In periodo di pandemia, tra restrizioni geografiche, smart-working, distanziamento sociale, mascherine chirurgiche e fai-da-te, varianti virali provenienti da ogni latitudine ed embargo pressoché totale di qualsiasi forma di manifestazione live in presenza di pubblico, il settore dell’arte e cultura ha subìto, giocoforza, importanti ripercussioni economiche, mettendo di conseguenza a rischio migliaia di posti di lavoro e l’avvenire dell’intera categoria.
Situazione di emergenza sanitaria mondiale che, di fatto, negli ultimi 365 giorni, ha fatto scomparire qualsiasi genere di attività culturale (ridefinita “non essenziale” dalle cariche istituzionali) dai nostri palinsesti quotidiani; eccezion fatta per quei pochi programmi televisivi mainstream destinati all’intrattenimento di massa e, pertanto, ad un target di pubblico generalista e senza troppe pretese.
Nell’ampio panorama professionale dell’arte e cultura, volgarmente chiamato “spettacolo”, una delle aree più falcidiate è senz’altro quella rappresentata dalla scena musicale underground: uno sconfinato territorio musicale, artistico e sociale che per un anno intero, insieme al suo volume di indotto composto dalle cosiddette maestranze, ha dovuto rinunciare alle proprie radici culturali, alle esibizioni dal vivo e, di riflesso, al proprio reddito.
Per questo motivo, tra amarezza, disperazione e necessità di ricominciare a suonare, qualcuno sta cercando di adeguarsi a questo grande e assordante silenzio, aderendo a quello che si sta affacciando come nuovo abominio sperimentale, come estrema unzione ai luoghi di cultura e di musica, ovvero i concerti in streaming.
Speriamo sia soltanto un estremo espediente momentaneo per fronteggiare questo periodo di immobilismo forzato per ciò che riguarda gli eventi live.
L’underground, dunque, è un mondo al cui interno vivono (ma a questo punto sarebbe più consono dire sopravvivono) migliaia di figure professionali: musicisti, band, etichette indipendenti, agenzie stampa, uffici di booking, fonici, proprietari di locali adibiti a musica dal vivo, ecc. Lavoratori che, in breve tempo, si sono ritrovati emarginati e abbandonati dalla politica; trasformati in un esercito di invisibili, costretti a subire da una parte la mancanza di rispetto della gente, che pensa che dovrebbero trovarsi un lavoro vero, e dall’altra la loro stessa paura di non lavorare più in futuro. Per il momento, non solo si vede la luce in fondo al tunnel, ma non si vede nemmeno il tunnel.
Non che prima del periodo pandemico la scena musicale underground navigasse nell’oro, tutt’altro: parliamo di un macro universo che, già in tempi di vecchia normalità, galleggiava in uno stato comatoso, oggi divenuto quantomai irreversibile; un mondo sottorrerraneo che in generale, anziché fare fronte comune, ha preferito ostentare un atteggiamento snob, distratto, ingiustificatamente autoreferenziale ed autoindulgente. Condotta alquanto opinabile, che non farà che aggiungere chiodi alla bara della scena underground tricolore.
Il giornalista Angelo Barraco, già collaboratore per la rivista Vinile, ha spiegato la sua in merito all’argomento: “La scena underground italiana contemporanea certamente pullula di giovani capaci e talentuosi. Molti sono in grado di fare un uso intelligente del mezzo web e quindi trasferire agli altri il proprio talento, altri invece non riescono a vivere serenamente la propria identità musicale perché sconfitti dalla musica di massa omologata e poco incline alle mode. Risultato? Talvolta c’è il coraggio di andare avanti, in altre occasioni, invece, si desiste alle mode per non sfigurare”.Col tempo, grazie allo sviluppo esponenziale dei mezzi tecnologici, abbiamo imparato a conoscere e metabolizzare le nuove dinamiche commerciali di fruizione e le rinnovate logiche di mercato, dettate da consumismo e capitalismo, che gravitano intorno al rapporto simbiotico che intercorre tra prodotto e consumatori: scenario in cui il concetto di musica tradizionale è stato via via convertito in formato liquido, in musica da lettori USB, a discapito dell’ormai vetusto supporto fisico, e dove qualunque cosa può potenzialmente arrivare a influenzare la cultura pop in un lasso di tempo sempre più breve.
Gli artisti, oggi, che siano famosi o meno, e a prescindere da quale sia il loro genere di riferimento, non propongono più rivoluzioni, non si espongono più come esempi di controcultura e anticonformismo, ma sembrano irrimediabilmente piegati alle tendenze tecnologiche e dialettiche dell’attualità, disposti ad elemosinare briciole di visibilità grazie a quei pochi canali mediatici che contano, mostrandosi sempre più svuotati nelle tematiche, incuranti della solidarietà reciproca e rilegati ad una dimensione marginale conservatrice, passiva, pressappochista e fine a sé stessa. Manifesto di tale degenerazione emotiva è il cosiddetto genere indie-pop (che già in quel paradossale ossimoro di partenza dimostrava tutta l’essenza dei suoi contenuti effimeri e superficiali), il quale, ormai da tempo, non può essere più considerato alla stregua di una proposta alternativa e di opposizione, ma piuttosto quale ruffiana rivisitazione e riesumazione di un vecchio spartito cantautorale tricolore, che ha come unico scopo quello di procacciarsi facili consensi, al pari dei tormentoni estivi sudamericani.
