Il sonetto è una composizione poetica che ha la sua nascita nel XIII secolo con Jacopo da Lentini (1210 – 1260), propositore della cosiddetta Scuola Poetica Siciliana nata sotto il regno di Federico II, usato nel corso della storia della letteratura è stato usato migliaia di volte, ma, recentemente, considerato desueto.
Dice il Prof. Giuseppe Modica, Professore Ordinario di Filosofia Morale presso Università di Palermo in quella che era la Facoltà di Lettere e Filosofia, che chi esercita il sonetto dà l’impressione di essere un po’ passatista, un poeta di retroguardia, e il motivo per cui il gusto estetico sia cambiato è giustificato dal fatto che in verità, il sonetto ha una struttura complessa.
Come è noto il sonetto classico si compone di endecasillabi, 11 sillabe, ma non è detto, di 14 versi, quello è certo, precisamente 2 quartine (la fronte) e 2 terzine (la sirma), quindi in numeri diventano 4 – 4 – 3 – 3, ma lo connota insieme la rima e la metrica.
La conta delle sillabe di una parola si fa secondo i segmenti fonici pronunciati con una sola emissione di voce. Una sillaba contiene sempre almeno una vocale (a – mo- re), preceduta da una o più consonanti (ma – re; tre – no ; stra – da) o seguita da una consonante (al – to).
Attenzione: un endecasillabo è tale quando presenta sempre un accento sulla decima sillaba.
…
mille volte aprii le porte all’amòre
osannando la luce del tuo sguàrdo.[1]
…
Le rime possono essere baciate, incrociate, a catena…
L’esempio classico è fatto con le lettere dove nel 4 – 4 – 3 – 3 e in riferimento alle rime, nella prima e nella seconda strofa di 4 la rima è baciata se ha la seguente struttura AABB, è alternata se è ABAB (queste prevalsero nel mondo antico), è incrociata se è ABBA (questa prevalse nel mondo fiorentino) Nella terza e nella quarta strofa, che riguardano le terzine, l’unica norma che le investe è che nella seconda debba ricorrere almeno una rima della prima; le più frequenti sono: CDE, CDE (rima ripetuta), CDC, DCD (rima alternata), CDE, EDC (rima invertita), CDC, EDE; CDE, DCE… etc. etc.
[1] dal primo sonetto dei “Canti a Prometeo” di G. Pantaleone – All’Insegna dell’Ippogrifo Edizioni – 2018
Wihlelm Pötters, docente di Linguistica e Storia delle lingue romanze presso l’Università di Würzburg e l’Università di Colonia, mette in relazione il sonetto con il problema della misurazione del cerchio e ipotizza che a monte del sonetto ci sia una strategia di ordine matematico-geometrico. Pötters arriva a ipotizzare che il sonetto costituisca la proiezione in forma poetica delle misure e delle figure con cui i matematici e i geometri del tempo (ad esempio Leonardo Fibonacci) illustravano e cercavano di risolvere i tradizionali problemi della misurazione del cerchio.
Nei trattati matematici del Duecento il rapporto tra circonferenza e diametro era indicato con la frazione 22/7 approssimazione del numero irrazionale che, a partire dal Settecento, venne rappresentato con ? (3,14)
I sonetti, nei manoscritti, spesso erano trascritti a coppie di versi affiancati quindi il nostro sonetto iniziale poteva presentarsi così:
1 Amore è uno desi[o] che ven da’ core
2 e li occhi in prima genera[n] l’amore
3 Ben è alcuna fiata om amatore
4 ma quell’amor che stringe con furore
5 ché li occhi rapresenta[n] a lo core
6 com’è formata natural[e]mente;
7 imagina, e [li] piace quel desio:
per abondanza di gran piacimento;
e lo core li dà nutricamento.
senza vedere so ’namoramento,
da la vista de li occhi ha nas[ci]mento:
d’onni cosa che veden bono e rio
e lo cor, che di zo è concepitore,
e questo amore regna fra la gente.
Attenzione:
7 righe, ciascuna delle quali è formata da 2 endecasillabi e comprende, 22 sillabe (11×2) 22 e 7 il cui rapporto indicava usualmente quello tra circonferenza e diametro.
Insomma da questa complessa struttura capiamo benissimo che comporre un sonetto significa riuscire a mettere un contenuto dentro una gabbia. Questa gabbia non sarà una gabbia muta, non sarà una gabbia dove tutto si disperde, ma sarà una gabbia che suona, come se, metaforicamente, ci sia un usignolo dentro.
Il sonetto è una gabbia che suona!
Ma come può una gabbia suonare? Come può un suono risuonare dentro una gabbia? Tutto questo, non è un paradosso? Non è una contraddizione in termini?
Eppure, se ci riflettiamo, è proprio questa gabbia che dà al sonetto la forma di cui il sonetto necessita per essere tale. Il rischio di andare fuori tema e cioè di non tener più conto dell’endecasillabo, della rima e della metrica è elevato. Il rischio grosso è proprio quello del non rispetto delle regole della rima e cioè il non rispetto delle regole della metrica. Tutti questi elementi riescono a mantenersi in uno schema perché c’è una gabbia. Questa gabbia, quindi, non è asfittica, ma è, appunto, propulsatrice, slancio, spinta, stimolo di una forma che è sostanza.
E’ una forma desueta si, ma nel tempo, il sonetto si è modificato molte volte quindi possiamo benissimo dire che ha un significato polimorfico. Questo polimorfismo non riguarda soltanto l’aspetto diacronico, cioè il suo cambiamento e la sua evoluzione nel tempo, ma anche l’aspetto sincronico, sullo stesso piano nel tempo.
Ad esempio; i poeti Ezra Pound e Paul Valéry, due poeti coetanei, rispetto al sonetto hanno pronunciato due giudizi contrapposti. Ezra Pound lo ha definì come uno schema estrinseco, con un’accezione negativa, mentre Paul Valéry sostenne che non c’è composizione più raffinata e nobile del sonetto.[1]
Non va mai dimenticato comunque che il sonetto, come dice la sua stessa parola che è di origine francese sonet, è un piccolo testo che suona e, di conseguenza, il suo essere risonanza non fa dimenticare mai che la poesia nasce come odè, come canto.
Quindi, nel momento in cui la poesia si allontana dal verso libero e dal verso sciolto, per recuperare il suo esser canto originario, io credo che del sonetto non si potrà che farne l’elogio.
[1] da un intervento del Prof. Giuseppe Modica alla presentazione dei Canti a Prometeo – testo già citato