Chiuso il sipario, spente le luci, è tempo di bilanci per la COP26. C’era grande attesa per le decisioni contenute nel documento finale. Un documento che pur non essendo giuridicamente vincolante, è un chiaro impegno politico. “Abbiamo bisogno di impegni da attuare. Servono impegni per concretizzarsi. Abbiamo bisogno di azioni da verificare. Dobbiamo colmare il profondo e reale divario di credibilità”, aveva dichiarato il Segretario Generale delle Nazioni Unite.
Forse, la COP26 passerà alla storia proprio per questa parola: “credibilità”. Per aver speso milioni di dollari per realizzare eventi che non hanno portato a nessun risultato concreto e certamente non nell’immediato. Dopo aver letto le decisioni prese dai leader mondiali, non è più possibile usare la parola “credibilità” quando si parla di COP26 e di impegni per l’ambiente.
Il primo assaggio era arrivato con l’accordo di non tagliare più alberi dal 2030. Presentato come un punto di svolta sottoscritto da un centinaio di paesi, questo documento in realtà non parla di impegno a “non tagliare più alberi e foreste”, ma solo di “LAVORARE COLLETTIVAMENTE per arrestare e …”. In pratica i leader mondiali hanno fissato un “appuntamento” per un incontro nel quale, seduti attorno ad un tavolo, decideranno cosa fare. (questo il testo del documento: “We, the leaders of the countries identified below […] commit to working collectively to halt and reverse forest loss and land degradation by 2030 while delivering sustainable development and promoting an inclusive rural transformation. We will strengthen our shared efforts to: Conserve forests and other terrestrial ecosystems and accelerate their restoration…” Glasgow Leaders’ Declaration on Forests and Land Use – UN Climate Change Conference (COP26) at the SEC – Glasgow 2021 (ukcop26.org) E non subito. Tra nove anni. Se questo non basta a comprendere quanto questo accordo è poco “credibile”, è bene ascoltare le dichiarazioni di alcuni dei leader firmatari del documento. Julius Maada Bio, presidente della Sierra Leone, intervistato dalla BBC, ha già evidenziato alcuni ostacoli alla realizzazione di questo progetto (che pure ha firmato). Maada Bio ha detto che è difficile sapere quanti alberi vengono tagliati. O da chi. COP26: President Julius Maada Bio on deforestation in Sierra Leone – BBC News
Tra un concerto di cornamuse e una lotteria (riservata, però, ai sudditi di sua maestà britannica), tutta la COP26 è andata avanti così. Alla fine, i leader mondiali hanno incontrato serie difficoltà (tre le bozze di documento finale non approvate) anche a sottoscrivere un documento unico contenente gli impegni, peraltro non vincolanti, per il prossimo futuro. Promesse che potessero apparire almeno “credibili”. Fino a quando non vengono lette con attenzione. Come quella sul metano. Un centinaio di paesi (su oltre 200 presenti alla COP26), tra cui Stati Uniti, Ue, Giappone e Canada, si sono impegnati a ridurre “significativamente” le emissioni di metano, che da solo sarebbe responsabile dell’aumento delle temperature medie globali di circa 0,2° C. Bene. Anzi no. Male. In realtà, questa “riduzione” non dovrebbe essere ottenuta utilizzando meno questo combustibile fossile, riducendo i consumi, ma solo abbattendo le perdite di metano da pozzi di petrolio e gas, oleodotti e altre infrastrutture di combustibili fossili. In altre parole, i leader mondiali hanno promesso di fare meglio quello che hanno fatto finora. Nient’altro.
Altro tema presentato come un successo globale è l’accordo tra USA e Cina, i due maggiori responsabili delle emissioni di CO2 al mondo (solo loro sono responsabili di oltre il 40% delle emissioni di CO2 del pianeta, seguiti da UE e India). Mentre Biden faceva figuracce a raffica (tra un pisolino alla cerimonia di apertura e un peto in diretta, la sua presenza è stata a dir poco deludente), John Kerry si è vantato dell’accordo sottoscritto col negoziatore di Pechino a Glasgow, Xie Zhenhua. Un accordo (come del resto molti di quelli della COP26) preparato con decine di viaggi diplomatici in Cina (39). Ma che alla fine non contiene niente di concreto. Si parla della necessità di ridurre le emissioni di gas serra in 10 anni. Ma sul “come” si rimane vaghi: “accelerare la transizione verso un’economia a zero emissioni nette”, si legge. Ma entrambi i paesi hanno già dichiarato che questo percorso durerà molti decenni: il premier cinese aveva già dichiarato, a settembre, che la Cina non avrebbe raggiunto la neutralità del carbonio prima del 2060, con un piano per raggiungere il picco delle emissioni prima del 2030 (quindi, fino ad allora, continueranno ad aumentare). Gli Stati Uniti, dal canto loro, puntano allo “zero netto”, ma non prima del 2050.
