I social network sono diventati veri e propri campi minati. Comunicare sui social non è facile. Questo concetto è ormai sdoganato.
Trovate che sia semplice la vita del tuttologo ai tempi di internet? Vi sembra facile essere un giorno allenatore di calcio, un altro sismologo e quello dopo infettivologo?
Siete iscritti anche voi all’università della vita? Conoscete le strategie delle lobby dei poteri forti? Potete vantarvi di avere un cugino “tuttologo” che fa il gelataio e che si informa su facebook?
Il fatto è che, oggigiorno, siamo circondati da opinionisti di tutto e del nulla, fenomeni della tastiera armati di caps lock, con un ego sconfinato e più gonfio delle labbra di Nina Moric, senza il benché minimo stralcio di umiltà e spinti dalla nuova tipologia di interazione alla quale è pressoché impossibile sfuggire, anche fosse soltanto di striscio, per quella che è stata già definita “la dittatura dell’incompetenza”.
Nel corso degli anni, la rete si è trasformata in un labirinto di vicoli ciechi, che finiscono, inevitabilmente, per sbattere contro il muro del nonsense, delle patetiche risse digitali e del relativismo assoluto, ignorando anche le evidenze più oggettive pur di mantenere intatte alcune convinzioni assurde, da quelle politiche a quelle religiose, fino a mettere in discussione ogni aspetto della nostra esistenza.
Nel precedente editoriale avevamo fatto un refresh, o panoramica, sull’evoluzione della comunicazione negli anni 2000, nell’era della “democratizzazione dell’informazione”; su come i software moderni abbiano fortemente influenzato i nostri usi e costumi, alterando, deformando e stuprando la nostra percezione della realtà. Tutti automatismi mentali che hanno evidenziato bias cognitivi tipo overconfidence e Dunning Kruger.
Cos’è di preciso l’effetto Dunning Kruger? Come spiega Wikipedia, l’effetto Dunning Kruger non è altro che una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi, a torto, esperti in quel campo, mentre, per contro, persone davvero competenti tendono a sminuire o sottovalutare la propria reale competenza. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti.
I due studiosi americani, David Dunning e Justin Kruger (tranquilli, non sono i due nuovi acquisti del Bayer Leverkusen), della Cornell University, hanno analizzato il quadro clinico di chi incappa (succede a tutti noi, nessuno escluso), inconsciamente ed inconsapevolmente, nelle distorsioni cognitive, oramai diffuse su scala globale nella cultura di massa, che si propagano in un sistema di riferimento cartesiano bidimensionale, in cui si intersecano dramma e demenzialità.
Avete presente le convinzioni di Fabio Caressa? Oppure le affermazioni di Zingaretti in merito al coronavirus durante i suoi aperitivi? Bè, qualcosa di simile. Sebbene, dall’altra parte, bisogna fare attenzione a non cadere in un’altra trappola cognitiva, quella del “senno di poi”.
Nel frattempo, i social network sono diventati una cassa di risonanza audiovisiva imprescindibile: non fanno altro che amplificare, strumentalizzare ed inasprire la comunicazione moderna, al punto che alcune tematiche, nel giro di pochi commenti, rischiano di sfociare e degenerare in fanatismo religioso.
Siamo al cospetto di una contemporaneità edonista, priva di empatia, schiacciata dal sovraccarico informativo, alla mercé della manipolazione mediatica, del populismo, del qualunquismo, del politically correct, delle fake news, dei “bufalari”, del sensazionalismo ad ogni costo e totalmente incapace di distinguere una notizia vera da una falsa.
Esistono persone che trovano “interessanti” le teorie cospiratrici di molti adepti e pseudo-avvistatori. Basti pensare a quanti blog, pagine e gruppi social dedichino spazio e visibilità a terrapiattisti, no vax, ecc.
Non solo, troviamo addirittura chi crede che una magica pomata possa far allungare il pene. Oppure chi pensa di “negare il proprio consenso al prolungamento dello stato di emergenza” semplicemente scrivendo e condividendo un post di quattro righe su Facebook. In aggiunta, tra le frasi ricorrenti sulle home dei social troviamo: “Chiedevano tutti i 600€ per non morire di fame e adesso sono tutti in vacanza”. Di grazia, tutti chi?
Ammettiamolo, in questo momento facciamo meno fatica ad immaginare come abbia fatto Wanna Marchi, negli anni Ottanta, a costruire un impero economico vendendo “alghe curative” dagli effetti taumaturgici. Del resto, c’è ancora gente che saluta i morti sui social (“Ciao nonno, ovunque tu sia”. Di certo, non su Facebook), principalmente con il fine meno nobile di ottenere visibilità tra i propri contatti e consensi sotto forma di emoticon. Ditemi voi se non è questo il capolinea del darwinismo.
