Juan Carlos Cremata Malberti, un autore per ragazzi

Articolo di Gordiano Lupi

Juan Carlos Cremata Malberti è un attore, scrittore e regista nato nel 1961. Si laurea nel 1986 in Teatro e Drammaturgia presso l’Istituto Superiore di Arte ed è membro dell’UNEAC (Unione degli Scrittori Cubani). Frequenta la Scuola di Cinema di San Antonio de los Baños e per molti anni scrive e dirige programmi per bambini per la televisione cubana. Inviato a numerosi festival internazionali: Oberhausen, Mannhein, Berlino, Londra, Amburgo, Viña del Mar, San Paolo e molti altri. Impartisce conferenze e lezioni presso le Università di Roma, Santiago del Cile, Panama e in molti paesi europei. Professore di montaggio cinematografico presso l’Università di Buenos Aires e di Regia Cinematografica presso la Scuola Panamericana di Grafica e Pubblicità del Centro di Sperimentazione Cinematografica di Buenos Aires. Nel 1996 ottiene una borsa di studio a New York e nel 1998 viene invitato in Messico per tenere un corso di sceneggiatura.

Juan Carlos Cremata è fondamentalmente un autore per ragazzi, le sue storie migliori vedono protagonisti dei bambini, in alcuni casi sceneggia fabie classiche, ma si contraddistingue anche per una marcata vena pedagogica. Il suo limite consiste in una visione del mondo semplificata, persino edulcorata, per una scarsa problematicità e una spiccata tendenza al lieto fine. I suoi film non hanno grande complessità, partono da un determinato assunto e si pongono il compito di dimostrarlo in maniera didascalica. La linea di pensiero di Cremata non si discosta molto dalle tesi dominanti, il suo scopo è quasi sempre quello di far capire che la fuga non è una scelta responsabile e che un cubano deve vivere nella sua terra lottando giorno dopo giorno per ottenere dei risultati tangibili.

Vediamo in sintesi la sua opera, soffermandoci sulle pellicole più interessanti che il regista ha realizzato negli ultimi anni. 

Oscuros rinocerontes enjaulados (muy a la moda) (1990) è un ironico cortometraggio sperimentale di sedici minuti, girato in bianco e nero, influenzato dal miglior cinema cubano degli anni Sessanta. Il regista scrive anche la sceneggiatura e narra le gesta erotiche di un’impiegata delle pulizie che scopre il suo capo del personale mentre fa chiamate oscene al telefono.

La Época, el Encanto y Fin de Siglo  (1999) è un documentario a colori di 27’, scritto dal regista con la collaborazione di Julio Carrillo per raccontare un’epoca passata attraverso i luoghi dove si facevano acquisti. Nel 1959 negozi come La Época, El Encanto e Fin de Siglo erano i più popolari della capitale cubana. Sono passati quarant’anni e certi nomi evocano domande, riflessioni e malinconie.

La prima fiction di Juan Carlos Cremata è Nada (2001), un lungometraggio di 92’, girato in un originale bianco e nero che si unisce a suggestive colorazioni di stampo surreale. Produce ICAIC (Cuba) con la collaborazione economica di Canal Plus (Spagna), DMVB (Francia) e Intramovies (Italia). Il soggetto e la sceneggiatura sono del regista e di Manuel Rodríguez, la fotografia è di un ispirato Raúl Rodríguez Cabrera, il montaggio non proprio serrato è di Antonio Pérez Reina, mentre la colonna sonora – a metà strada tra tradizione e rap – è opera di un diligente Edesio Alejandro. Bravi gli interpreti, soprattutto la protagonista femminile, indiscussa prima donna della storia. Thais Valdés, Nassiry Lugo, Daisy Granados, Paula Alí, Edith Massola sono gli attori principali. Il film vince un premio importante al Festival del Vesuvio di Napoli (2002). Cremata presenta la sua opera prima al Festival di Cannes e si aggiudica numerosi premi nazionali e internazionali. Il regista avrebbe l’intenzione di realizzare una trilogia su questo tema e le successive opere dovrebbero intitolarsi Nadie e Nunca. Il progetto si arena per mancanza di produttori.

