La metafora del “Se”

Articolo di Redazione

di Anacleto

Un giorno ti siedi su di una panchina che sta vicino alla laguna e davanti a te c’è una tomba con la foto di una donna di quaranta anni portata via in un attimo, portata via da una disattenzione, portata via da un soffio del demonio che ci ha voluto lontani. Niente spiega la morte di una persona giovane. Alla morte non ci si abitua, ma ci si avvicina, ci si arrende (qualche volta). La morte se si avvicina è parte della vita e fa parte di una attesa che è anche accettazione.

Se, invece, arriva con violenza e con arroganza è tutto un’altra cosa. La tua è avvenuta con stupore che leggo nel tuo sorriso e nella foto che tua madre scelse per quella tomba nel 2004. Tu sei lì per chi ti guarda, ma sei, in realtà, accanto a me in quella panchina. Mi sorridi e mi rimproveri. Mi sorridi e mi carezzi la mano. Mi guardi negli occhi e provi quello che non riesco a spiegare. Ed allora mi viene alla mente la metafora del “Se”. Se io quel giorno ti avessi abbracciata, se io quel giorno avessi avuto coraggio, se io quel giorno avessi capito quanto profondo era il tuo amore, se io avessi compreso che insieme saremmo stati “perfetti” (ma sarebbe stato così?).

Se io avessi avuto te tra le mie braccia quel giorno, oggi, tu saresti viva ed accanto a me. A leggere, come facevi, nella tua poltrona ed a “spippolare” il cellulare. La metafora del “Se” è per chi non ha avuto coraggio. È per chi, come me, avrebbe dovuto riconoscere nel tuo sorriso il nostro futuro. Dovremmo vivere al contrario: nascere vecchi e morire bambini. Ma io sono certo che ti ho incontrata di nuovo ed ora sei quella gatta che mi fa le fusa e hai trovato un altro modo per starmi accanto. Quel viso non lo dimenticherò mai e la mia vita sarà sempre segnata dalla nostra vita che non c’è mai stata, ma c’è sempre stata.

Potessi tornare indietro ti bacerei quel giorno e starei con te. Ma la vita non è solo quello che riusciamo a costruire, ma anche quello che incontriamo e che ci cambia, che ci trasforma. Seduto su quella panchina non ero solo; non sono mai solo ed ho te al mio fianco. Ho voglia spesso di venirti a trovare e trovare quella pace che mi manca e che vedo riflessa nei tuoi occhi. Poi penso a mia figlia e non mi concedo sosta, ma so che un giorno, in ogni dove, io e te saremo insieme. È, e tu lo sai bene, solo questione di tempo.

A te Roberta

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