La chiave segna l’inizio di una nuova era per Tinto Brass, ma è anche la spinta per rivitalizzare una specializzazione importante del cinema italiano come la commedia erotica. La pellicola viene preceduta da un incredibile bombardamento mediatico, soprattutto a mezzo stampa, perché ancora la televisione non ha raggiunto livelli di potere assoluto. Le riviste per adolescenti come Gin Fitz e Blitz fanno a gara per pubblicare immagini rubate dal set dove la Sandrelli appare in seducenti e imprevisti nudi integrali. Riviste serie come L’Esprersso e Panorama dedicano copertine e servizi speciali, mentre quotidiani importanti come Repubblica e Corriere della Sera confezionano intere sezioni a base di interviste e commenti. Per non parlare dei giornali popolari che vanno a nozze con la notizia di una Sandrelli mai così nuda e seducente, presa d’assalto da fotografi e giornalisti, ma soprattutto lanciata verso una nuova fase della sua carriera. Domenica In, condotta da Pippo Baudo, intervista una per niente imbarazzata Stefania Sandrelli che difende a spada tratta il film e giustifica le sequenze erotiche come funzionali alla storia. L’attrice viareggina ha perfettamente ragione. La chiave resta nelle maglie del cinema normale ma spinge la macchina da presa in luoghi che sino a quel momento non era consentito esplorare. Stefania Sandrelli è la chiave (perdonate il gioco di parole) del successo di un film che Tinto Brass costruisce attorno a un corpo da splendida trentasettenne, che nello stesso anno interpreta il fondamentale Vacanze di Natale di Carlo Vanzina.
La trama è abbastanza semplice.
Il film è ambientato a Venezia, durante il periodo fascista. Siamo nel 1939, poco prima della dichiarazione di ingresso in guerra pronunciata da Mussolini. John Brian Rolfe, detto Nino (Finlay), è un anziano critico d’arte, che per denaro rilascia certificati di autenticità a vere e proprie croste. La moglie Teresa (Sandrelli) è più giovane di lui, non è una ragazzina, ma è bella e seducente. Nino tiene un diario segreto in cui confessa sensazioni e desideri proibiti nei confronti della moglie. Il titolo del film è preso a prestito dalla chiave del cassetto dove il marito nasconde il diario e che fa trovare alla moglie, perché possa leggere e rispondere. Il gioco erotico tra moglie e marito si fa più intenso quando Nino favorisce il rapporto tra Laszlo Apony (Branciaroli), il fidanzato della figlia (Cupisti), e sua moglie. Il tema è caro a Brass e verrà sviluppato nei film successivi: il tradimento, la trasgressione, la complicità tra moglie e marito e la gelosia riaccendono il matrimonio. La frase di lancio del film riprende questa vecchia idea del regista: “Nella coppia l’abitudine addormenta il desiderio. La chiave lo risveglia”. La pellicola viene venduta come un rivitalizzante erotico per coppie a caccia di emozioni forti.
La chiave gode di una perfetta ambientazione veneziana, location preferita da Brass, cantore unico della sua terra, capace di immortalare i silenzi dei sotoporteghi e delle calle buie e pestilenziali, ma pure giornate di pioggia, raffiche di vento e assolati pomeriggi marini. La colonna sonora di Ennio Morricone conferisce ulteriore pregio al film inserendo motivetti in voga come Maramao perché sei morto, Ma le gambe, Un’ora sola ti vorrei e l’Inno dei giovani fascisti, ma soprattutto realizzando una credibile cornice d’epoca. La fotografia di Silvano Ippoliti è perfetta, sia negli esterni veneziani che negli interni girati alla De Paolis, che hanno per soggetto il corpo abbondante della Sandrelli, spiato e immortalato nella sua bellezza naturale. Tinto Brass non perde occasione per inserire stoccate nei confronti della borghesia pettegola e perbenista, che commenta e depreca comportamenti sconvenienti solo perché non ha il coraggio di averne. Tinto Brass compare in un rapido cammeo come prete che dal confessionale grida a Stefania Sandrelli un monito in latino sulla fedeltà coniugale: “Non licet uxori delectari de copula aliena cogitata ut se excitet ad coitum cum marito”. Non si sa quanto sia un sogno della protagonista e quanto realtà, ma la sequenza viene inserita per condannare il moralismo bigotto.