Nada affronta lo spinoso tema delle fughe da Cuba e cerca di dare una risposta alla questione amletica: andarsene o non andarsene? Il regista racconta la storia di Carla (Thais Valdés), una giovane ragazza che resta sola quando i genitori emigrano a Miami e la iscrivono alla lotteria – il famoso Bombo – per ottenere anche per lei il visto e la residenza permanente negli Stati Uniti. Carla lavora come impiegata in un ufficio postale insieme al postino César (Nassiry Lugo) e a Cunda (Daysi Granados), ambiziosa amministratrice che ha sostituito un inetto funzionario e pretende una rigida disciplina per trasformare il posto di lavoro in Unità Modello. Cunda imposta l’ufficio secondo regole severe e normative da rispettare, ma soprattutto chiede grande dedizione al dovere. La storia comincia quando Carla versa una tazza di caffè su una lettera e scopre come aiutare il prossimo in maniera anonima. Apre la busta per restaurare il contenuto, legge la missiva e pensa di riscriverla migliorando il testo, rendendo tutto più romantico e struggente. Questa prima buona azione la spinge a prelevare ancora lettere dall’ufficio, riscrivendole e inviandole ai destinatari. Saranno lettere d’amore, di nostalgia, di apprezzamento, in ogni caso sempre messaggi positivi che spingono le persone ad avere un buon ricordo di chi le scrive. Tra le migliori citiamo un’intensa lettera di una figlia che vive all’estero rivolta al padre lontano, ma in altre apprezziamo citazioni da José Martí e altri scrittori cubani. Carla si fa aiutare dal postino César, che prima pensa a una follia della compagna, quindi si dedica anima e corpo al progetto di migliorare la vita delle persone. Carla entra in crisi quando giunge la notizia che ha vinto la lotteria dei visti ed è libera di raggiungere i genitori a Miami. Si tratta di decidere tra restare a Cuba e continuare ad aiutare il prossimo oppure partire verso un futuro ignoto. Non è una scelta facile. In un primo tempo Carla decide per la partenza e le sequenze di addio tra lei e il suo innamorato sono molto struggenti, ma subito dopo vediamo il ritorno a Cuba tra le braccia del postino mentre le onde si infrangono sulla scogliera del Malecón. Il regista opta per un finale un po’ troppo da telenovela ma è di sicuro effetto per uno spettatore caraibico. Cremata inserisce velate critiche sociali come un primo piano del Granma che – succeda quel che succeda – parla solo della raccolta della canna da zucchero, ma cirtiamo anche due persone sedute all’ufficio postale che ogni giorno dicono sempre le stese cose per far capire l’immobilismo della realtà cubana. Molto originale la tecnica di ripresa da cartone animato che rappresenta alcuni caratteri servendosi di eccessi e di sequenze surreali. Cremata osserva la realtà con occhio attento, riprende volti di cubani, scene di vita quotidiana e caratteri tipici che popolano la realtà avanera. La figura della vicina petulante e curiosa che non lascia in pace la povera Carla è presa dal quotidiano di un quartiere cittadino. Molto vera la morale finale: “Chi se ne va non cambia le cose e se tutti se ne vanno non cambierà mai niente”.

