Il 4 febbraio 1856 l’antropologo e anatomista Herman Schaafhausen (1816-1893), professore dell’Università di Bonn, annuncia il ritrovamento nella valle Neander, vicino Düsseldorf, di resti di un essere umano, un nostro lontano parente, estinto circa 30.000 anni fa.
Il classico, per autorevolezza e magistrale scrittura storica, Trattato di storia greca di Giulio Giannelli insegna che dall’Ottocento «la nostra conoscenza della preistoria poggia su basi assai più larghe e più sicure, grazie al formarsi e al progredire della scienza archeologica». Sempre Giannelli ci ricorda che la parola «storia» deriva dal greco historìe. E che questo termine, a sua volta, viene dalla radice wid-, weid-, «vedere». Sempre in greco, hìstor è infatti «colui che vede, il testimone». Historìe, in origine, dunque è l’«indagine» in senso lato. Successivamente il termine è passato a indicare la ricostruzione del passato. La storia quindi è la scienza che studia il passato.
Secondo una distinzione classica, oramai superata, la preistoria indica comunemente quel lunghissimo periodo che va dalla comparsa dell’uomo sulla terra, 4 milioni di anni fa circa, all’invenzione della scrittura. Acuti e prestigiosi storici, uno fra tutti Andrea Giardina, precisa con acume ed autorevolezza che «la scrittura compare in momenti diversi nei vari contesti geografici» ed ancora che questa distinzione tra preistoria e storia, fondata sul momento di apparizione della scrittura, viene giudicata oramai insoddisfacente. Il primo motivo di perplessità consiste nel fatto che quella distinzione si basa su un unico elemento, per quanto di eccezionale importanza, e trascura tutti gli altri. Per la vita dell’uomo, la divisione del lavoro e la nascita delle prime città furono eventi rivoluzionari tanto quanto la scrittura. Fa notare ancora, l’allievo di Santo Mazzarino, che la distinzione e divisione tra culture «con scrittura» e culture «senza scrittura» vuol dire «schematizzare in modo eccessivo la varietà dei gruppi umani, appiattirla in una semplificazione banale. Le culture senza scrittura, infatti, sono molto diverse l’una dall’altra…»
La Preistoria è «un viaggio nel tempo profondo» (cfr. John Mc Phee, Deep Time, un viaggio ripreso ultimamente dall’evoluzionista e filosofo della scienza Tempo Pievani). Lo stesso Charles Darwin ha scritto che «la nostra vita, la presenza degli esseri umani sulla Terra è come una sottile pellicola che galleggia sopra un oceano di tempo sterminato». La Preistoria è appunto un tempo profondo molto affascinante.
Agli inizi degli anni Duemila, 2000, nuovi ed eccezionali scavi e nuovi ritrovamenti di frammenti ossei, accompagnati ed illuminati da ricerche e studi portati avanti dalla Atlantic University di Boca Raton hanno non solo ricostruito la laringe dell’essere umano detto di Neanderthal ma che l’uomo, conosciuto come «l’uomo di Neanderthal», potrebbe essere, in realtà, una donna.
L’immensità e vertiginosità del tempo preistorico ci insegna che siamo sì un «piccolo puntino» ma in quanto sapiens siamo chiamati a capire il Tempo – coordinata della Storia – assieme allo Spazio: a capirlo e a viverlo sulla lezione di Seneca che da secoli ci ricorda come «breve è la vita che viviamo davvero. Tutto il resto è tempo. L’unica cosa che ci appartiene è il tempo». A noi sapiens il compito di addomesticare il Tempo con «virtute e canoscenza».