In questo momento a dir poco distopico della nostra storia, non ci è permesso di dire molto. Qualunque battaglia personale, anche la più nobile, è una battaglia inutile, perché viene incanalata in altre direzioni per servire ciniche logiche di potere e di mercato. Ogni pensiero che osa affacciarsi fuori dai recinti del politicamente corretto – quelle staccionate piantate nei nostri terreni brulli dai servi di una deriva dittatoriale sempre più subdola e impalpabile – finisce per diventare bersaglio di certi cecchini sociali, individui spietati, affetti dalla peggiore malattia: l’ego. Affamati di successo, di soldi, di incarichi politici. In alcuni casi, il cecchino spara per paura, una paura indotta, costruita giorno dopo giorno dai media di proprietà dei governi. In altri casi, lo fa per puro profitto.
Alla luce di queste considerazioni – considerazioni irresponsabili, secondo i vademecum dei giornali di regime – ho realizzato che l’unico modo per esprimere il proprio dissenso – sempre che di vero dissenso si tratti – è attraverso la poesia. Anzitutto, perché la pochezza intellettuale dei nostri governanti non permette loro di comprendere il linguaggio poetico. E in secondo luogo, perché su questo piano comunicativo non è possibile trovare pretesti per umiliare, sminuire e distruggere chi non è incatenato ai loro binari.
Io amo chi resiste e chi vuole imparare a resistere. Resistere ai ricatti istituzionalizzati, alle leggi coercitive, alle strategie della tensione, al linguaggio violento e fuorviante mascherato da bieco moralismo. Resistere alla propaganda che compra e vende ogni cosa. Ogni cosa tranne l’umano. Chi è umano non è in vendita. Chi è umano fa davvero paura a coloro che perpretano politiche distruttive barattando la propria dignità in cambio di un piatto di sterco e caviale.
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Dall’introduzione di Canto furioso, in uscita per Eretica edizioni
Foto: Fou d’images, Annecy 2021