Un film di Pupi Avati lo riconosci da quel tocco di magica poesia che aleggia sin dalle prime sequenze, ti accompagna fimo all’ultima scena ed esce con te dalla sala per restarti impresso nel cuore. L’ultimo lavoro del Maestro non fa eccezione, si parte da un incipit struggente in bianco e nero, costruito su foto della vecchia Bologna e un chiosco di gelati dove si avverano i sogni, con la stessa immagine che ci accoglie in un finale onirico e crepuscolare. La quattordicesima domenica ha un andamento circolare, come i migliori film di Avati che indagano il tempo perduto, costruito per flashback intrecciati con un montaggio alternato curato alla perfezione dal bravo Zuccon. La fotografia di Bastelli (uno dei pochi della vecchia factory) è a tratti anticata, passa al bianco e nero, si fa notturna e giallo ocra, per sottolineare i diversi momenti temporali. La colonna sonora di Cammariere è stupenda, nostalgica e suadente, con il brano portante del film – scritto insieme a Pupi Avati – che ritorna a cadenze prefissate, come per sottolineare che niente cambia nonostante il passare del tempo.
La quattordicesima domenica è forse uno dei film più personali di Pupi Avati, con Gabriele Lavia nei panni di un musicista fallito, una sorta di alter ego del regista (ma non ha avuto successo), invecchiato nella speranza di inseguire un sogno. Film drammatico che parla di amicizia virile, di figli che muoiono, di gelosia patologica che sconvolge una vita, di una moglie bellissima che abbandona e lascia nella disperazione un uomo innamorato. Le parti oniriche dove compare il padre del musicista, morto in un incidente stradale quando il figlio era piccolo, valgono da sole l’intero film. Pupi Avati fa i conti con il suo passato, metabolizza fino in fondo il dolore della perdita paterna, incontra il genitore sconosciuto grazie alla magia del racconto e affonda la penna del rimpianto in note di dolente poesia. La quattordicesima domenica del tempo ordinario è il giorno del matrimonio del protagonista con l’amata moglie, ma è anche il giorno in cui Avati ha sposato l’amata consorte. Il titolo della pellicola è anche quello del pezzo con cui Samuele (Russo) e Marco (Guenzi), componenti della band bolognese dei Leggenda, hanno sognato di poter andare a Sanremo e avere successo, il tema portante della storia che accompagna lo spettatore fino ai titoli coda. Edwige Fenech è molto brava nel ruolo drammatico della bellissima moglie invecchiata, Camilla Ciraolo non è sempre al meglio nei panni della giovane ragazza, ma ha un bel sorriso e una recitazione espressiva. Gabriele Lavia è perfetto nei panni del musicista fallito, così come è bravo il giovane Lodo Guenzi degli Stato Sociale, non solo quando deve cantare (il suo vero mestiere) ma anche quando recita la parte del cantante che insegue un sogno.
Massimo Lopez si vede soltanto nelle sequenze iniziali nei panni di Samuele direttore di banca che ha rinunciato al sogno, mentre da giovane cantante è un ottimo Nick Russo. Un film costruito con un tono crepuscolare e decadente, avatiano senza mezzi termini, tra Proust e Pascoli con accenni di De Amicis, intriso del tema del ricordo, della giovinezza andata, del sogno e del tempo perduto. Un omaggio a Bologna con bellissime panoramiche della città natale, inquadrature dei portici e di tutti i luoghi simbolo in funzione di ricordo. Ottima la citazione del cinema del passato, delle sale affollate dove si fumava e passavano film stupendi come La vita agra di Lizzani, tratto dal romanzo di Bianciardi. Sono dovuto andare fino a Orbetello (da Piombino), al Supercinema di corso Italia, per vedere un film che dovrebbe essere programmato in ogni sala per il valore narrativo che contiene, per la sublimazione di amore e amicizia in uno spazio temporale che affascina per novantotto minuti. Critici molto più bravi di me hanno scritto cose irripetibili su questa storia intrisa di passione per il cinema e per la vita. Consiglio gli spettori di non leggere certe recensioni, ma di farsi un’idea personale, di lasciarsi andare alla magia del racconto e a una liberatoria commozione. Pupi Avati è un regista che non delude mai, uno dei nostri ultimi grandi uomini di cinema.
Regia: Pupi Avati. Soggetto e Sceneggiatura: Pupi Avati. Fotografia: Cesare Bastelli. Montaggio: Ivan Zuccon. Effetti Speciali: Side Academy. Musiche: Sergio Cammariere, Lucio Gregoretti. Scenografia: Marco Dentici. Costumi: Maria Fassari. Produttori: Antonio Avati, Santo Versace, Gianluca Curti. Case di Produzione: Duea Film, Minerva Pictures, Vision Distribution. Regista Seconda Unità: Maria Antonia Avati. Lingua Originale: Italiano. Paese di Produzione: Italia, 2023. Durata: 98’. Fotografia: B/N e colore. Genere: Drammatico. Interpreti: Gabriele Lavia (Marzio Barreca), Edwige Fenech (Sandra Rubin), Massimo Lopez (Samuele Nascetti), Lodo Guenzi (Marco Barreca da giovane), Camilla Ciraolo (Sandra Rubin da giovane), Cesare Bocci (padre di Marzio), Jacopo Rampini (Giacomo).