La notizia è di quelle che fanno riflettere. Da anni i cittadini di molti Paesi sviluppati sono subissati da misure restrittive che impongono costose misure “verdi” e cambiamenti degli stili di vita per ridurre le emissioni di CO2 e altre sostanze climalteranti. Ora, però, una ricerca dimostrerebbe che ad essere responsabili dell’80% delle emissioni di gas climalteranti in tutto il mondo, sono soltanto 57 le società. Sono i risultati di una ricerca basata sulla piattaforma “Carbon Majors” – un database creato nel 2013 da Richard Heede del Climate Accountability Institute, negli USA -, realizzata dal think tank no-profit InfluenceMap. Carbon_Majors_Launch_Report.pdf (carbonmajors.org) nella quale sono state calcolate le emissioni di gas climalteranti. I dati analizzati si riferiscono al periodo che va dal 1854 al 2022, ma i ricercatori si sono concentrati in particolare sul periodo compreso tra il 2016 (data della sottoscrizione degli accordi di Parigi) e il 2022. Ad essere analizzate prima di tutto le aziende petrolifere (o comunque legate ai combustibili fossili) e le aziende del cemento.
Le società sono state divise in tre gruppi: società private, enti statali e aziende a maggioranza o compartecipazione statale. Equilibrati (da questo punto di vista) i risultati. Un terzo delle emissioni sarebbero prodotte da società private. In cima alla lista, come prevedibile, le grandi compagnie petrolifere, con le americane Chevron ed ExxonMobil e la britannica BP ai vertici assoluti. Molte anche le società statali con Saudi Aramco, Gazprom e la National Iran Oil Company: sono responsabili di circa il 33% delle emissioni. Presente nella classifica anche l’italiana ENI: trentaduesima assoluta se si tiene conto di tutte le 122 entità analizzate all’interno del database, l’Eni risulta essere la decima società privata al mondo per emissioni, nei settori di gas e petrolio. Il restante 33% sarebbe da attribuire a società statali, con la Cina prima assoluta seguita dall’ex Unione Sovietica. Al terzo posto la società petrolifera dell’Arabia Saudita e poi quarta e quinta due società made in USA.
“La ricerca di Carbon Majors ci mostra esattamente chi è responsabile del caldo letale, delle condizioni meteorologiche estreme e dell’inquinamento atmosferico che stanno minacciando vite umane e devastando i nostri oceani e le nostre foreste” ha dichiarato Tzeporah Berman, direttrice del programma internazionale di Stand.earth e presidente del Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili. “Queste aziende hanno realizzato profitti per miliardi di dollari negando il problema e ritardando e ostacolando la politica climatica. Stanno spendendo milioni in campagne pubblicitarie per far parte di una soluzione sostenibile, continuando nel contempo a investire in una maggiore estrazione di combustibili fossili. Questi risultati sottolineano che, più che mai, abbiamo bisogno che i nostri governi resistano a queste aziende, e abbiamo bisogno di una nuova cooperazione internazionale attraverso un Trattato sui combustibili fossili per porre fine all’espansione dei combustibili fossili e garantire una transizione veramente giusta”.
Come si diceva i ricercatori hanno concentrato l’attenzione sui dati a partire dalla COP di Parigi. Quello che hanno dimenticato di dire è che, dopo la COP27 in Egitto e la COP28 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, nel 2024, la gestione dei lavori della COP29 è stata affidata all’Azerbaijan: un altro Paese la cui economia è basata sui combustibili fossili. Sperare che dagli incontri che si terranno alla fine dell’anno possano emergere tagli considerevoli all’utilizzo dei combustibili fossili o che l’UE o gli USA o la Cina o la Russia o l’India decideranno di penalizzare le proprie multinazionali del petrolio per salvare l’ambiente è da ingenui. Continueranno a promettere “Nuovi Accordi Verdi”, a dire che la produzione di energia da fonti rinnovabili è aumentata (senza dire che, in realtà, anche i consumi di energia sono aumentati) e a tartassare i cittadini con misure per “salvare” l’ambiente e il pianeta “riducendo le emissioni di CO2”.
Poi, inspiegabilmente, non faranno nulla per costringere le grandi compagnie petrolifere a ridurre le proprie emissioni. Per chi volesse la prova (l’ennesima) basti pensare che per la tanto decantata Plastic tax, la tassa sui prodotti in plastica, che sarebbe dovuta entrare in vigore a luglio 2020, prima è stata posticipata con il Decreto Rilancio n. 34 del 2020, al primo gennaio 2021. Poi, al primo luglio 2021. Ma con la Legge di Bilancio 2022 è stata ulteriormente rinviata al primo gennaio 2024. Ma nei giorni scorsi, con il maxiemendamento, il governo ha deciso di rimandarla ancora: almeno fino al 2026. Giusto per far capire a tutti quanto ci tengono all’ambiente.