Docente universitaria americana trascorre una breve vacanza in Grecia. Leda, è un’italianista affermata che, abbandonata provvisoriamente dalle figlie, vuole passare del tempo con sé per riflettere sulla sua condizione. Dopo alcuni giorni di assestamento la donna comincia a gradire l’ambiente e quella tranquillità sentendosi più serena di quanto aveva immaginato. L’arrivo di una famiglia pittoresca e un po’ rumorose infastidisce la donna ma le da anche modo di riflettere. Osservando la giovane Nina e il suo rapporto con le figlie Leda ripenserà a se stessa come madre. Il rapporto con le “bambine” è stato meno facile di quello che si presenta sotto i suoi occhi ogni giorno e sicuramente meno intenso. La docente rimugina sul passato arrivando a ipotizzare un danno della sua prole alla carriera accademica che avrebbe dovuto essere di ben altro spessore.
La figlia oscura è l’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal. Tratto da un romanzo di Elena Ferrante il film è un dramma intimista che affronta il rapporto tra madri e figlie provando a raccontarne l’essenza più comune e nascosta. La regista alterna i ricordi di Leda al difficile rapporto con Nina frutto di un fastidio che è anche ammirazione. Con una narrazione secca e introspettiva si assiste ad alcune scene del passato che l’insegnate focalizza sotto forma di incubo. La protagonista rivive un tempo che l’ha trasformata in pessima madre decretando la formalità del presente. Due figlie che hanno preferito raggiungere il padre riconoscendo alla mamma il ruolo istituzionale più per costrizione che per volontà. La Gyleenall, anche sceneggiatrice, costruisce dialoghi funzionali alla vicenda che trasformano l’inziale quiete di Leda in ansia per un passato senza rimedio.
La figlia oscura è la cronaca di una certezza tra onestà e tradizione. Parlare di figli e genitori risulta sempre pericoloso e il film lo fa senza preoccuparsi di essere giudicato sprezzante o ineducato. La protagonista è un personaggio poco simpatico ma rispecchia un esempio di madre facilmente riscontrabile. Se i figli sono pezzi di cuore e di mamma ce n’è una sola nelle favole, la realtà è ben diversa. Attraverso una regia pressante e un commento musicale volutamente eccessivo, la Gyllenhaall confeziona una vicenda fastidiosa in maniera disturbante, forse per far odiare la sua protagonista sicuramente per descrivere alcune nature umane. Un film che vale la pena di approfondire a rischio di esserne disturbati esattamente, come la protagonista, perché vittime delle sovrastrutture mentali.