Il 13 e/o il 14 settembre dell’anno 1321 nella città di Ravenna muore Dante Alighieri: il più grande poeta che l’Italia abbia mai avuto. Viene seppellito con grandi onori in una cappella adiacente al muro del convento della chiesa di san Pier Maggiore.
Dante è il «padre» della lingua italiana: il novanta per cento del lessico fondamentale della nostra lingua italiana – insegna il professore e linguista Tullio De mauro – in uso oggi è già nella Commedia, la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale. Una delle più grandi opere della letteratura universale. La Commedia di Dante è un esempio insuperato di creazione poetica – osserva nel suo ultimo libro, Parola di Dante, il professore emerito di Storia della lingua italiana Luca Serianni – un serbatoio linguistico che alimenta il vocabolario della nostra lingua italiana. L’eredità linguistica, ma anche etica, culturale di Dante fatta di parole, espressioni, terzine, ecc. è immensa. La memorabilità dell’uomo-poeta Dante e delle sue opere ci faccia crescere e divenire adulti – in questo difficile tempo di crisi – anche in virtù della celeberrima terzina:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza (Inferno, XXVI; 118-120).
Dante nella Commedia non solo offre la sintesi più alta di quella grandissima epoca che è il Medioevo ma con essa si inaugura e schiude l’umanesimo, l’’età cosiddetta “moderna”. La virtù umana, letteraria, “divina” della Commedia ha e continua ad avere un influsso sulla e nella cultura universale senza pari. Torniamo e ritorniamo sempre a Dante quale autore di conoscenza e salvezza.