La celebrazione della Pasqua sta al centro e al cuore dell’esperienza biblica. Il termine «pasqua» è un calco dal greco pàscha, derivato dall’aramaico pashâ e dall’ebraico pesah che significa «passare», «saltare». Da qui proviene il significato del sostantivo: «festa» (danza) e «passaggio».
La Pasqua cristiana, come già quella ebraica, va infatti ben oltre l’evocazione del dinamismo stagionale della natura, cerca di sensibilizzare, di guidare la coscienza e la storia.
La risurrezione del Cristo è un’irruzione segreta che feconda di eterno, di infinito le categorie del nostro tempo e del nostro spazio. È per questo che il Nuovo Testamento cerca di descrivere la Pasqua con espressioni come «glorificazione» o «esaltazione», care agli apostoli Giovanni e Paolo.
In questo tempo post-pandemico e segnato da venti di guerra e orrori un capolavoro d’arte come la Crocifissione del Masaccio opera in noi, meravigliosamente, il passaggio della salvezza. In questa tempera si palesa il messaggio di liberazione, di vita, di dolore, di salvezza.
Nella tempera della Crocifissione il dramma trova il suo momento più alto nelle mani alzate della Maddalena (una figura, un “triangolo rovesciato rosso”). Mani alzate verso il legno della Croce. L’uomo disteso su d’esso alza a sé il dolore, lo salvifica. La testa della Maddalena è d’oro, chinata in avanti come se portasse, offrisse all’Uomo-Dio crocifisso il dolore d’ogni uomo. Alle mani alzate e danzanti della Maddalena, Masaccio, giustappone le braccia del Cristo. Sopra di esso Masaccio disegna, colora, ci dona un albero, l’albor vitae: il simbolo di ri-nascita. La Pasqua come opera d’arte che rinnova, risolleva; che muta il lutto in gioia, il pianto in danza. La Crocifissione del Masaccio è non solamente un’opera d’arte ma un’opera di salvezza, di redenzione, di amore. Un’opera che getta una luce nei nostri occhi, nei nostri cuori. Una luce in questo periodo di buio e sofferenza, di morte e barbarie. Nella Crocifissione del Masaccio – come in tutta l’arte sacra – è incastonato il dialogo tra l’arte e la teologia. Le opere d’arte sono dense di occasioni, di domande. Non è possibile pensare alla storia della salvezza come un’opera compiuta. La Crocifissione del Masaccio ci ricorda che la storia della salvezza è consegnata nelle nostre mani. Con l’artista e docente Massimiliano Ferragina (https://ferraginart.onweb.it/it) – un amico, per chi scrive, di colori che diventano emozioni – contempliamo, con sguardo attento e intelligente, il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo nel capolavoro della Crocifissione del Masaccio.
D.: Centro e fulcro della tempera del Masaccio sono le mani alzate, “danzanti” della Maddalena e le mani distese sul legno della croce di Cristo. Dalle mani danzanti della Maddalena “sfugge”, vola la vita umana catturata, rapita, capitolata, amata dagli occhi aperti del Crocifisso. L’oro in cui emergono le mani e tutta l’opera del Masaccio cambia il lutto in gioia. Da uomo, da credente, da pittore come l’arte può riscattare, liberare, fare felice l’uomo?
R.: La domanda così articolata mi entusiasma molto. Proverò a rispondere mettendoci oltre la conoscenza anche l’esperienza maturata in questi anni in cui l’arte, e l’arte sacra in particolare, mi hanno visto estremamente impegnato. L’uomo si differenzia dall’animale perché avverte, da sempre, una tensione verso il Cielo, inteso come dimensione estranea all’umanità ma percepibile e inafferrabile. L’uomo nella sua “domanda d’essere” espone a se stesso tutto il desiderio di alzare le mani ed afferrare il mistero che si cela sopra la sua testa. L’unica possibilità, l’unica via di fuga, l’unica prospettiva che gli permette di sperare, di gioire, di sentirsi com-preso nel tutto è l’Arte, senza l’Arte trionfa la di-sperazione, che è il contrario della speranza. L’Arte è la via esclusiva dell’uomo per ambire alla felicità. Arte intesa sia nell’ottica della produzione, che nell’ottica della fruizione. Sono uomo, sono credente, tento di essere artista, se non fossi tutto questo non sarei nulla. Come nell’opera del Masaccio descritta in questo articolo, tutti noi siamo il volto celato di quella Maddalena, uomini e donne, credenti e non, artisti e non, tutti si riconoscono e si emozionano in quel volto invisibile ai piedi della Croce. L’angoscia dell’umanità è tutta in quel volto che non ci guarda, che guarda in terra, perché siamo consapevoli di essere finiti ma osiamo alzare le mani per essere afferrati, elevati, amati da quel Dio luminoso che intra-vediamo. L’Arte ci permette di “alzare le mani” e sperare. Le mani che si muovono per fare Arte sono mani che chiedono a Dio di essere accolte tra le Sue.
D.: I colori degli artisti di ieri e di oggi come possono dare senso e “volume” alla ricerca della felicità dell’Uomo?
R.: I colori sono lo strumento per rappresentare quello che è non-rappresentabile. Mi piace ricordare sempre che i colori per un artista non sono solamente pigmento, materia cromatica, sono essenzialmente “linguaggio”. In ogni cultura i colori comunicano qualcosa, i colori sono simboli, subiscono il processo di simbolizzazione, esempio ne è l’arte sacra ortodossa, ma anche quella occidentale seppur in modo più ristretto. Il vero problema è che oggi il colore nell’arte contemporanea ha perso la sua primaria funzione ed è stato privato del suo significante. Pochi artisti usano i colori ed il colore con consapevolezza. L’Arte sacra non può fare a meno del colore come mediatore di contenuto, come facilitatore per accedere alla catechesi. Per gli artisti sensibili e colti il colore è vivo. Vitale. Vivificante. Il colore è lingua, lingua che può aiutare ad entrare nel mistero, assaggiarne la dolcezza, catturarne le sfumature. Quando si arriva a questo livello di meditazione attraverso l’uso dei colori, la felicità prende volume nell’opera come nella vita. Attenzione! Non si tratta di felicità da intendere banalmente come allegria, gioia, serenità, nulla di tutto questo. La felicità dell’artista che usa il colore consapevolmente, che “abita” il colore, è la felicità di aver intrapreso la giusta via per farsi profeta. Nel bene e nel male.
D.: Come l’Arte può essere una risposta alle domande esistenziali dell’Uomo?
R.: L’Arte è il tentativo di rispondere alle domande prime ed ultime dell’uomo. L’Arte non è la risposta, ma è l’unica possibilità, declinabile in infiniti linguaggi e stili, che l’uomo ha a disposizione per non soccombere alla sua piccolezza e finitezza. L’Arte non risponde, tenta di rispondere, in questo tentativo la carne si trasfigura in spirito, si percepisce che siamo nati per “desiderare Dio”, è questo desiderio la risposta a tutte le domande. L’Arte ci aiuta a desiderare e nutrire il desiderio stesso.