A lanciare l’allarme, la Banca Mondiale con il rapporto Detox Development: Repurposing Environmentally Harmful Grants. Obiettivo colmare alcune lacune utilizzando nuovi dati e metodi per comprendere la portata e l’impatto delle sovvenzioni e migliorare la comprensione dell’entità, delle conseguenze e dei fattori trainanti dei successi e dei fallimenti politici al fine di rendere le riforme più realizzabili.
Le nuove analisi mostrano che un numero significativo di morti potrebbe essere attribuito indirettamente ai sussidi ai combustibili fossili. Secondo i dati riportati nel rapporto, agricoltura e pesca avrebbero ricevuto ben 7 trilioni di dollari in aiuti economici espliciti o impliciti. Finanziamenti espliciti – spese governative dirette – per circa 1,25 trilioni di dollari, pari alle dimensioni di una grande economia, come il Messico. Ma anche sussidi impliciti per oltre 6 trilioni di dollari l’anno. Una somma spaventosa: pari a circa l’8% del PIL globale.
Secondo lo studio, i governi avrebbero potuto spendere queste somme per risolvere altri problemi. A cominciare dalla riduzione dei danni che producono all’ambiente questi settori. L’agricoltura è responsabile della perdita di 2,2 milioni di ettari di foresta all’anno, il 14% della deforestazione globale. L’uso (e a volte, l’abuso) di combustibili fossili, incentivato dai sussidi, è una delle cause delle 7 milioni di morti premature che avvengono ogni anno. Molte delle quali legate all’inquinamento atmosferico. L’agricoltura è il più grande utilizzatore di risorse della Terra. Nutre tutti gli abitanti del pianeta e dà lavoro ad almeno un miliardo di persone, tra cui il 78% dei poveri del mondo. Gli aiuti economici, però, raramente raggiungono questi lavoratori. Spesso, secondo il rapporto, i finanziamenti finiscono per promuovere inefficienza, iniquità e insostenibilità. Causano il deterioramento della qualità dell’acqua. Aumentano la scarsità d’acqua incentivando l’estrazione eccessiva. Sono co-responsabili del 14% della deforestazione annuale, incentivando la produzione di colture coltivate vicino alle foreste. Ma non basta. Questi sussidi sono anche causa, indirettamente, della diffusione di malattie come la malaria.
Anche gli aiuti alla pesca sarebbero responsabili di danni all’ambiente: oltre 35 miliardi di dollari all’anno che causano diminuzione degli stock ittici, flotte pescherecce sovradimensionate e calo della redditività.
Notevole l’impatto sulle persone (in entrambi i campi). Per circa 3 miliardi di persone, la pesca è la fonte da cui estrarre quasi il 20% dell’apporto proteico da animali. Eppure questo settore è in crisi: oltre il 34% delle attività di pesca sono sovra sfruttate, esacerbate da regimi di accesso libero e sussidi sbagliati.
Rispetto agli impegni assunti nell’ambito dell’accordo di Parigi per affrontare i cambiamenti climatici complessivamente, secondo i ricercatori, i governi spendono sei volte di più per sovvenzionare, ogni anno, il consumo di combustibili fossili. Fondi che potrebbero essere utilizzati per favorire una transizione verde non finta, in grado di creare nuovi posti di lavoro e opportunità per i giovani. Una riforma degli aiuti a favore dei poveri in altre parole. Invece, in molti casi, come per i sussidi energetici, sono le grandi imprese che beneficiano di questi aiuti (visto il maggiore consumo). Per questo, il rapporto suggerisce di “compensare” coloro che potrebbero soffrire di più, utilizzando misure dirette.
A confermare l’impatto che questi aiuti hanno sull’ambiente anche un altro rapporto: “Air quality in Europe 2022”, realizzato dell’European Environment Agency EEA. “L’inquinamento atmosferico continua a rappresentare un rischio significativo per la salute in Europa, causando malattie croniche e morti premature. Nel 2020, il 96% della popolazione urbana dell’Ue è stata esposta a concentrazioni di particolato fine (PM2.5) superiori al livello guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). L’inquinamento atmosferico danneggia anche la biodiversità e danneggia le colture agricole e le foreste, causando gravi perdite economiche”, dicono i ricercatori.
Stando ai dati pubblicati dall’EEA: “La scarsa qualità dell’aria, soprattutto nelle aree urbane, continua a incidere sulla salute dei cittadini europei”. “Nel 2020, almeno 238.000 persone sono morte prematuramente nell’Ue a causa dell’esposizione all’inquinamento da PM2.5 superiore al livello guida dell’OMS di 5 µg/m3. L’inquinamento da biossido di azoto (NO2) ha portato a 49.000 morti e l’esposizione all’ozono (O3) a 24.000 morti premature nell’Ue”.
Tra i paesi più colpiti [figurarsi], l’Italia. Saldamente al primo posto in questa triste classifica: sarebbero ben 52.300 le morti premature da PM2.5 alle quali si aggiungono 11.200 morti premature causate da NO2 e altre dovute all’O3, 6.067. https://www.eea.europa.eu/publications/air-quality-in-europe-2022/health-impacts-of-air-pollution-table2
Ma non basta. L’EEa sottolinea che “Oltre alla morte prematura, l’inquinamento atmosferico provoca problemi di salute e aggiunge costi significativi al settore sanitario”. “In 30 paesi europei nel 2019, l’esposizione al PM2.5 ha portato a 175.702 anni vissuti con disabilità (YLD) a causa di broncopneumopatia cronica ostruttiva”.
Altra ricerca, altro appello accorato dei ricercatori. L’inquinamento atmosferico danneggia gli ecosistemi terrestri e acquatici. “Nel 2020, livelli dannosi di deposizione di azoto sono stati osservati nel 75% dell’area totale dell’ecosistema dell’Ue. Questo rappresenta una riduzione del 12% dal 2005, mentre l’obiettivo del piano d’azione dell’Ue per l’inquinamento zero è di raggiungere una riduzione del 25% entro il 2030”.
“Nel 2020 in Europa il 59% delle aree forestali e il 6% dei terreni agricoli sono stati esposti a livelli dannosi di ozono troposferico. Nel 2019, le perdite economiche dovute agli impatti dell’ozono troposferico sui raccolti di grano sono state pari a circa 1,4 miliardi di euro in 35 Paesi europei, con le maggiori perdite registrate in Francia, Germania, Polonia e Turchia”.
Ancora una volta uno dei settori più coinvolti è l’agricoltura: sarebbe responsabile di ben il 94% delle emissioni europee di ammoniaca e del 56% delle emissioni di metano. Per gli ossidi di azoto, le fonti principali sono state il trasporto su strada (37%), l’agricoltura (19%) e l’industria (15%).