Dante Alighieri, nella sua Commedia, cita la Sicilia in diverse circostanze, lo fa due volte nell’Inferno: al VII Canto (vv. 22-23) quando parla dello scontro nello stretto di Messina tra Scilla e Carridi “Come fa l’onda là sovra Cariddi, che si frange con quella in cui s’intoppa” e una seconda volta al XIV Canto (vv. 56-57) quando nomina l’Etna “in Mongibello a la focina negra, chiamando “Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”. Nella cantica del Paradiso, d’altra parte, la cita altre due volte: al Canto VIII (v. 67) quando la contrassegna come “bella Trinacria” (famosissimo e antichissimo simbolo dell’isola che raffigura una testa femminile con tre gambe piegate da essa moventi) e al Canto XIX (vv. 130-132) quando l’aquila gli parla delle colpe del re che governa la Sicilia, Federico III di Trinacria – o Federico II d’Aragona – e quando dice che Anchise, padre di Enea, morì vecchio sull’isola del fuoco (in riferimento all’Etna naturalmente), secondo il mito, precisamente nella città di Trapani: “Vedrassi l’avarizia e la viltate di quei che guarda l’isola del foco, ove Anchise finì la lunga etate”. In effetti la Sicilia è una terra ricca di storia della Magna Grecia e di storie popolari che vanno a ritroso nel tempo, che hanno come protagonisti tiranni, dèi e ninfe.
Abitata sin dal Paleolitico, la Sicilia è la storia di uomini e donne che nei secoli l’hanno resa una terra voluta, amata, criticata, conquistata, abbandonata, una terra di pace, aperta al dialogo, ma anche una terra purtroppo molto insanguinata. La Sicilia – prima dimora di gente rappresentata sui graffiti dell’Addaura, poi sede di re e imperatori – è una terra che vanta di un clima da fare invidia e di una natura veramente irripetibile da altre parti del mondo; una terra viva, ricca di vulcani che hanno dato forma a stupefacenti isolotti sparsi qua e là nel Mare Nostrum. La Sicilia – culla della Scuola Siciliana nata presso la corte dello Stupor Mundi nel XIII sec. – è un luogo fantastico che abbonda di racconti mitologici e leggendari, favole, fiabe, proverbi e riti religiosi. Vincenzo Consolo, scrittore siciliano del XX secolo, scrisse che la Sicilia è “Storia di classici equilibri, di decadenze, di crolli, di barbarie. Crogiuolo di civiltà, babele delle razze e delle lingue”.
Per tutte queste cose la Sicilia venne messa negli itinerari del Grand Tour intrapreso dai giovani europei aristocratici del XVIII e XIX sec. tra cui il drammaturgo tedesco Johann Wolfgang Von Goethe che nel suo diario di viaggio – diventato la straordinaria opera dal titolo “Viaggio in Italia” (1816-1817) – tra giovedì 29 e venerdì 30 marzo del 1787, scrisse: “Non come l’altra volta… quando c’era un vento favorevole… bensì un vento contrario… siamo venuti a sapere quanto la navigazione dipenda dalla caparbietà del tempo… Un’atmosfera caliginosa, con il sole nitido, e perciò le pareti rocciose di Sorrento in ombra di un blu bellissimo. Napoli illuminata e vivace brillava di tutti i colori. La nave si è mossa solo al calar del sole… il vento contrario ci ha spinto verso Posillipo… All’alba ci siamo trovati tra le isole di Ischia e di Capri…”, e con queste frasi cominciava la sua traversata che dalla costa napoletana lo portava a Palermo, dove arrivò il 2 aprile, nel primo pomeriggio, dopo tantissime ore di viaggio in acque nemmeno poi tanto calme, infatti scrisse: “Finalmente con tanta fatica… alle tre siamo arrivati nel porto, dove ci aspettava un gran bello spettacolo… La città, esposta verso nord, giace ai piedi di alte montagne; sopra di essa… brillava il sole. I nitidi lati all’ombra di tutti i palazzi ci guardavano, illuminati dai riflessi. Il Monte Pellegrino a destra, le sue graziose forme in una luce perfetta, a sinistra la costa lunghissima con insenature, lingue di terra e promontori”.