Tante parole, tante promesse ma niente di “concreto” per risolvere problemi attuali. Eppure è di soluzioni immediate che molti paesi hanno bisogno. Simon Kofe, Ministro degli Esteri di Tuvalu (paese che la maggior parte dei partecipanti alla COP26 non sa neanche dove si trova), ha inviato alla COP26 un videomessaggio per far toccare con mano (anzi con i piedi) quali sono i rischi che corre il pianeta, Kofe ha parlato ai leader mondiali in abito con giacca a cravatta… immerso fino alle ginocchia in mare. “La Cop26 arriva in un momento per noi difficile a causa del cambiamento climatico, ma stiamo reagendo con coraggio”, ha detto. Cop26, innalzamento dei mari: l’appello del ministro di Tuvalu con l’acqua alle ginocchia- Corriere.it A confermare che il pericolo è oggi e non tra trenta o quarant’anni, il Ministro dell’ambiente di Antigua e Barbuda che ha accusato i grandi emettitori di non voler pagare i danni che hanno inflitto all’ambiente. “Per troppo tempo questi grandi emettitori se la sono cavata senza problemi, senza farsi facendosi avanti e senza essere costretti a pagare per il danno che hanno fatto”. “Questa non è carità e non sono aiuti”. Il punto è: hai fatto gravi danni alle piccole isole – Tuvalu sta scomparendo – quali altre prove (sono necessarie)?” ha detto in una intervista alla BBC.
Anno dopo anno, la COP26 ha perso ogni “credibilità”. Del resto come ha sottolineato Alexandria Ocasio-Cortez, deputata democratica a Glasgow con la delegazione del Congresso americano, la gente non dovrebbe aspettarsi che i governi o la conferenza COP26 risolvano la crisi climatica: “Se il mondo si affida alla COP e ai governi per fermare il cambiamento climatico, questo non accadrà”, ha detto la Ocasio-Cortez.
Lo stesso Guterres ha dovuto ammettere che “Le promesse suonano vuote quando l’industria dei combustibili fossili riceve ancora trilioni di sussidi, come misurato dal FMI” .https://www.imf.org/en/Publications/WP/Issues/2021/09/23/Still-Not-Getting-Energy-Prices-Right-A-Global-and-Country-Update-of-Fossil-Fuel-Subsidies-466004 “O quando i paesi stanno ancora costruendo centrali a carbone o quando il carbonio è ancora senza prezzo”, ha aggiunto.
Uno dei temi più rilevanti inseriti nel testo finale parla proprio di aiuti destinati ai combustibili fossili. L’accordo è stato siglato da poche decine di paesi (39) tra i quali Stati Uniti e Italia. Eppure solo pochi giorni fa, il ministro Giorgetti aveva dichiarato che l’Italia debba supportare le imprese per consentire all’industria “di essere trainante e un punto di riferimento in tutto il settore automotive” e che la transizione debba essere “razionale”, evitando il rischio di cadere in “trappole ideologiche” che, secondo il ministro, “non servono all’ambiente, alle nostre imprese e ai consumatori”. Intanto, l’Italia è scesa al 30esimo posto (su 63) nel Climate Change Performance Index (CCPI) 2022, in calo rispetto al 27esimo dello scorso anno.
“Credibilità” è la parola chiave con cui verrà ricordata la COP26. Credibilità che i leader mondiali hanno perso definitivamente realizzando un evento “globale”, preceduto da decine di altre costosissime iniziative, ma che, alla fine, non ha prodotto risultati credibili. Solo parole di rito e promesse a lungo termine. Niente azioni “da verificare”, come aveva chiesto Guterres. Tanti bla, bla, bla pronunciati da furbetti che di salvare l’ambiente non sembrano avere alcuna voglia.
Foto: vox-cdn.com