Ciò che ha davvero un peso specifico e credibilità nella società odierna è l’oroscopo di Paolo Fox. Altro che leggi della fisica e della scienza.
Di recente, anche autorevoli esperti in materia di infettivologia hanno pensato bene di sfruttare la visibilità concessagli dai mezzi d’informazione per fornire al grande pubblico la loro esperienza sottoforma di opinioni e previsioni contrastanti e quasi mai uniformi tra loro, alimentando, alla fine, soltanto caos e confusione.
I social network propongono, dunque, una vasta gamma di fauna, eterogenea ed imprevedibile; materiale antropologico interessante se avete voglia di perdervi nei meccanismi ancora sconosciuti della mente umana. Un modo attraverso il quale è possibile testare le nuove tendenze anti-sinaptiche dell’utente medio che naviga sul web. Un mondo virtuale in cui c’è un po’ di tutto, “un tanto al kilo”, per per dirla alla René Ferretti.
Diciamo che sopravvalutare e sovrastimare se stessi (ragionamento valido anche per il sottoscritto e per chiunque), con molta probabilità, rappresenta il vero male della comunità mondiale dei nostri tempi. Credere di sapere tutto, senza alcuna competenza reale (vi ricordate quando in tempi non sospetti, seguendo in tv le gesta di Luna Rossa, erano diventati tutti esperti di vela?), in maniera arrogante ed in completa assenza di spirito autocritico. Il tutto si potrebbe riassumere in un unico termine: “sicumera”.
Volete sbellicarvi dalle risate e, al tempo stesso, restare basiti? È sufficiente che andiate a curiosare all’interno di uno dei tanti gruppi social a tema musicale. Luoghi virtuali che farebbero impallidire anche uno “sgamato” come Piero Scaruffi.
Fanzine composte da un’accozzaglia di pseudo cultori della musica rock (“ruock”, come direbbe la resiliente Maugeri), dove alcuni non sanno nemmeno chi sia Tom Morello, e dove potrete deliziare i vostri occhi leggendo affermazioni del tipo: “Dal 31 dicembre 1979 la Musica con la M maiuscola è morta”. Ebbene si.
Quello dei gruppi social musicali è un mondo parallelo, dove ogni regola del buon senso cessa di esistere per dare libero sfogo ad un branco di analfabeti funzionali (mi sia concesso l’eufemismo) che giocano a chi la spara più grossa.
Qualche fenomeno dell’etere sostiene che Elvis Presley non sia affatto morto (“Voi l’avete vista la salma di Elvis Presley? Se l’avete vista, allora potete metterci la mano sul fuoco”), ma che inventò la sua morte per sfuggire alla pressione mediatica. E che avrebbe addirittura partecipato al suo stesso funerale. Sembra che sia stato avvistato tre anni fa, all’età di 82 anni, ancora vivo e vegeto.
Continuando, non possiamo non menzionare la leggenda metropolitana del sosia di Paul McCartney. Ed ancora, siete veramente sicuri che Kurt Cobain si sia suicidato? E se fosse stato assassinato da Courtney Love?
Senza contare tutte le “lotte nel fango” per stabilire se i “veri” Genesis sono quelli con o senza Peter Gabriel, se Vasco Rossi fa musica rock o pop, o se i “veri” Litfiba sono stati quelli con o senza Maroccolo. Insomma, dibattiti e dilemmi esistenziali, indubbiamente, molto interessanti e decisamente costruttivi.
Ricordo ancora di quella volta (parliamo di qualche anno fa) in cui un utente (sempre all’interno di uno dei tanti gruppi privati su Facebook) scrisse di tutto e di più pur di convincere quella platea virtuale che il “grunge non era mai esistito”.
Vi ricordate quando ci dicevano che ascoltando un disco al contrario potevi sentire messaggi demoniaci?
Chiaramente, in tutto questo marasma comunicativo e digitale (nella maggior parte dei casi, non sai mai chi c’è dall’altra parte dello schermo) bisogna distinguere e filtrare i commenti dei provocatori (“flame” in gergo multimediale) da quelli realmente e stupidamente sinceri. Che, sul piatto della bilancia, non sai quale dei due sia il male minore.
Diciamocelo, una volta per tutte: è passato di moda alzare la mano ed ammettere di non conoscere qualcosa. E a tal proposito, mi permetto di darvi un consiglio: non fatelo mai, per nessun motivo, ne và della vostra dignità.