Viva Cuba (2005) è una pellicola di ottanta minuti scritta da Juan Carlos Cremata e Manuel Rodríguez che gode di una buona versione italiana, pure se non è stata molto vista. Si tratta di un film realizzato per la televisione cubana, un tenero road movie che racconta una storia con protagonisti due bambini, ma al tempo stesso illustra molti luoghi caratteristici di Cuba. Il regista racconta la profonda amicizia infantile tra Malú e Jorgito, che si sono promessi fedeltà per tutta la vita, anche se le rispettive famiglie si detestano. Quando la nonna di Malú muore, la mamma decide di sposare uno straniero per andare a vivere fuori di Cuba. Il regista mostra la madre di Malú sempre al telefono, depressa, disperata, incapace di reagire ai problemi del quotidiano. La donna proviene da una famiglia borghese, si dà delle arie, non si confonde con gli abitanti del quartiere, soprattutto disprezza la madre di Jorgito e vorrebbe che la sua bambina non lo frequentasse. Malú e Jorgito decidono di scappare con mezzi di fortuna lungo le strade dell’isola e di andare alla ricerca del padre separato della ragazza che fa il guardiano del faro a Punta Maisí. Malú non vuole abbandonare Cuba, la sua vita, i compagni, la scuola e soprattutto il suo amico Jorgito. Per questo vorrebbe implorare il padre di non concedere la firma per la partenza. La fuga dei ragazzini unisce nel dolore e nella preoccupazione le due madri che si detestavano. Inizia la ricerca affannosa da parte dei genitori e della polizia, mentre i bambini raggiungono la parte più selvaggia di Cuba passando da Varadero, Matanzas, Sancti Spiriti, Trinidad e Baracoa. Le famiglie si riuniranno al faro di Punta Maisí, ma la speranza per il futuro sono i bambini che si allontanano sulla scogliera mentre i rispettivi genitori litigano. Stupenda la fotografia di Manuel Pérez che realizza immagini suggestive dei tetti avaneri, dei quartieri portuali, della spiaggia di Varadero, della Trinidad coloniale, di Baracoa e della campagna cubana. Il regista trova il modo per citare la leggenda del guike, un negretto selvaggio che vive nei boschi e spaventa i bambini con il suo aspetto orribile. Si affronta in maniera molto leggera il tema del machismo con la figura di uno stereotipato padre di Jorgito che legge Trabajadores, picchia il figlio e giudica non da maschi giocare con le ragazzine. Vediamo la scuola cubana, l’alzabandiera dove i bambini gridano: “Pionieri per il comunismo, saremo come il Che!”, ma tutto è troppo bello e perfetto per essere vero. Cremata non mostra mai le cose che non vanno, i problemi, i difetti del sistema, ma frena quando sarebbe il caso di accelerare. Sono parti molto suggestive sia la morte improvvisa della nonna di Malú – molto legata alla bambina – che la cerimonia della scatola del tempo contenente i desideri seppellita sotto un albero. Interessanti i giochi dei bambini cubani, tipici di una società simile alla nostra Italia anni Sessanta: biglie, nascondino, chiapparello, trottola…Il film serve anche per mostrare le bellezze di Cuba e il viaggio dei due bambini funge da guida turistica per lo spettatore internazionale. Molto intenso il tema dell’amicizia: “I veri amici lo sono per sempre”, ammonisce un uomo che incontrano lungo il cammino quando un litigio dopo tante difficoltà rischia di far separare i bambini. Il legame con la terra natia è un altro valore importante: “Non lasciare che mi portino via!”, grida Malú al padre. Un abbraccio tra i due bambini chiude una pellicola che è ottima per i piccoli spettatori ma che ha il difetto della prevedibilità e non presenta molta profondità psicologica. Il regista afferma: “La prima delle nostre intenzioni era quella di far riflettere i genitori prima di decidere, spingerli a consultare i bambini e a tenere in considerazione le loro opinioni quando si tratta di prendere una decisione importante come quella di andare a vivere in un altro paese. Viva Cuba ricopre uno spazio importante nella cinematografia cubana per bambini, perché non è un film dedicato soltanto a loro, ma è consigliata per tutta la famiglia. Per questo è stata catalogata come una pellicola per tutte le età”. Viva Cuba è il  lavoro più conosciuto e premiato di Cremata che si guadagna il favore del pubblico nazionale e internazionale, anche se la sua visione del mondo è viziata da un eccessivo ottimismo e da poca problematicità. Il film riceve i seguenti premi: Grand Prix Ecrans Juniors (Cannes, 2005), Miglior Film al Festival Internazionale di Cinema di Wurzburg in Germania (2006), Premio d’Oro al Lungometraggio al Festival del Cinema Infantile del Cairo, in Egitto (2007). Interpreti: Malú Tarrau, Jorge Miló, Luisa María Jiménez, Laritza Vega, Eslinda Núñez, Manuel Porto, Alberto Pujols. Direzione artistica: Guillermo Ramírez Malberti. Montaggio: Angélica Salvador. Musica: Amaury Ramírez Malberti, Slim Pezin. Fotografia: Manuel Pérez. Produzione: QUAD productions (Francia), il gruppo creativo El Ingenio TVC Casa Productora, e La Colmenita.

