La voglia matta è un illustre antesignano della commedia sexy incentrato sul personaggio della lolita, interpretato da una maliziosa Catherine Spaak, che fa perdere la testa a un maturo professionista, immortalato da un grande Ugo Tognazzi. Lucio Salce firma regia, soggetto e sceneggiatura, anche se collaborano alla scrittura del film Castellano e Pipolo. La storia è ripresa da Una ragazza di nome Francesca di Enrico La Stella, contenuta nella raccolta Racconti d’Estate. Le musiche sono di Ennio Morricone e pescano a piene mani tra molti successi discografici anni Sessanta. Interpreti: Ugo Tognazzi, Catherine Spaak, Gianni Garko, Franco Giacobini, Jimmy Fontana, Beatrice Altariba e Luciano Salce.
Antonio Berlinghieri (Tognazzi) è un trentanovenne ingegnere milanese, separato, con amante e circondato da belle donne. Si trova in viaggio diretto a Pisa con la sua spider Alfa Romeo, per andare a portare un regalo dal figlio che conosce appena – affidato ipocritamente alle cure di una scuola cattolica – ma si trova a passare un giorno e una notte insieme a un gruppo di ragazzi in vacanza al mare. Francesca (Spaak) è una maliziosa lolita di quindici anni (in realtà ne ha diciassette) che seduce con la sua fresca bellezza il maturo uomo d’affari. Antonio si renderà ridicolo di fronte a lei e al gruppo di ragazzi solo per ottenere un bacio, una speranza d’amore, per soddisfare la sua voglia matta di possedere un corpo giovane e bello. Il film mette in scena uno scontro generazionale tra il quarantenne che si sente vecchio e non ascoltato in un gruppo dove i suoi valori non hanno alcuna importanza e nessuno lo sta a sentire per dovere. Antonio ripensa al suo mondo dove le donne ridono alle sue battute, come fanno pure i sottoposti, ma si rende conto che si tratta di puro compiacimento. I giovani sono sinceri e non hanno bisogno di adularlo, quindi non si sentono obbligati a ridere di storielle vecchie come il mondo. Salce è molto sarcastico: non mancano le frecciate per il borghese che non vuole invecchiare e aspira alle grazie acerbe della ragazzina, ma stigmatizza pure l’ignoranza dei giovani che non sanno chi sia Mussolini. “Sempre di Stalin e di Hitler si parla. Parliamo un po’ di Sinatra!”, dice una ragazzina dimostrando tutto il disimpegno dei giovani in un periodo storico caratterizzato dal riflusso. Tognazzi dà vita a un personaggio patetico e senza speranza, ridicolo fino alla fine, quando si troverà solo sulla spiaggia con un pugno di mosche in mano e dovrà tornare alla solita vita. Un uomo che vede le donne solo “in orizzontale” si trova a scendere tutti i gradini della degradazione morale di fronte alla fresca esuberanza di una ninfetta provocante.
Catherine Spaak è a rischio censura in numerose scene, quando mostra le spalle nude, maglione corto e lunghe gambe, un audace bikini, ma anche quando si concede a baci appassionati tra le braccia di ragazzi e sulla spiaggia accanto all’ingegnere. Perfetta come lolita maliziosa che irretisce un uomo maturo, perso nel sogno di eterna gioventù che gli permetterebbe di conquistare una ragazzina. Emblematica la parte onirica dove Antonio si immagina sposato con Francesca e la presenta agli amici come una ragazzina che non riesce a comportarsi in maniera adulta. La crisi del quarantenne che cade tra le braccia della lolita è descritta in maniera credibile, tratteggiando la figura di un uomo che perde la testa e sogna una storia d’amore impossibile. Francesca si bacia in auto con uno dei tanti fidanzati, parla volgare, scandalizza il perbenismo borghese di Antonio, lo spinge a guidare come un folle, provocando un malandrino contatto con le sue gambe. Catherine Spaak è un’attrice francese naturalizzata italiana, proviene da una famiglia belga composta da attori, uomini di cinema e politici. Debutta nel cinema a soli 14 anni ne Il buco (1959) di Jacques Becker, mentre in Italia il primo ruolo da lolita è ne I dolci inganni (1960) di Alberto Lattuada, visto che ha soltanto 15 anni e interpreta lo stereotipo dell’adolescente spregiudicata. Un volto sorridente, capelli biondi pettinati a caschetto e splendidi occhi chiari ne fanno un’icona sexy del lolitismo con un personaggio tipico che verrà riproposto in numerosi film nel corso degli anni Sessanta. La voglia matta è una pellicola caratterizzata da molte scene e battute maliziose, ancora oggi risulta interessante come precursore della moderna commedia erotica. La regia di Salce è a metà strada tra le ambizioni d’autore e il lavoro artigianale del confezionatore di momenti comici incastonati con il meccanismo del flashback e degli sketch. Il finale è triste e malinconico, quasi felliniano. “Che rabbia. L’estate è finita e adesso viene l’autunno”, mormora Francesca. L’ingegnere fa già parte del passato, di una notte d’estate, di un soffio di vento giovanile che spazza via i momenti del quotidiano. Antonio riprende la strada dal punto preciso in cui l’aveva interrotta, distrutto moralmente, convinto che il tempo migliore della sua vita è irrimediabilmente perduto.