Il sadomasochismo gotico de “La frusta e il corpo”

Articolo di Gordiano Lupi

La frusta e il corpo (1963). Regia di Mario Bava (John M. Old). Soggetto e sceneggiatura: Ernesto Gastaldi (Julian Berry), Ugo Guerra (Robert Hugo) e Luciano Martino (Martin Hardy). Fotografia: Ubaldo Terzano (David Hamilton). Musiche: Carlo Rustichelli (Jim Murphy). Montaggio: Bob King. Scenografie: Dick Gray. Produzione: Vox Film e Leone Film (Roma)/ Francinor e P.I.P. (Parigi). Distribuzione: Titanus. Interpreti: Cristopher Lee, Dahlia Lavi, Adriana Ambesi, Ursula Davis (Pier Anna Quaglia), Tony Kendall (Luciano Stella), Isli Oberon (Ida Galli), Alan Collins (Luciano Pigozzi), José Campos, Dean Ardow (Gustavo De Nardo) e Jacques Herlin.

La frusta e il corpo è un classico film gotico ambientato in un castello in riva al mare, tetro al punto giusto, fotografato con attenzione ai toni scuri e sottolineato da un’efficace colonna sonora.

La storia ruota attorno al sadico Kurt (Lee), che torna inatteso alla casa paterna dopo aver provocato il suicidio della figlia della governante e sconvolge la vita quotidiana. Kurt è odiato dal padre e si scontra per problemi di eredità, ma pure la governante vorrebbe ucciderlo dopo aver visto morire la figlia. Il fratello Christian si è sposato con Nevenka (Lavi), ma tra sua moglie e Kurt resiste un vecchio legame sadomasochistico. Mario Bava descrive un rapporto erotico a base di amore e frustate che scandalizza i solerti censori del tempo e provoca qualche guaio al film. Kurt viene assassinato con lo stesso coltello con cui la figlia della governante si era suicidata. Nevenka comincia a vedere il volto dell’uomo, sente i suoi passi, ode la frusta che sibila nel vento, freme per le scudisciate sulla pelle e crede di vedere le orme. Nel castello si verificano altri eventi inspiegabili e soprattutto muore il vecchio padre. Bava ci trascina in una spirale di suspense e di orrore a metà strada tra realtà e fantasia. La spiegazione reale vede Nevenka nei panni di una folle assassina, perseguitata dal fantasma dell’amante e vittima delle sue ossessioni. Nel finale Nevenka si suicida con il coltello che ha provocato due vittime, convinta di uccidere il fantasma di Kurt.

La frusta e il corpo è un film gotico alla Roger Corman, anche se sarebbe più giusto invertire l’ordine, perché l’autore statunitense spesso si ispira alle atmosfere e alle suggestioni di Bava. In questo lavoro – successivo ai notevoli La maschera del demonio (1960) e I tre volti della paura (1963) – Bava si spinge ad analizzare una relazione sadomasochistica in una cornice gotica, inserendo suggestioni erotiche che diventeranno tipiche della narrativa e della cinematografia horror italiana. La storia è basata su un solido soggetto e su una sceneggiatura immune da pecche realizzata da Ernesto Gastaldi, Ugo Guerra e Luciano Martino, che si firmano con nomi anglofoni, seguendo una moda del tempo. Persino il regista preferisce ribattezzarsi John M. Old, consapevole di poter vendere meglio il prodotto sia in Italia che all’estero. La frusta e il corpo presenta alcune sequenze audaci che provocano tagli e sequestri. Nel 1963 è innovativo e anticonformista girare una scena sulla spiaggia con un sadico che frusta una masochista e subito dopo la possiede. Nonostante queste sequenze morbose, siamo di fronte a un film fantastico, che contamina diversi generi come il giallo, l’horror, l’erotico, ma è percorso anche dalle suggestioni del romanzo d’appendice e del thriller. La storia gode di un’ottima ambientazione gotica e la dimensione macabra del racconto resta confinata in una dimensione onirica, negli incubi della protagonista suggestionata da un amore malato. Bava conduce la storia sul doppio binario del thriller e del fantastico, fino alla scena madre, vista dagli occhi della moglie e secondo la prospettiva del marito. La donna vede il fantasma di Kurt, ma tutti gli altri notano soltanto lei che porta il coltello al cuore e si suicida. Resta il doppio finale che può far credere sia a una storia frutto della follia di Nevenka, che ai delitti di un terribile spettro.

La frusta e il corpo pare che sia considerato un cult-movie da Martin Scorsese, ma in realtà dovrebbe esserlo per chiunque ami il buon cinema realizzato con cura, fotografato con eleganza e girato con maestria. Il ritmo è lento e ossessivo, le morti misteriose soltanto due, ma la suspense è notevole per tutta la pellicola, che non presenta cadute di tono. I dialoghi risultano in parte datati, ma tutto il resto del film è ancora godibile e non risente minimamente del tempo passato. Un capolavoro del gotico italiano, capace di fondere erotismo morboso e tensione narrativa da giallo classico.

Abbiamo avvicinato Ernesto Gastaldi per un’interpretazione autentica. “Ricordo abbastanza La frusta e il corpo. Era il 1963 e si era costituita una società tra Ugo Guerra ed Elio Scardamaglia chiamata VOX FILM. Il soggetto nasce dalla collaborazione tra me, Ugo e Luciano Martino. Facemmo anche alcune riunioni di sceneggiatura per impostare il film e – come consuetudine – lo script fu opera mia. Mario Bava era un genio come direttore della fotografia e come esecutore di effetti speciali. Per questo film usò delle luci colorate e credo che sia stata la prima volta nella storia del cinema. Su Mario Bava un mio amico americano (Tim Lucas) ha scritto, in inglese, un monumentale librone  a colori  di 1130 pagine a grande formato, peso 4 o 5 chili, stampato in Cina, intitolato All the colors of the dark (che è il titolo di un altro mio film!) e dedica un lungo capitolo proprio a La frusta e il corpo. A pagina 517 sostiene che è uno dei migliori film di Mario Bava, certamente il più romantico, ma prima di discutere del suo specifico contributo è essenziale discutere con maggior dettaglio il banckgroud di Ernesto Gastaldi, che è, in molti modi, il vero autore del film. Ma è un amico mio…”.

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