Luca Paisiello, redattore per la webzine Rockshock, ci espone il suo punto di vista: “In Italia, purtroppo, manca l’interesse della massa verso generi come rock e metal. Se poi le major e i contenitori televisivi nazionali non spingono verso questo mercato, ecco che il rock diventa di nicchia: un genere che non è mai appartenuto alla cultura musicale nostrana, tanto da doverlo etichettare persino nel 1987 con un “Sanremo Rock”. Vedo un futuro difficile per molti di questi artisti, se pensiamo per esempio agli Zen Circus o ai Fast Animals and Slow Kids che solo da pochi anni hanno ottenuto una discreta e meritata visibilità sudandosela palco dopo palco. C’è qualcosa di buono oggi tra le nuove leve? Esistono band che potranno dire la loro nei prossimi anni? A loro auguro di acquisire ancor più visibilità, ma oltre ai fan, devono avere un buon management alle spalle, con un booking e un ufficio stampa che lavorino davvero sodo. Significa investire denaro, energie, non cazzeggiare e soprattutto costruire dischi di livello. Chi pensa di farcela facendo il compitino, con un paio di brani che spaccano e il resto del disco che sa di già sentito, rischia di rimanere per sempre nell’ambito underground e di fare musica soltanto come un hobby straordinario, ma senza una diffusione su larga scala”.Al netto della suddetta analisi critica e ponderata, e di qualsiasi esperienza personale, un vezzo ormai abbastanza comune e diffuso nei meandri della scena underground italiana (fortunatamente non tutti, c’è anche chi si sbatte quotidianamente per la causa) è quello di “tirarsela”, indistintamente che si tratti di band, musicisti, agenzie stampa, promoter ed etichette indipendenti.
La maggior parte di questi tendono, incomprensibilmente, a dare visibilità e ricondivisione a quelle poche testate giornalistiche musicali mainstream (eviterò di fare nomi, poiché sono talmente popolari), bypassando tutte le altre, come se esistesse davvero una promozione di serie A e una di serie B.
Considerando questo modus operandi, verrebbe da dire: va bene l’egocentrismo sul palco, ma quando si scende da quel contesto è assolutamente necessario essere umili e ritrovare il contatto con la realtà, con la gente. Trasversalmente, c’è una somiglianza con la politica.
Agenzie stampa che fanno il giro delle sette chiese, inviando mail a tutte le redazioni con “preghiera di diffusione”, nell’intento di rimediare più pubblicazioni possibile da parte delle innumerevoli riviste digitali e cartacee. Certo, meglio se cartacee. Il profumo della carta stampata è tutt’altra cosa. Su questo non possiamo che essere d’accordo.Però, che piaccia o meno, queste sono le moderne dinamiche di promozione e marketing. Almeno per il momento, al di là di qualsiasi forma di dissenso, non ci sono alternative o surrogati: è una specie di dittatura. Ciononostante, nessuno vieta ai suddetti esponenti di ribellarsi allo status quo attuale, rispolverando quella spinta emotiva vintage fatta di colla e volantini per farsi propaganda sui pali della luce. E a dire il vero, sarebbe anche un’azione apprezzabile, che andrebbe a sposare quell’antico e genuino spirito punk DIY d’una volta.
Chiara Profili, admin di Fotografie ROCK, ci racconta l’idea che si è fatta di questa situazione: “Scrivendo di rock ormai da qualche anno, ho avuto modo di conoscere, parlare e confrontarmi con diverse realtà del panorama underground italiano. Ciò che è emerso da queste lunghe chiacchierate, trasformatesi poi in interviste, è che il sottobosco musicale italiano è florido e tutt’altro che morto. Tuttavia, le band nostrane che decidono di consacrare la propria anima al rock, al giorno d’oggi incontrano non poche difficoltà. Sono osteggiate dalle radio di settore, che trasmettono solo musica internazionale mainstream, dal meccanismo televisivo dei talent show, che regala un’immediata quanto illusoria e deperibile fama, e dagli stessi ascoltatori del rock, veterani degli anni ’70 e ’80 poco inclini alle novità e affezionati all’effetto revival. Inoltre, in fase pre-covid, la carenza di locali dove potersi esibire e l’egemonia delle cover band, non hanno generato terreno fertile per i gruppi emergenti. La radice del problema va comunque ricercata, come dicevo poc’anzi, proprio nel pubblico e nella quasi totale assenza di curiosità nei confronti di ciò che non è ‘classic’ e già conosciuto”.
In conclusione: ci premeva e ci preme evidenziare le falle emotive e strutturali di un sistema sempre più inerme e vittima della sua stessa crisi identitaria, dei suoi individualismi, delle sue invidie corrosive; un insieme di problematiche latenti, nascoste per anni sotto un tappeto come fosse polvere, alle quali si va ad aggiungere la preoccupante crisi finanziaria del presente e del futuro. Che in buona sostanza, il messaggio accorato che vorremmo trasmettere a tutte quelle realtà underground della musica italiana, così scoraggiate, arrabbiate, disilluse e distratte, è il seguente: se non credete voi per primi in quello che fate, è assai improbabile che lo faccia qualcun altro al posto vostro. Ne vale del vostro domani. Ammesso che non sia già troppo tardi.