Per Goethe, appassionato delle antichità, andare alla scoperta della “Regina delle isole” (egli visitò Palermo, Messina, Agrigento, Catania, Taormina, Caltanissetta, Castro Giovanni, Segesta, Alcamo, Monreale, Castel Vetrano, Sciacca) significava andare alla ricerca della grecità, ossia delle origini greche dell’isola stessa, e questo viaggio fu così importante per lui che definì la Sicilia la “chiave di tutto”: i turisti in Italia non potevano andarsene senza visitarla perché, se lo avessero fatto, sarebbe stato come se non fossero mai venuti nel Paese dove tutto ebbe inizio, dove il concetto stesso di civiltà, con i Romani, nacque. Per Goethe definire la Sicilia chiave di tutto equivaleva a un concetto molto importante ripreso, poi, da altri scrittori siciliani più tardi. Il concetto prevedeva l’unione di vari elementi sociali e culturali diversi e, spesso, opposti tra loro caratterizzanti l’isola: “ricchezza e miseria”; “bellezza e bruttezza”; “moralità e bruttura”; “armonia e disarmonia”; “giustizia e ingiustizia”; insomma la Sicilia fungeva da reale specchio della società dell’intero Paese e Goethe lo ha scritto molto bene nel suo diario. L’isola diventa, pertanto, una sineddoche di civiltà italiana: il termine Sicilia venne perciò usato per indicare l’Italia intera. Come detto sopra, questa idea verrà ripresa, seppur talvolta esagerando, in moltissima della nostra letteratura ottocentesca e novecentesca attraverso i romanzi di vari autori siciliani come Giovanni Verga, Luigi Pirandello, Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo, Andrea Camilleri. Tra gli scritti di Leonardo Sciascia, d’altro canto, emerge che, quando si parla della Sicilia, si parla automaticamente dell’intero continente e forse addirittura di tutto il pianeta: “La Sicilia offre la rappresentazione di tanti problemi, di tante contraddizioni, non solo italiani ma anche europei, al punto da poter costituire la metafora del mondo odierno”.
Ritornando al suo tour siciliano, il drammaturgo tedesco venne colpito dal clima della Sicilia, lo definì dolce, mite e tiepido; dalla natura veramente più unica che rara, infatti il suo sguardo si perdeva ammirando lembi di terra fertilissima, alberi e fiori colorati, frutteti sparsi qua e là e diversi promontori che si gettavano direttamente in un mare splendidamente azzurro. Fu colpito dall’area profumata di agrumi in cui, per le vie cittadine, si muovevano le carrozze dei nobili. A Palermo la sua attenzione fu catturata dal culto di Santa Rosalia, così ne visitò i luoghi sacri, salì sul Monte Pellegrino dove un tempo furono trovate le sante reliquie. In quei luoghi rimase talmente colpito dalla statua della santa che “non potevo saziarmi di guardare”, scrisse. Visitò molte chiese del capoluogo siciliano e vari luoghi storici che vantavano di monumenti antichissimi: ora descrive il Tempio di Segesta, ora la Valle dei Templi di Agrigento; ora il Tempio della Concordia e ora il teatro antico di Taormina. Tuttavia furono diverse le cose che lo scrittore non gradì, tra cui l’immondizia abbandonata nelle vie: “Per tutti i santi, ditemi, da dove viene la sporcizia della vostra città? Non c’è rimedio? Questa strada concorre in lunghezza e bellezza con il Corso di Roma. Su ambedue i lati i proprietari di negozi e botteghe tengono puliti i marciapiedi spazzando continuamente e spingendo tutto in mezzo alla strada, dove lo sporco si accumula e da dove viene però mandato indietro a ogni brezza di vento”, annotò nel suo diario, lamentandosi della spazzatura che, sparsa nelle immediate adiacenze delle strade principali di Palermo, catturata dal vento, sprigionava cattivo e fastidioso odore, essendo essa composta da mangime di animali, avanzi di cibo e quello strato di erbe secche e paglia che serviva come alimenti e come lettiera per il bestiame, oltre al fatto che la fetente polvere investiva chiunque si trovasse in quegli spazi. Tuttavia, quando ormai il 15 maggio di quell’anno Goethe si ritrovava su una nave che lo riportava verso il Continente, la Sicilia, con tutte le sue bellezze mediterranee, terra in cui venne ospitato Ulisse, funse da fonte di ispirazione per la sua scrittura e Goethe mai la dimenticò. Pertanto bene scrisse la frase: “L’Italia senza la Sicilia non lascia nello spirito immagine alcuna: qui è la chiave di tutto”.
La Sicilia è sempre stata fonte di ispirazione per poeti e scrittori sin dal principio con la Scuola Siciliana, passando per i primi due testi scritti interamente in siciliano che sono due curiose ricette; per l’inventore del Sonetto; per il bellissimo contrasto “Rosa fresca aulentissima”; per il Sommo e numerosi altri poeti e scrittori; senza dimenticare Goethe e il Commissario Montalbano. Oggi la Regione Siciliana, con la Legge Regionale del 31 maggio 2011, promuove l’insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole.