Il 20 novembre 1989 muore nella città di Palermo Leonardo Sciascia. L’impegno educativo, narrativo, politico e civile caratterizza la vita e si intreccia, tesse l’intera sua parabola non solo letteraria.
Nasce a Racalmuto, in provincia di Agrigento, l’8 gennaio 1921 da una famiglia della piccola borghesia locale. Leonardo Sciascia frequenta l’istituto magistrale di Caltanissetta dove insegnava Vitaliano Brancati. Consegue il diploma di maestro elementare nel 1941. Nel 1944 sposa Maria Andronico, maestra nella scuola elementare di Racalmuto. Dalla loro unione nascono le figlie Laura e Anna Maria. Nel 1949 comincia ad esercitare la professione di maestro.
Alla fine degli anni Quaranta e Cinquanta Sciascia svolge un’intensa attività pubblicistica e letteraria. I suoi contatti culturali come le sue collaborazioni si accrescono sempre più. Nel 1956 pubblica presso l’editore Laterza il suo primo saggio Le parrocchie di Regalpetra. Un libro che suscita e riceve attenzione anche a livello nazionale. L’obiettivo primario, dichiarato già nella Prefazione, è quello di indagare – non solo mostrare – le tristi e pessime condizioni delle povere classi di lavoratori (paga scarsa, pericolo di morte sul lavoro, questioni ancora oggi, purtroppo, non risolte).
Il grande successo arriva nel 1961 con Il giorno della civetta: un romanzo poliziesco pubblicato dalla casa editrice Einaudi. Il primo romanzo «giallo» pubblicato da Sciascia. Un’opera che mette in prosa la «mafia». Negli anni Settanta Leonardo Sciascia diventa il più celebre degli scrittori siciliani. Un uomo che con acume indaga il mondo oggettivo della sua Sicilia, una «metafora del mondo» (G. Ferroni). Un maestro che possiede una solida razionalità illuministica, che esercita l’arte e l’esercizio della ragione.
Un maestro umile ed esigente ed in quanto tale «eretico» perché con la sua parola e la sua prosa aiuta a guardare sempre ciò che va visto. Un intellettuale che diventa tale attraverso la storia, la memoria, le opere della letteratura civile e razionale dei barocchi spagnoli, degli illuministi francesi, di Alessandro Manzoni e Luigi Pirandello, di Jorge Luis Borges e del suo maestro Vitaliano Brancati. La sua vasta e varia produzione è accompagnata dalla «felicità di far libri» (S. S. Nigro) che svolge nella casa editrice Sellerio nata nel 1969.
Tralascio l’aspetto del pesante e soffocante clima vissuto dal politico ed «onorevole» Sciascia, un momento storico molto complicato reso ancor più pesante dall’emergenza antiterroristica (L’affaire Moro pubblicato da Sellerio nel 1978 provoca roventi polemiche).
Nel panorama culturale italiano la vita, la prosa, la cultura, la politica di Sciascia è una grande testimonianza di «rigore intellettuale» (G. Ferroni) che muove dall’antichità classica e che si irrobustisce nel fecondo illuminismo europeo e soprattutto francese. Una prosa segnata da una rara forza di analisi del mondo che in Sciascia diventa «memoria» (titolo di una prestigiosa collana voluta e amata da Sciascia) ma anche passione, giustizia, libertà. Topoi, archetipi letterari che attraversano in lungo e in largo il perimetro della narrativa e della resistenza umana di uno dei più grandi scrittori della nostra narrativa letteraria di fine Novecento.
La forte tensione educativa e letteraria di Sciascia traspare nei ricordi e nelle «memorie» di due suoi cari amici intervistati in occasione dei trentuno anni dalla sua scomparsa. Due sole domande per individuare, rintracciare il «segno» dell’esercizio e dello stile, umile ed esigente, di Sciascia.
Maestro Giuseppe Leone l’amicizia con l’uomo-scrittore Leonardo Sciascia cosa ha significato e significa per lei?
G. L.: L’amicizia con Leonardo Sciascia, ha segnato un’epoca straordinaria del mio vissuto come uomo segnando la mia crescita culturale e umana. Sicuramente ha influito nella mia visione antropologica e nel passaggio epocale che ci ha condotto alla contemporaneità che viviamo.
Qual è la frase più bella, incisiva di Sciascia che conserva nel «libro della sua memoria»?
G. L.: Sicuramente resterà impresso nella mia memoria il momento in cui mi fece la dedica al libro La contea di Modica, libro da lui fortemente voluto, in cui scrisse «a Giuseppe Leone autore, il collaboratore Leonardo Sciascia». Ne evince la grandezza e la generosità di un uomo che privilegia l’altruismo e che segna la storia della letteratura
Il professore Salvatore Silvano Nigro ha preferito unificare le due domande:
S. S. N.: «L’amicizia con Sciascia è stata fondamentale nella mia vita. Del grande amico voglio ricordare il consiglio che mi dava. Mi diceva che non dovevo mai diventare un professore. Mi esortava a rimanere uno studente, cioè una persona che non smette di studiare, e che ama leggere liberamente (senza schemi, senza esclusive finalità accademiche, senza limiti di curiosità). Insomma, Sciascia, mi ha messo sulla strada dello studioso e non dell’accademico che si siede in cattedra per «professare». E infatti la mia amicizia con Sciascia era fatta di letture comuni, di commenti alle letture, di implicazioni tra vita (anche civile) e letteratura. Sciascia è stato per me un grande maestro».
Foto di Leonardo Sciascia: per gentile concessione del fotografo Maestro Leone