo nati senza denti
non mordiamo, strappiamo i giornali, siamo peggio di animali.
Grati ai potenti, che ci palpano il culo col mughetto
per un pezzetto di pane amaro
il nostro caro nome nel megafono strilliamo
e contiamo nella busta: un po’ di caramella e un po’ di frusta.
Il primo maggio si sentiva una canzone, sfilavano i nonni dei nonni
insonni lotte per il nostro tempo, i cortei, li vediamo nei musei
il popolo, lo vediamo nei musei
ma nei miei insani sogni di libertà, tremano ancora le città
corrono in strada le bandiere, le rose e i fiori
i cori, i bambini, battiamo le mani
i lupi verranno a mangiare i cani.