Quando 25 anni fa moriva nel fiore degli anni Lady Diana, William era un ragazzo, mentre Harry ancora un bambino. Vissero il dramma in modo diverso. Il primogenito, già consapevole delle sue future responsabilità – un giorno sarebbe diventato re – considerò l’incidente in cui la madre perdette la vita a 36 anni una fatalità. Harry, invece, ne diede la colpa alla famiglia reale. Alla sua età non poteva capire che molto probabilmente la mamma era stata vittima di un attentato. Ma si rese conto che nessuno le aveva dimostrato comprensione e solidarietà per l’angoscia in cui il tradimento del marito le aveva procurato. Anzi, la regina l’aveva addirittura privata del titolo di altezza reale perché frequentava musulmani. Ma non ne era innamorata. Era una bravissima donna disperata per avere perso l’amore del marito e cercava di vendicarsi sulla famiglia che l’aveva abbandonata, non rendendosi conto che anche i suoi figli ne facevano parte.
Crescendo il risentimento di Harry è aumentato, tanto da sentirsi un estraneo a Buckingham Palace e dintorni. E io gli do ragione perché, essendo stato un ammiratore della principessa, che aveva portato un raggio di sole nei tetri saloni della reggia, soffrii anch’io di quella tragedia. La conoscevo bene e, nonostante giornalista di cui i reali diffidano, si era subito instaurata una simpatica intesa. La conobbi il 19 aprile 1985, appena sbarcata a Olbia col marito dal Britannia, il panfilo reale con cui avevano viaggiato.
In quel periodo scrivevo le memorie di Francesco Cossiga, che, essendo Presidente del Senato – il 3 luglio sarebbe stato poi eletto ottavo Presidente della Repubblica – era il numero due del protocollo di stato, come Carlo In Inghilterra, e aveva il compito di accoglierli sul suolo Italiano. Mi propose di seguirlo per continuare a parlare in aereo, saremmo tornati a tarda ora, ma la sera stessa.
Alla cena informale in un ristorante di Portorotondo, ero seduto di fronte alla principessa con cui parlai piacevolmente per tutta la serata. Negli anni successivi la incontrai spesso fino a quando il marito l’abbandonò perché innamorato sin da ragazzo di Camilla Shand, oggi duchessa di Cornovaglia e futura regina consorte. Carlo non aveva potuto sposarla perché Camilla non era illibata quando si innamorarono. Allora l’erede al trono d’Inghilterra doveva nascere, come Gesù Cristo, da una vergine. Per di più Camilla apparteneva a una famiglia di piccola nobiltà di provincia, non di rango elevato. Mentre Diana Spencer era dì nobiltà più antica dei Windsor. L’intesa sentimentale tra Carlo e Camilla proseguì anche quando lei sposò Andrew Parker Bowles e lui Diana.
Una sera, il 29 agosto 1997, 48 ore prima dell’incidente in cui perdettero la vita Lady Diana e il fidanzato Doli Al Fayed, ero a cena a Cannes a casa di Adnan Khashoggi, allora conosciuto come l’uomo più ricco del mondo, di cui fui amico fraterno per più di 40 anni. A tavola c’era anche la nipote Gigi, sorellastra di Dodi. La madre, Samiha, sorella di Adnan, aveva sposato in prime nozze l’egiziano Mohamed Al Fayed, da cui aveva avuto Dodi. Dalle seconde nozze era nata Gigi, che quella sera rivelò che Diana era incinta. Fui subito assalito dalla certezza che la principessa e Dodi erano in grave pericolo.
La famiglia reale non poteva tollerare che il futuro sovrano avesse un fratellastro musulmano. Dissi a Gigi di chiamare Dodi per avvertirlo del pericolo che assieme a Diana correva. Sottovalutando la situazione Gigi disse che avrebbe incontrato il fratello a Parigi durante il successivo week end. Lo zio, invece, aveva capito e intimato alla nipote di chiamare immediatamente Dodi, che, però, non rispose neppure il giorno dopo. Per isolarli dal mondo il servizio di sicurezza aveva suggerito ai due fidanzati di tenere i cellulari spenti. Gigi partì l’indomani per Parigi, ma non le fu possibile incontrare il fratello, se non, poi, all’obitorio per riconoscerne la salma.