La chiave presenta molte le sequenze calde e per questo sconsigliamo di vedere la versione televisiva distrutta dalla censura. Siamo andati a riscoprire una curiosa versione distribuita in Gran Bretagna che mantiene le scene originali del film e presenta alcuni passaggi in italiano nei momenti richiesti dalla trama. Stefania Sandrelli si doppia in inglese, così come Finlay recita in italiano le poche battute previste da esigenze di copione. Tinto Brass inserisce il suo immancabile topos sulla pipì ed è la prima volta che lo fa in maniera esplicita, fotografando la Sandrelli in un vicolo veneziano, mentre il marito la osserva e recita poesie. I giochi erotici tra moglie e marito sono piuttosto repressi prima dell’escamotage del diario e del successivo tradimento. Brass mostra il voyeurismo dell’uomo che osserva la moglie vestita di sola biancheria intima distesa sul letto. Il loro rapporto è rapido, ma la macchina da presa mette sempre in primo piano il sesso e il sedere dell’attrice, ripresi da varie inquadrature. Il diario e la chiave lasciata in terra per favorire la scoperta scatenano il gioco erotico della coppia. Un malore di Teresa durante una cena provoca l’attrazione di Laszlo, che si offre per fare una puntura e si prodiga in un lungo massaggio sulle natiche.
Brass inserisce due elementi importanti della sua cinematografia: l’attenzione verso il posteriore femminile (la vita è un lampo e il culo uno stampo!) e il voyeurismo fotografico. Il marito fotografa la moglie – che finge di dormire e sta al gioco – in varie pose che consentono di vedere una Sandrelli mai così sexy e conturbante. Barbara Cupisti è molto più giovane, ma perde il confronto alla grande e si vede portare via il fidanzato dalla madre. Al regista interessa mettere in primo piano la complicità nel gioco erotico e l’eccitazione provocata dalle attenzioni del ragazzo nei confronti della moglie. Il diario e la chiave sono il filo conduttore della raffinata trasgressione, che non ha molto a che vedere con gli eccessi del Brass contemporaneo, meno ispirato che in questo lavoro fondamentale della sua carriera. Il voyeurismo ritorna in alcune scene nel bagno, con il marito che spia la moglie mentre si asciuga e infine la possiede davanti allo specchio. Brass insiste anche sul bidet della donna – scena già vista in Salon Kitty (1975) – e sulle posizioni più o meno oscene nelle quali fotografa l’attrice protagonista. Joe D’Amato si ispirerà a queste sequenze per girare una serie di film che seguono il capolavoro di Brass, cose interessanti e dignitose come L’Alcova (1985), Voglia di guardare (1986), Lussuria (1986) e Il piacere (1985). Ne abbiamo parlato a lungo in Orrore erotismo e pornografia nel cinema di Joe D’Amato (Profondo Rosso, 2004).
Stefania Sandrelli è fotografata benissimo mentre indossa in un vistoso tailleur d’epoca rosso e nero, che il vento solleva al momento giusto e che lei aggiusta con grande sensualità. Alcune parti oniriche mettono in mostra momenti di masturbazioni profonde e inebrianti ricordi d’amore. Le sequenze più calde del film sono i rapporti erotici tra Franco Branciaroli e Stefania Sandrelli, mutilati nella versione televisiva, ma presenti in dvd e al cinema. Torna il topos brassiano degli specchi e delle alcove dannunziane ricche di cuscini. Le pose della Sandrelli sono lussuriose e disinibite, ma Branciaroli stempera la tensione erotica con elementi di comicità, prima con la sequenza di fellatio che termina con un pelo tra i denti, poi quando imita uno stallone in calore che si getta sulla preda ed esibisce una finta erezione. Il tradimento dà vita al rapporto tra moglie e marito, la donna canta canzoni d’amore e ha un atteggiamento materno. Vediamo il capezzolo della Sandrelli succhiato dall’uomo in un gesto di regressione al seno della madre. Si arriva alla scena più drammatica che prevede l’infarto del marito, ma Brass stempera ogni elemento cupo, fa precipitare gli eventi come se fossero voluti e desiderati. L’ultimo rapporto tra moglie e marito è ancora più trasgressivo, perché l’uomo si veste con gli indumenti intimi femminili. Il collasso giunge improvviso dopo un rapporto erotico e mentre la moglie è a quattro zampe sul pavimento per raccogliere le perline cadute dalla collana.
La colonna sonora resta allegra, il film prosegue a ritmo di Maramao perché sei morto, proprio come nelle sequenze precedenti si sentivano le note di Ma le gambe e la Sandrelli mostrava le cosce. “Niente preti al funerale”, dice il marito alla figlia. Il film termina con le gondole dirette verso il cimitero, proprio nel momento in cui una pilotina piena di fascisti intona Giovinezza e gli altoparlanti diffondono il discorso del duce da Palazzo Venezia. L’Italia è in guerra, il duce grida Vinceremo e un gondoliere trasgressivo con un gesto volgare ribatte Perderemo! Stefania Sandrelli ripensa ai momenti di intenso erotismo con il fidanzato della figlia mentre accompagna il marito nel suo ultimo viaggio. In fondo è morto felice e la sua fine è stata la migliore possibile, tra le gambe di una donna, in un eccesso di trasgressione.
