In questi primi giorni dell’anno, come era prevedibile, i social sono stati inondati da immagini e post relativi al 2020. Moltissimi hanno scritto, commentato e discusso, dell’anno appena trascorso definendolo “annus horribilis”. Indiscussa la voglia di cancellare i mesi in cui il mondo si è fermato, e soprattutto in cui noi ci siamo fermati, davanti ad un evento inaspettato ed imprevedibile. Ma onestamente il 2021 appena iniziato, a parte il miraggio del vaccino, peraltro molto contestato, non ci sta dando grossi segnali di cambiamento.
Torniamo al 2020. La macchina del tempo ha trovato ostacoli enormi che le hanno impedito di continuare a scandire le nostre giornate, le nostre ore e i nostri minuti. Ci sono immagini che non cancelleremo mai dalla nostra memoria: le strade vuote e deserte, i flash mob e la gente che cantava sui balconi per sentirsi più vicina, i carri militari che, in diverse città d’Italia, portavano via le persone decedute da seppellire o da cremare chissà dove, il personale sanitario stremato, i suicidi per disperazione, Papa Francesco sul sagrato della Basilica di San Pietro, che ai piedi del Crocifisso e sotto la pioggia, invocava la liberazione del mondo. Ed ancora le vittime invisibili di questo virus maledetto. I racconti di chi ha perso familiari o lavoro e molti altri ricordi incancellabili. Ripercorrere tutte le tappe di quello che è successo provoca brividi ed emozioni forti in tutti noi.
Quanto dolore, quante vite spezzate, quante lacrime abbiamo versato e visto versare. Tuttavia, questa voglia di voltare pagina sottolinea, ancor di più, le nostre fragilità che non conoscevamo e abbiamo scoperto di avere.
Riflettendoci questo 2020 ci ha insegnato qualcosa di molto importante: osservare quello che non volevamo vedere, comprendere che non si può dare nulla per scontato e riscoprire quei piccoli dettagli a cui non prestavamo più attenzione da tanto, anzi tantissimo, tempo. Insomma, ci ha ridimensionati e con prepotenza ha bussato al nostro cuore, facendoci capire che se ne stiamo ancora parlando significa che godiamo del dono della vita. Questo non è tutto perché l’elemento fondamentale, che viene fuori da questa analisi, è che da soli non riusciamo a salvarci, ma ci serve “l’altro”, il nostro “fratello”.
Papa Francesco ha voluto sottolineare l’importanza dell’unione tra gli Stati e tra tutti gli uomini. Non potrò mai dimenticare il testo dell’omelia di Papa Francesco, nel mese di marzo e in piena pandemia, che gridava al mondo: “Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”.
In questi giorni il Pontefice è tornato a parlare dell’unica soluzione possibile: “Quanto è importante educare il cuore alla cura, ad avere care le persone e le cose. Tutto comincia da qui, dal prenderci cura degli altri, del mondo, del creato. Non serve conoscere tante persone e tante cose se non ce ne prendiamo cura”. Lo ha fatto anche in una splendida intervista rilasciata in esclusiva mondiale al Tg5 Mediaset e firmata dal bravissimo giornalista siciliano, Fabio Marchese Ragona, nella residenza di Santa Marta in Vaticano.
La tempesta di cui ha parlato Papa Francesco ha messo in luce le nostre vulnerabilità e ha smascherato quelle effimere sicurezze che avevamo. Adesso sappiamo che la cura è il nostro prossimo e non possiamo pensare di affrontare le difficoltà da soli come isole, ma bisogna trasformarsi in un arcipelago pieno d’amore.
Proprio per questo spero che gli Stati riescano a “cooperare” per arginare questa pandemia, anziché innescare fenomeni di “concorrenza” a discapito dei più deboli. Spero, inoltre, che la Scienza continui a compiere passi da gigante per combattere questo virus invisibile e subdolo.
A noi non resta che ripartire consapevoli delle nostre debolezze e cercare di affrontarle con un nuovo senso di responsabilità.
Chiudo questa mia riflessione con la poesia di Johann Wolfgang Goethe dal titolo: “Anno nuovo” : “A noi che siamo tra il vecchio e il nuovo, la sorte dona queste ore liete; e il passato impone d’aver fiducia a guardare avanti e a guardare indietro”.
Pochi versi in cui il poeta ci suggerisce di avere fiducia e speranza. Dobbiamo continuare a sperare, perché nulla è perduto. Dobbiamo trarre dal dolore la forza per superare le difficoltà e risorgere, come l’Araba Fenice, dalle nostre ceneri. Sì, perché tutto rinasce se siamo noi che puntiamo alla rinascita. Mai dimenticare che solo la nostra “forza di volontà” può stravolgere e trasformare le nostre vite, ma non da soli ma insieme agli altri.
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