“Il sipario”, un saggio – racconto di Milan Kundera

Articolo di Gordiano Lupi

Non moriremo nello stesso mondo in cui siamo nati, scrive Kundera, e basterebbe questa affermazione illuminante a fare del libro edito (come sempre) da Adelphi una lettura consigliata. Per Kundera siamo tutti disperatamente inchiodati al tempo e al luogo della nostra nascita, quindi facciamo resistenza a tenere il passo di un mondo che cambia inesorabile e che non potrà essere sempre identico a quello dei tempi giovanili. Ma sono molte le considerazioni condivisibili – profonde ma semplici – espresse dallo scrittore boemo recentemente scomparso. Tanto per contraddire quel che abbiamo appena scritto, diciamo che si sarebbe infuriato nel sentirsi definire autore cecoslovacco o boemo, regionalizzato in una realtà che non gli apparteneva. Scrive Kundera che Kafka era ceco di cittadinanza ma era scrittore tedesco a tutti gli effetti, non solo ha scritto in tedesco (e si considerava tedesco) tutte le sue opere, ma se per puro caso le avesse scritte in ceco, oggi nessuno lo conoscerebbe. Kundera parla di modernismo, dice che il solo modernismo possibile è il modernismo antimoderno, definisce il kitsch come del pane sopra il quale si è versato un po’ di profumo, aggiunge che quasi sempre il kitsch è volgare (dal latino vulgus, popolo) ed è tutto quello che non può essere considerato raffinato. Il sipario perfeziona tesi già espresse ne L’arte del romanzo, ma non vuol essere una scuola di scrittura (per quello esiste la clownesca Scuola Holden), lo scopo del grande autore non è fatturare ma spiegare al mondo delle lettere la differenza tra surrealismo ed esistenzialismo, fino a concretizzare un’idea di romanzo moderno. Il compito di uno scrittore contemporaneo sarà quello di spingersi oltre la frontiera della verosimiglianza, superare la barriera del realismo. L’esempio che Kundera porta è quello di Garcia Marquez che con Cent’anni di solitudine esprime la libertà più assoluta del racconto, raccogliendo l’eredità del surrealismo. Il sipario è una riflessione sul romanzo come arte autonoma da inserire nel contesto di una grande storia sovranazionale. Kundera affronta Cervantes, Goethe, Stern, Flaubert, Carpentier, Joyce … e rilegge le loro opere, sviluppando da importanti testi classici la sua poetica del romanzo.

Kundera parla di romanzi che citano altri romanzi, di opere compiute che si nutrono alla fonte di altre opere e che rimandano a romanzi del passato, sottolineando che il romanzo è un osservatorio dal quale si può abbracciare la vita umana nel suo insieme. Kundera apre il sipario della sua teoria del romanzo e la illustra senza ricorrere a termini accademici, parlando di letteratura e filosofia con grande semplicità. Tutto nasce con il Don Chisciotte di Cervantes, è quel testo basilare che apre il sipario, che svela l’arte del romanzo, che la inaugura, inserendo il comico là dove c’era solo il tragico. Molto interessante un’intera parte dedicata alla memoria. Kundera afferma che le cose che succedono vengono recepite in modo più forte quando sono agli albori degli accadimenti. Il rumore delle auto, per esempio, si percepiva più nitido e persino più disturbante, quando per le strade di Praga circolavano poche macchine. Pure gli eventi politici colpiscono di più al loro inizio, in seguito abbiamo l’assuefazione ai fenomeni, come è accaduto nel capitalismo, combattuto con forza negli anni Settanta, adesso accettato (bene o male) come un dato di fatto. Kundera approfondisce anche il concetto di memoria storica relativa, il fatto che tendiamo a dimenticare e ad avere una memoria distorta. Nessuna persona racconta mai lo stesso libro in identico modo, perché ogni percezione è relativa, ogni lettore dà maggiore importanza a certi particolari, ciascuno è colpito da eventi diversi. La memoria storica è importante anche nel romanzo, purtroppo alcuni eventi sono così immensi e ancora così caldi e diversamente interpretabili che non hanno avuto un romanzo per raccontarli. L’invasione dei carri armati a Praga, evento che tocca in modo particolare Kundera e che sconvolge la sua vita, oltre a far cambiare la storia ceca in un  solo giorno, per lo scrittore non avrebbe ancora trovato il suo romanzo. Questo scrive Kundera, forse per modestia, forse perché non riteneva la sua opera così definitiva in tema di storia ceca, ma noi crediamo che quel giorno infausto e quel periodo storico il suo cantore l’abbia trovato. Basta leggere L’insostenibile leggerezza dell’essere, continuare con Amori ridicoli e andare avanti sfogliando le pagine di uno scrittore boemo diventato – suo malgrado, ma per fortuna della letteratura – francese.

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