Oggi si fa un gran parlare di Ucraina, della guerra con la Russia. E dei bombardamenti di molte città. Come Odessa. Nessuno ricorda cosa accadde in questa città il 27 giugno di oltre un secolo fa. Un anniversario legato ad un’altra guerra che molti conoscono solo parzialmente grazie ai film di Paolo Villaggio. Pochi quelli che non hanno riso a crepapelle vedendo il film con il rag. Fantozzi costretto a recarsi al cineforum aziendale per vedere il film di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn “La corazzata Potëmkin”.
Ebbene, quel film ricorda un evento avvenuto proprio il 27 giugno del 1905. Il titolo del film si riferisce ad una nave da guerra, una corazzata, varata nel cantiere navale di Nikolaev la cui vita fu caratterizzata da eventi a dir poco singolari. Una storia interessante sotto molti punti di vista e dai risvolti più moderni di quanto si potrebbe pensare di primo acchito.
Dopo mille peripezie, la nave entrò in servizio operativo nel 1905. In un momento storico delicato: mentre in Europa ci si godeva la Belle Epoque, poco lontano, imperversava la guerra tra Russia e Giappone. Dopo aver sconfitto e depredato la Cina, il Giappone aveva preso di mira la regione della Manciuria, nel nord-est della Cina, un territorio da tempo conteso con la Russia, guidata dallo zar Nicola II. Fu questo il motivo che scatenò lo scontro tra l’impero zarista e quello nipponico, la scusa per la guerra russo-giapponese. Una guerra iniziata nel febbraio del 1904 e, allora come oggi, senza alcuna dichiarazione formale.
La nave appena varata non partecipò immediatmente agli scontri. Di stanza nel Mar Nero, soffrì però di una grave scarsità di risorse. Una carenza di risorse e approvvigionamenti che aveva costretto l’equipaggio a razioni alimentari spesso putride e maleodoranti. Il 27 giugno 1905, mentre la nave era alla fonda nell’isola di Tendra, vicino Odessa, un marinaio, Grigorij Vakulenčuk, stanco di mangiare carne putrida e piena di vermi, si ribellò e scagliò la propria scodella contro le pareti della nave. Il suo gesto venne copiato da altri membri dell’equipaggio. Gli insorti vennero subito portati sul ponte della nave per essere fucilati. Ma il plotone d’esecuzione non obbedì agli ordini e sparò sugli ufficiali, dando il via all’ammutinamento della corazzata Potëmkin. Gli ammutinati
uccisero sette dei diciotto ufficiali. Quindi nominarono portavoce il marinaio Matjušenko.
Lo stesso avvenne su un’altra nave vicina, la silurante n.267. Le due navi entrarono nel porto di Odessa battenti bandiera rossa.
L’ammutinamento avvenne sotto lo sguardo attonito della popolazione, incuriosita, riunita su una grande scalinata, una sorta di gigantesco palco teatrale dal quale gli “spettatori” potevano vedere l’intero porto e i marinai in rivolta. Durante questi scontri alcuni colpi partiti dai cannoni della corazzata Potëmkin colpirono il palazzo dove erano riunite le autorità zariste. A Odessa erano già in corso disordini. La polizia zarista reagì. Sbarrò le strade, si posizionò in cima alla scalinata e fece fuoco sui civili innocenti, uccidendo uomini, donne, vecchi e bambini (da cui la leggendaria scena del film di Villaggio). Dalla corazzata Potëmkin vennero sparate diverse cannonate, alcune delle quali colpirono gli uomini dello zar e il loro quartier generale.
La reazione del governo centrale non si fece attendere: vennero inviate molte navi da battaglia col compito di riprendere il controllo della nave o di affondarla. Ma quando si trovarono davanti alla corazzata Potëmkin, anche i marinai delle navi zariste si ribellarono e permisero alla corazzata Potëmkin di prendere il largo insieme ad un’altra corazzata, la Georgij Pobiedonosec (che, però, poco dopo rinunciò alla fuga).