Marco Giusti sostiene – ed è vero – che il trattamento di Brass è molto fedele al romanzo di Tanizaki e vi si legge un vecchio e sincero amore per l’erotismo letterario degli anni Sessanta. Non solo. Rileva che l’ambientazione veneziana negli anni Quaranta è di gran fascino e il gioco con la commedia di costume nostrana è perfettamente riuscito. Il critico romano parla anche di un cammeo di Ugo Tognazzi come ubriaco che in anni di visione della pellicola non sono mai riuscito a individuare. In ogni caso è vero che doveva essere lui il protagonista della pellicola, ma alla fine Brass scelse l’ottimo Frank Finlay, ben calato nella parte del marito. Secondo Giusti la Sandrelli grassa e nuda è fantastica, pure se noi abbiamo visto soltanto una Sandrelli nuda, sexy e splendida. Ce ne fossero! Pare che siano stati tolti metri di pellicola con erezioni vere di Branciaroli durante le scene hot, ma forse sono le solite leggende.
A parte Giusti, che con Brass sa essere obiettivo e sincero, la critica importante non apprezza La chiave.
Il Morandini riporta questo giudizio che non condivido per niente: “Dal romanzo (1956) di Junichiro Tanizaki, già portato sullo schermo da Kon Ichikawa, Tinto Brass ha conservato l’impianto (la morbosa e funesta passione di un anziano per la moglie più giovane), la struttura a quartetto (marito, moglie, figlia e il di lei ganzo), la trovata centrale (i diari che marito e moglie scrivono, consapevoli che l’altro leggerà), il motivo della gelosia come corroborante erotico, trasferendo l’azione a Venezia all’inizio del 1940. Con dolosa premeditazione il regista ha ingaglioffito storia e personaggi, non intendendo che, trascinandoli nel grottesco, li svuota. I due giovani recitano ignominiosamente; pur con la voce inadatta di Paolo Bonacelli, Finlay se la cava, mentre, quando non deretaneggia e sta zitta, Stefania Sandrelli ha qualche momento intenso”.
Il Farinotti concede due stelle e stronca in modo meno drastico, ma afferma che Tinto Brass prende furbescamente lo spunto da un romanzo del giapponese Tanizaki molto più serio e valido del film.
Paolo Mereghetti parla di voyeurismo scritturale e di un successo scandalo che rilancia la Sandrelli come star erotica e alza le quotazioni di Brass dopo il disastro di Io Caligola. Il film merita soltanto una stella, perché paragonato al romanzo di Tanizaki (definito un vero capolavoro… ma lo avrà letto?) è solo un polpettone pseudo erotico. Non è piaciuto niente all’illustre critico milanese che trova da ridire su un’operazione di facile sociologia come l’aver ambientato l’azione a Venezia, nel 1939, per condannare la repressione sessuale riflesso della politica fascista.
Per fortuna che leggiamo anche una critica corretta e oculata come quella di Gian Luca Castoldi (Erotismo d’autore – Profondo Rosso, 2006), che come noi giudica La chiave uno dei migliori film erotici di sempre. Antonio Tentori e Antonio Bruschini condividono questa impostazione e pure Michele Giordano di Nocturno.
Ci sentiamo meno soli…
Regia e Montaggio: Tinto Brass. Soggetto: Tinto Brass, liberamente ispirato al romanzo di Junichiro Tanizachi. Sceneggiatura: Tinto Brass. Fotografia: Silvano Ippoliti. Musica: Ennio Morricone. Scenografia: Paolo Biagetti. Costumi: Jost Jakob. Coreografia: Pino Pennese. Produzione: Giuseppe Bertolucci per San Francisco Cinematografica. Distribuzione: Gaumont. Interpreti: Stefania Sandrelli, Frank Finlay, Franco Branciaroli, Armando Marra, Maria Grazia Bon, Barbara Cupisti, Gino Cavalieri, Eolo Capritti, Osiride Peverello, Piero Bortoluzzi, Pietro Lorenzoni, Gianfranco Bullo, Sara Tagliapietra, Maria Ceccherelli, Arnaldo Momo, Luciano Crovato, Irma Veithen, Maria Pia Colonnello ed Edgardo Fucagnoli.