Un operaio muore in un incidente e viene sotterrato con il suo libretto di lavoro, documento senza il quale la vedova non può riscuotere la pensione. La burocrazia rende impossibile l’emissione di un duplicato perché solo l’interessato è autorizzato a richiederlo, ma al tempo stesso non permette la riesumazione del cadavere perché devono essere trascorsi due anni dalla sepoltura. Per recuperare il documento la famiglia dello scomparso si vede costretta a realizzare una riesumazione clandestina, ma la burocrazia pone una serie di ostacoli alla nuova sepoltura del cadavere. Il finale macabro – ma sostanzialmente comico – vede il nipote del defunto uccidere il burocrate che aveva posto e continuava a porre una serie di cavilli alla soluzione del problema.
Tomás Gutiérrez Alea si dimostra un ottimo autore di commedie, ispirandosi alla pochade, alle comiche del periodo muto e all’umorismo nero anglosassone realizza una feroce satira della burocrazia che segue la lezione letteraria di Kafka e Gogol.
I titoli del film scorrono in apertura di pellicola come se fossero dattiloscritti su fogli di carta bollata, quasi si trattasse di una pratica burocratica, portandoci nel vivo della finzione. La pellicola è realizzata in un intenso bianco e nero adatto al tema trattato, i notturni sono cupi e surreali, i marmi bianchi del cimitero avanero sono messi in bella evidenza e il cielo nuvoloso risulta da contrasti eccellenti. Il tono comico è evidente sin dall’orazione funebre in memoria di un operaio laborioso che aveva inventato una macchina per produrre statue di marmo finendo stritolato dai suoi ingranaggi. Vediamo sequenze tipiche dei cartoni animati con l’operaio ossessionato dai programmi da compiere sempre presente ai discorsi di Fidel e immerso nel lavoro. “El trabajo creador de un alma proletaria”, afferma il suo oratore funebre con parole intense ma retoriche. La commedia degli equivoci comincia con il nipote che cerca di ottenere un duplicato del libretto di lavoro seppellito insieme al morto ma la burocrazia rende tutto impossibile. La pellicola ricorda la commedia all’italiana e il tono tragicomico imposta una satira ben riuscita sugli eccessi della burocrazia.
Il nipote del defunto trova sulla sua strada oscuri personaggi di burocrati ligi al dovere che applicano i regolamenti all’eccesso e non cercano di risolvere i problemi del cittadino. Le sequenze al cimitero con il nipote che trafuga la bara del morto e recupera il documento sono un capolavoro di umorismo nero, ai limiti della farsa. Il tentativo di seppellire di nuovo il cadavere è una vera e propria citazione delle comiche e della pochade perché tutto finisce a corone di fiori in faccia, tra botte, risse e macchine distrutte. Il burocrate che gestisce il cimitero si oppone a seppellire due volte lo stesso cadavere e non si ferma di fronte all’evidenza. Prima di seppellirlo serve un ordine di riesumazione, visto che secondo la documentazione del cimitero la bara non è stata mai tolta dal terreno. La pellicola è costellata di parti oniriche che ritraggono gli incubi fantastici del nipote ossessionato dalla bara e dal modo per disfarsene. Sono elementi di matrice felliniana, ma anche Cesare Zavattini e Ingmar Bergman vengono citati a piene mani. Il nipote trascina una bara con sopra lo zio che la cavalca e lo frusta per farlo camminare. Altre sequenze mostrano il defunto sulle giostre del Luna Park e infine il nipote che getta la bara dall’alto di una scogliera. L’assurdità della situazione fa venire a mente molti racconti di Gogol come Il naso, Il cappotto e soprattutto Il revisore, feroce satira della burocrazia. Franz Kafka è un altro autore di sicuro riferimento: romanzi come Il castello e Il processo ricalcano situazioni simili. A un certo punto il protagonista si trova invischiato nei meandri della burocrazia e non riesce a venirne fuori. Il nipote del defunto passa da un ufficio all’altro, fa lunghe code, attende il suo turno, ma manca sempre qualcosa – quando un timbro, quando una firma – e il problema non si risolve. A un certo punto il protagonista resta prigioniero del palazzo della burocrazia, non sa come venirne fuori, cerca di scappare da una finestra, viene preso per un aspirante suicida e finisce in ospedale dove lo giudicano paranoico. Alla fine il nipote riesce a ottenere un documento firmato che ordina la riesumazione del cadavere, ma il burocrate del cimitero non accetta di seppellire il defunto se prima la salma non verrà riesumata. Inutile tentare di convincere l’amministratore che la bara non è sotto terra, visto che per lui conta solo la documentazione in archivio. Il protagonista esasperato uccide il burocrate con le sue stesse mani vicino alla tomba dello zio. Il finale mostra la morte del burocrate e il suo funerale con i colleghi di lavoro che lo piangono.
La muerte de un burocrate vuole essere un lavoro contro la burocrazia, male che affligge ancora oggi la società cubana, una sorta di autocritica al sistema, una spinta alla modernizzazione e a un cambiamento di mentalità che purtroppo non si è verificato. Gutiérrez Alea mette in scena una satira grottesca ed eccesiva per far capire che lo Stato deve essere al servizio del cittadino, aiutarlo a risolvere i problemi pratici, limitando al massimo gli ostacoli burocratici e le procedure inutili. Tutto il contrario di quel che accade nella società comunista, pervasa da eccessi burocratici e da ostacoli di ogni tipo.
Regia: Tomás Gutiérrez Alea. Durata: 85’. Produzione e Distribuzione: ICAIC (Cuba). Produttore: Margarita Alexandre. Soggetto e Sceneggiatura: Alfredo del Cueto, Tomás Gutiérrez Alea, Ramón F. Suárez. Fotografia: Ramón F. Suárez. Montaggio: Mario González. Musica: Leo Brouwer. Suono: Eugenio Vesa Figueras. Interpreti: Salvador Wood, Silvia Planas, Manuel Estanillo, Roberto Gacio, Gaspar de Santelices, Pedro Pablo Astorga. Premi: Miglior lungometraggio – Premio della Stampa Cinematografica Cubana (1966); Premio Speciale della Giuria al Karlovy Vary International Film Festival (1966).