La Potëmkin vagò a lungo nel Mar Nero. Poi cercò di attraccare in Romania, nel porto di Costanza, per rifornirsi di cibo, acqua e carbone. Ma i rumeni negarono l’accesso al porto, sostenuti dalla dall’incrociatore Elisabeta. Gli ammutinati decisero, quindi, di fare rotta verso il porto di Theodosia in Crimea (anche questo famoso per gli scontri degli anni scorsi). Vi arrivarono la mattina del 5 luglio. Anche qui, il governatore della città si rifiutò di fornire rifornimenti che non fossero alimenti. Gli ammutinati tentarono di impadronirsi con la forza di alcune chiatte di carbone, ma la guarnigione del porto glielo impedì. La corazzata decise quindi di tornare a Costanza. Qui, ancora una volta, le autorità la respinsero, anche se più per paura di inimicarsi il governo di Mosca che per altri motivi. Alcuni membri dell’equipaggio sbarcarono con mezzi di fortuna e cercarono di far perdere le proprie tracce. Vennero scoperti e rimpatriati. Molti vennero condannati a pene detentive. Altri finirono davanti alla corte marziale e vennero fucilati.
I pochi insorti rimasti sulla Potëmkin patteggiarono la resa. Nicolae Negru, comandante del porto, decise di salire a bordo e issare bandiera rumena per condurre la nave in porto. Ma prima di sbarcare, gli ammutinati aprirono le valvole Kingston della Potëmkin nel tentativo di farla affondare. Quando, il 9 luglio, il contrammiraglio Pisarevskij raggiunse Costanza, trovò la Potemkin semi-affondata nel porto e battente bandiera rumena. Per poco non ne nacque uno scontro diplomatico. Alla fine, la corazzata venne rimessa a galla e fu riconsegnata alle truppe russe. L’acqua salata, però, aveva danneggiato gravemente i suoi motori e le sue caldaie. La Potëmkin venne rimorchiata fino a Sebastopoli, dove fu ribattezzata Panteleimon.
Riparata e riarmata, nel 1909, la Potëmkin/Panteleimon riprese il mare. Ma poco dopo, speronò e affondò il sottomarino rumeno Kambala uccidendo i 16 membri d’equipaggio. Ma non basta. Tornata a Costanza, nel 1911, si arenò. Ci vollero diversi giorni per riportarla, ancora una volta, a galla e ripararla temporaneamente. I danni erano ingenti e venne riportata in cantiere dove le riparazioni vennero completate solo nel 1912.
La Prima Guerra Mondiale era alle porte. Iniziata la guerra la Potëmkin partecipò a diversi scontri. Ribattezzata altre due volte in pochi mesi, nel 1918, a guerra ormai praticamente finita, fu costretta ad arrendersi ai tedeschi, a Sebastopoli. Dopo l’armistizio di dicembre di quell’anno, i tedeschi la consegnarono agli inglesi. Ma questi, prima di riconsegnarla ai russi, distrussero i motori (aprile 1919). Pare per impedire ai bolscevichi di usarla contro i russi “bianchi”.
Ormai obsoleta, durante la guerra civile russa, venne catturata più volte. Da entrambe le parti. Nel 1923, venne definitivamente demolita.
Ma la sua storia non finì. Il suo primo nome venne utilizzato in diversi modi. Secondo alcuni storici l’ammutinamento della Potëmkin fu uno degli eventi che convinse lo zar Nicola II a porre fine alla guerra russo-giapponese e ad accettare il Manifesto d’Ottobre. Quanto era avvenuto nel porto di Odessa dimostrava che non aveva più il controllo indiscusso sulle truppe. L’ammutinamento della corazzata, infatti, non fu l’unica insurrezione.
É improbabile, inoltre, come vorrebbero alcuni storici, che l’ammutinamento della Potëmkin sia stato solo una prova generale per la rivoluzione del 1917. Di sicuro, i comunisti sfruttarono quanto era accaduto come strumento di propaganda per il partito sottolineando il loro (inesistente) ruolo nell’ammutinamento della corazzata Potëmkin.
Una forma di strumentalizzazione mediatica che ricorda molto da vicino quanto, ancora oggi, accade non lontano da Odessa, in Ucraina.