Regia di Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi e Paolo Cavara. Montaggio e commento di Gualtiero Jacopetti. Voce off di Stefano Sibaldi. Fotografia di Antonio Climati e Benito Frattari. Musiche di Riz Ortolani e Nino Oliviero. Prodotto e distribuito da Cineriz.
“Si comincia con un paio di natiche femminili e si finisce con la Madonna di Lourdes”, scrive Giulio Cesare Castello per tracciare i confini di un film che non è tra i migliori di Jacopetti, ma presenta aspetti di un certo interesse. Particolarmente importante la dedica alla giovane compagna scomparsa, Belinda Lee, che in questo lungo viaggio ci accompagnò e ci aiutò con amore.
Gli autori documentano il ruolo e la condizione della donna nelle diverse società, procedendo per brevi flash, componendo un mosaico che vuole catturare l’attenzione dello spettatore per spingerlo a guardare il tassello successivo. Le immagini accostano una serie di situazioni che vedono le donne protagoniste e descrivono comportamenti femminili nelle zone più disparate del mondo. Lo scopo è quello di incuriosire, sconvolgere, scioccare, puntando su un montaggio che non segue regole di continuità, ma che cerca di provocare nello spettatore un senso di sgomento passando dal sacro al profano.
Effetto sorpresa e inquadratura trasgressiva sono alla base della volontà registica, come nota a fini critici Paolo Mereghetti, ma secondo noi questa ricerca non presenta elementi negativi, visto che il cinema deve soprattutto stupire. Il commento di Jacopetti è figlio dei tempi e di una cultura cattolica che assegna alla donna un ruolo prestabilito all’interno della famiglia. Non abbiamo individuato gli elementi sgradevoli, cinici e tanto meno nichilistici che tanto irritano il critico milanese. Si tratta di un commento più o meno condivisibile, di sicuro controcorrente, ma che non può far propendere per una valutazione negativa della pellicola. Un’opera cinematografica non va valutata ideologicamente e da un punto di vista strettamente moralistico, ma per i risultati tecnici raggiunti.
Jacopetti, Prosperi e Cavara girano a Israele immagini di reclute in gonnella, inconsuete e stranianti per il pubblico italiano, la macchina da presa si sofferma su tipiche movenze femminili, immortala un fiore, un vezzo, un trucco e un certo voyeurismo di fondo porta a scrutare i seni e a guidare l’obiettivo verso una gonna che si alza. Il discorso di Jacopetti è palese: il ruolo della donna non è certo tra le truppe di un esercito.
Le immagini mostrano un’isola di sole donne guidate da un colonnello in pensione che addestra le indigene, ma restano molti dubbi sulla veridicità di certe scene. Un leone marino lasciato morire sul bagnasciuga, invece, è una sequenza di sicuro realismo che immortala un momento scioccante. Jacopetti conduce lo spettatore a Parigi e per fare un discorso anticonformista sulla libertà riprende coppie che si baciano per strada. Vediamo un prete donna, un locale per lesbiche e subito dopo uno frequentato da gay, ma soprattutto Jacopetti dice quel che pensa senza timore di essere giudicato reazionario. “I gay negano la femminilità, ma è sempre presente nei loro atteggiamenti”, recita la voce off. La pellicola ci presenta un villaggio indigeno dove le donne lavorano, gli uomini passano il tempo a truccarsi e pure in questo caso abbiamo un attacco violento nei confronti dell’omosessualità.
Altre usanze femminili mostrano spiagge per nudisti in Francia e per contrasto vediamo alcune cinesi che fanno il bagno vestite per restare bianche. A Orgosolo assistiamo a un funerale di un carabiniere ventenne ucciso da un bandito e ci sono alcune lamentatrici professioniste che piangono sul letto di morte. A Thaiti conosciamo una scuola dove si insegna soprattutto a danzare, lavoro importante per le donne dell’isola, al punto che sono le anziane a occuparsi della prole per permettere alle ragazze di esibirsi per i turisti. Le immagini non presentano uniformità narrativa, ma si succedono con l’intenzione di stupire e incuriosire. Al Festival del Cinema di Cannes ci sono le aspiranti attrici che cercano di farsi notare dai registi.
A Los Angeles, invece, le ragazze lavorano duro nell’attesa di entrare nel mondo del cinema, mentre una sfilata di bellezze anni Sessanta conclude il tema. Jacopetti racconta in breve l’educazione sessuale e il controllo delle nascite in Giappone, ma al tempo stesso mostra una scuola di buone maniere occidentali, un’operazione per trasformare gli occhi a mandorla in un taglio europeo e le iniezioni di silicone per ingrandire il seno. Non siamo in grado di confermare la veridicità di queste parti, che sono comunque interessanti come elemento polemico inserito per scandalizzare. Si passa alle donne vagabonde di una tribù malese che hanno otto mariti a testa, fumano e parlano tra loro mentre i compagni lavorano, ma conservano il compito doloroso del parto.
Siamo ad Amburgo dove vediamo la famosa strada delle prostitute in vetrina, ma subito dopo Jacopetti inserisce per contrasto scene da una casa dello studente di Stoccolma (patria dell’amore libero), l’autostop di alcune ragazze e la prova della verginità esibita al sud con il lenzuolo rosso alla finestra. Altre sequenze riguardano una coppia lesbica che vive su un albero dopo aver abbandonato i mariti ed essersi sposata di frodo. Si passa a parlare di separazioni e matrimoni facili a Las Vegas, delle mamme che vendono i figli in Cina, delle prostitute bambine a Hong Kong e delle missionarie africane.
Tutto senza soluzione di continuità: si cambia radicalmente argomento, ma la visione non risulta per niente appesantita. Jacopetti trova il tempo per criticare la civiltà consumistica occidentale che trasforma tutto in mercato. Gli europei hanno abbandonato l’Africa a se stessa e adesso forniscono cose che non sono di prima necessità, ma servono soltanto ai loro interessi, come sfilate di moda, smalto e profumi…Le immagini ci portano nel Borneo dove va di moda la donna tatuata, ma subito dopo siamo in una clinica e vediamo una ragazza con la pelle distrutta che deve farsi operare.
Pure qui manifestiamo dubbi sulla veridicità del documento, perché Jacopetti insiste sulla possibilità di cambiare la pelle con un volto nuovo, eliminando la vecchia epidermide e portando la carne viva allo scoperto. Gli effetti speciali sono interessanti. In Africa le donne dei beduini si spalmano escrementi di cammello sul viso come crema detergente per la pelle, in Nuova Zelanda vanno di gran moda i balli erotici, in Svizzera le donne praticano un’innovativa ginnastica che facilita il parto.
Jacopetti conclude con le immagini di un parto vero accompagnate dalla frase evangelica: “Donna, tu partorirai nel dolore”. Allucinante la visione di alcune donne africane che rischiano la vita per recuperare pezzi di granate inesplose da rivendere come ferro per comprare cibo. Come al solito il confine tra realtà e fantasia è labile e non sappiamo se certe sequenze sono vere o ricostruite dai registi sulla base di racconti. Si torna al nostro mondo per parlare del caso Susanna Vandeput, assolta dall’accusa di infanticidio, che Jacopetti contrappone alla visione di molte mamme che tra mille difficoltà compiono il loro dovere. La parte finale del documentario è molto dura, riprende le madri che portano a Lourdes i figli deformi per chiedere una grazia.
La pellicola si chiude tra immagini di fede e di speranza, ma anche esprimendo l’idea di Jacopetti sul ruolo che predilige per la donna: madre e moglie amorevole. Alla faccia del femminismo.