“La città e le sue mura incerte”, ultimo romanzo di Murakami

Articolo di Gordiano Lupi

Prendo in biblioteca La città e le sue mura incerte, ultimo romanzo di Murakami, vado avanti per cento pagine filate senza avere il coraggio di interrompere una così fantastica sequenza di idee geniali, originali, oniriche, tra l’altro messe in atto con stile sublime. Merito anche di chi traduce, chiaro, ché non è mica facile passare dal giapponese all’italiano, quindi brava anche Antonietta Pastore, mi pare che sia lei da sempre a rendere nella nostra lingua Murakami. La città e le sue mura incerte è una storia d’amore tra due diciassettenni, ma è anche un viaggio in un mondo fantastico che forse i ragazzi si son costruiti con tanta immaginazione, forse è un percorso reale in un mondo ubicato chissà dove, fatto sta che passiamo – con l’incanto tipico delle grandi storie – dalla dimensione della realtà a quella del sogno. Un piccolo gioiello narrativo, strutturato a capitoli alterni, un mix di lettere, incontri, sogni e suggestioni, dialoghi che fan pensare (senza esser pesanti) al senso della vita e dell’amore. Ti vien da dire che anche nella letteratura ci dovrebbero essere le categorie, come nel calcio. Non è possibile che Baricco giochi nella stessa divisione di Murakami, come se io facessi lo stesso sport di Lautaro, ché tu sfogli Abel – il suo ultimo parto geniale – e t’imbatti in un romanzetto western scritto con periodi brevi, spezzoni da involuti letterari, ebbro di tanta supponenza da risultare fastidioso anche se di facile (quanto inutile) lettura (pare un tema delle scuole medie). Ricordi Silvia Avallone e Cuore nero, ti chiedi: ma forse domenica la Juventus scende in campo al Magona per affrontare il Piombino? No, non è possibile che gli editori sian quasi gli stessi, che Murakami – vera letteratura – se la veda con romanzetti rosa adolescenziali, con storielle da poco scritte per chi non ha mai letto vera narrativa. Cuore nero sta alla letteratura come io sto alla fisica quantistica, Abel sta al romanzo western come Pieraccioni ricorda Vittorio Gassman. Ma è così, purtroppo, giocano nello stesso campionato, scendono in campo nello stesso agone, un narratore di razza, ideatore di mondi fantastici e caratteri realistici, scrittore raffinato di trame sospese nell’ignoto, contro rimestatori del niente, affabulatori televisivi, veline della carta stampata, raccontatori di cose già narrate, molto meglio, tanti anni prima. Ecco, ogni volta che leggo uno scrittore vero mi vien da pensare alla “presunta” letteratura italiana, agli scrittori che vogliono esser letti (prima d’esser stroncati) in quest’Italia che pubblica spazzatura industriale, come aveva previsto Pasolini. Ma io ti leggo, caro il mio Baricco, ti leggo e rido, cos’altro posso fare? E tu rivendica pure il diritto alla lettura con il Ferroni di turno, suonatevela e cantatevela, ché io ti leggo e dico che il tempo perso con te ormai è fin troppo. Sono arrivati i giorni in cui gli editori possono fare a meno della letteratura, producono merda d’autore, emuli di Manzoni (non lo scrittore, il presunto artista), ma non la mettono in scatola, la espongono in vetrina, nelle loro (purtroppo) tante librerie che son catene della stessa industria.

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