El premio flaco (2008) è l’ultimo film di Juan Carlos Cremata, che firma anche soggetto e sceneggiatura di un lavoro basato sull’omonima opera teatrale di Héctor Quintero. Risulta accreditata come coregista Iraida Malberti. Interpreti: Rosa Vasconcelos, Carlos Gonzalvo, Paula Alí, Omar Franco, Yerlín Pérez López, Sandy Marquetti, Blanca Rosa Blanco, Luis Alberto García, Alina Rodríguez, Osvaldo Doimeadios. Siamo nel 1958, ci troviamo nel quartiere di Luyanó dove Illuminata vive in una piccola casa di legno e in una situazione economica precaria. Ha sposato un collega di lavoro dei tempi del circo che la odia con tutto il cuore, finge di suicidarsi per farla soffrire e vuole solo farsi mantenere. La sorte di Iluminata cambia repentinamente quando trova un premio all’interno di una confezione di sapone marca Rina, che le fa vincere una casa nuova. La donna aiuta i vicini di casa, la sorella che fa la cantante e la madrina con i suoi figli, a ciascuno fa un regalo o un favore per far superare le difficoltà. Accoglie nella piccola casa la madrina con i quattro figli e le consegna la sua vecchia abitazione per trasferirsi in quella che ha vinto. La Rivoluzione è alle porte, Batista bombarda alcune zone dell’Avana per stanare i ribelli e distrugge la casa nuova di Illuminata. A questo punto viene fuori l’egoismo umano, il regista vuol trasmettere il messaggio che in una società capitalista prospera l’individualismo e nessuno si occupa del prossimo. La donna è in difficoltà, ma nessuno muove un dito per lei, neppure chi aveva avuto un favore o un regalo, persino la madrina la caccia di casa. Il finale vede Illuminata truccata da clown insieme all’odioso marito mentre suona la trombetta e viene derisa da tutti. Soltanto due bambini – speranza per un futuro migliore – soffrono di fronte al destino di Illuminata. Pure la donna confida in un mondo migliore, lei è la caratterizzazione della bontà, spera ancora nelle qualità umane e pensa che non tutti sono come le persone che conosce.

Juan Carlos Cremata realizza un film teatrale, quasi tutto girato in interni, recitato sopra le righe, molto verboso e ridondante, dove i personaggi sono tutti troppo buoni o troppo cattivi, quindi poco realistici. Pare una fiaba per adulti, una telenovela strappalacrime, un drammone sentimentale sostenuto da una trama esile e prevedibile. Cremata rasenta il ridicolo quando nel finale vorrebbe citare La strada (1954) di Federico Fellini, ma i suoi personaggi non hanno un briciolo di profondità, Ottavio non ha la forza di Zampanò (Anthony Quinn) e Rosa Vasconcelos non è certo Giulietta Masina. Un film lento, dai ritmi televisivi, poco profondo, grottesco e apprezzabile soltanto da un pubblico latino, incline come gusto alla telenovela e al sentimentalismo kitsch. Da salvare una fotografia surreale, una colorazione da film fantastico e alcuni brani musicali ben amalgamati da Amaury Ramírez Malberti in un’ottima colonna sonora. Il carattere individualista dei cubani è ben rappresentato.

Juan Carlos Cremata è un buon regista da un punto di vista tecnico, perfetto per lavori televisivi e a carattere pedagogico. Le sue storie sono spesso improbabili e poco realistiche, ma il regista non si pone troppo il problema. Il suo compito è solo quello di educare divertendo  e il suo pubblico ideale sono i bambini.

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