Italia a “crescita zero”? Magari: la situazione è molto peggiore

Articolo di C. Alessandro Mauceri

Quando si parla di “crescita” o di “decrescita” di un paese, di solito, si pensa subito a dati economici e finanziari. Ma c’è un altro campo, non meno importante, in cui si dovrebbe tenere d’occhio il trend: quello demografico.

Che l’Italia è un paese a “crescita zero” non è una novità. Già prima del 2020, ovvero prima della pandemia, il numero dei nuovi nati in Italia era inferiore a 2 per famiglia (due figli per coppia significa stasi: non crescita, ma nemmeno calo della popolazione nazionale). I numeri, però, dicono qualcosa di diverso e indicano una situazione preoccupante. I dati riportati ISTAT del bilancio demografico 2020, sulla base dei dati di Anpr, l’Anagrafe nazionale della popolazione residente, dicono che, nel 2020, a fronte di 400mila nuovi nati, sono state circa 700mila persone decedute. A lanciare l’allarme è stato lo stesso presidente ISTAT, Gian Carlo Blangiardo, che ha parlato di “una soglia mai raggiunta negli oltre 150 anni di Unità Nazionale”. Il limite inferiore dei 400mila nati “è un limite oltre il quale nell’arco degli ultimi cent’anni ci si è spinti nel 1920, e nel corso della Seconda Guerra Mondiale”.

Le cause? Di sicuro, la pandemia: ha fatto crescere il numero delle persone decedute. Secondo Blangiardo, l’Italia uscirà da questo periodo di pandemia con una demografia profondamente mutata: “Se prima del 2020 le tre grandi ripartizioni, Nord, Centro e Mezzogiorno, accentravano rispettivamente il 47%, 20% e 33% del totale dei morti in Italia, nel 2020 il Nord si è accresciuto di quasi 4 punti percentuali, raggiungendo la metà del totale nazionale (50,5%), mentre il Centro ha perso 1,3 punti e il Mezzogiorno ne ha persi 2,4”.

Ma, leggendo bene il rapporto si capisce che il vero problema non sono le morti, ma le poche nascite. Il problema è che, in Italia, non si fanno più figli. E, in questo caso, il motivo non è (solo) la pandemia. Stando ai numeri, lo scorso anno c’è stato un netto calo dei matrimoni, che registrano un -50,3%, praticamente la metà dell’anno precedente: da Gennaio a Ottobre 2020 sono stati circa 85mila i matrimoni, a fronte dei 170mila nei primi dieci mesi del 2019 (erano 182mila nello stesso periodo del 2018). La riduzione più rilevante è stata registrata al Sud dove, da sempre, si registra il maggior numero di unioni religiose e dove, negli ultimi mesi, si è verificato il maggiore ridimensionamento (in negativo) delle stesse.

E, di conseguenza, i nuovi nati. Il totale, nei primi 10 mesi del 2020, sarebbe di 343mila nascite. Novembre e Dicembre sono ancora un’incognita, ma questi sono i mesi più segnati dall’effetto pandemia sulla fecondità della popolazione. Blangiardo ha paragonato ciò che è avvenuto in Italia nel 2020 al disastro di Chernobyl del 1987,  quando, a causa della nube tossica, le nascite fecero registrare un calo drammatico per paura degli effetti delle radiazioni. “A distanza di nove mesi dalla drammatica comparsa della pandemia, è verosimile immaginare che, così come accadde per la caduta delle nascite al tempo della grande paura per la nube tossica di Chernobyl, anche in questa circostanza ci siano stati frequenti rinvii nelle scelte riproduttive”. “Nel 2020 è legittimo aspettarsi un sensibile calo di nascite nel mese di dicembre, con qualche primo debole segnale già a novembre, per via dei concepimenti nella seconda metà di febbraio e/o degli eventuali parti pre-termine”.

Anche le migrazioni, che negli ultimi anni avevano mitigato il calo delle nascite nel Bel Paese, sono diminuite: nel 2020 le migrazioni sono calate del 17,4%. A questo si devono aggiungere la riduzione del 6% degli spostamenti interni rispetto al quinquennio 2015-19 e del 42% e 12% di quelli da e per l’estero.

Poche le speranze di tornare a livelli ragionevoli nel breve periodo. Anzi: “C’è la piena convinzione che, a meno di inaspettati e improbabili fattori a supporto della fecondità, difficilmente si ci potrà sollevare in tempi brevi dalla soglia dei 400mila nati toccata nel 2020. In realtà, il timore è che il confine possa ancor più discostarsi, sempre al ribasso, nel bilancio finale del 2021”.

Non bisogna dimenticare, infatti, un altro fattore che influenza in modo determinante il numero delle nascite: la ricchezza pro-capite. Ma anche sotto questo punto di vista le previsioni sono negative: i dati ISTAT (da un’indagine su 1.019.786 imprese di 3 e più addetti che operano nel settore dell’industria e dei servizi) parlano di 73.000 imprese chiuse, circa il 7,2% del totale. Ma se si guarda al registro delle imprese monitorato da Unioncamere e Infocamere, nel 2020 ad aver chiuso definitivamente sarebbero state ben 273.000 imprese. Cupe anche le previsioni di Confcommercio che parlano di chiusura definitiva di oltre 390mila imprese del commercio non alimentare e dei servizi.

Tutti problemi dei quali nell’agenda del nuovo governo Draghi non si legge praticamente nulla. L’unica cosa certa è che qui non basteranno le promesse o la fama del nuovo premier (come è avvenuto con lo spread crollato improvvisamente alla notizia del conferimento dell’incarico). Ci vorranno misure concrete e tempo per far credere agli italiani che è il momento buono per sposarsi. E per fare più figli.

Foto: wired.it

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