La solitudine degli scrittori italiani

Articolo di Frank Iodice

Inizi quando hai l’età sufficiente per fare di testa tua e non ascoltare i consigli di chi dice di volerti bene. Ti chiudi in camera a contarti i brufoli e ti ribelli all’insensata ingiustizia che è calata su di te da quando hai compiuto quindici anni e nessuno al mondo riesce a comprendere quanto è devastante il male di cui devi liberarti. Scopri che quando un libro finisce puoi fare due cose, metterti a piangere o prendere una penna, un pezzo di carta qualsiasi, anche il retro delle bollette del gas, e riscrivere il finale a modo tuo. Scopri di essere libero almeno entro i confini di quel foglio.

I primi tempi ti sfoghi, ti vendichi, usi i tuoi scritti per conquistare la professoressa di filosofia, per costruire la stima in te stesso e cercare un senso in quello che farai nella nebbia fitta che ti sta davanti e che i saggi e i buonisti chiamano vita. Usi i personaggi per sfottere chi ti ha fatto del male, ti diverti, ti senti un padreterno e nulla su questa terra ti sembra più emozionante di scrivere libri.

Poi succede che i conti non tornano.

Stai riempiendo decine di agendine di pelle, come quelle dei cronisti americani, te ne vai in giro e le fai vedere a tutti mentre spuntano dal taschino della camicia, anche in inverno, purché il mondo sappia della tua passione divorante, della tua costante ricerca di ispirazione. Hai pagato qualcuno del tuo paesello per stampare il tuo primo manoscritto, impaginarlo e dargli la forma di un libro. Lo hanno comprato i parenti e i parenti dei parenti per vantarsi di avere un nipote scrittore. Lo hanno persino messo in vendita nella cartoleria di fronte alla tua ex scuola, così i nuovi alunni dovranno sorbirsi pure la morale delle maestre che diranno: guardate bambini, quello è il libro di un ex allievo della nostra scuola, la migliore scuola del mondo, visto, se studiate e ascoltate i nostri consigli diventerete bravi come lui. E nel frattempo ti chiedi se è questa la ragione per cui hai iniziato a portare i capelli spettinati e la giacca con le toppe ai gomiti. C’è qualcosa che non quadra, vero? Non solo quel libro era incompleto e non meritevole di pubblicazione, ma adesso ti senti anche tu incompleto e non meritevole di pubblicazione, e vorresti restare inedito, rinchiuso nella tua stanzetta con i poster dei Nirvana che danno sempre ragione a te.

Qualche anno di pratica, molta perseveranza e molta testardaggine ti fanno arrivare all’età adulta con l’esperienza e l’umiltà necessarie per iniziare sul serio a scrivere qualcosa di utile per la gente là fuori, che non ti ha fatto nulla di male e non merita di leggere la lista delle tue frustrazioni mascherata da libro, né la copia di libri già letti. La gente merita la verità, e la verità la vai a cercare in fondo alla memoria per donarla in forma del tutto gratuita ai tuoi personaggi, che si faranno portavoce e testimoni della tua umanità e la consegneranno nelle mani dei lettori. Scoprirai che non basta scrivere un romanzo profondo, che risponda a domande profonde, ma bisogna farlo in maniera persuasiva. E la persuasione non viene insegnata in nessuna scuola.

Metti insieme il meglio che hai, allora, e aspetti tre mesi. Poi lo rileggi, cancelli quasi tutto e lo riscrivi perché deve funzionare, non può essere che non funzioni. Adesso è perfetto, ogni parola è al suo posto e non potrebbe stare al posto di un’altra. Tutte amiche e tutte nemiche queste parole. Tutte in fila, una accanto all’altra, e nessuna disposta a scambiarsi di posto. Delle vere stronze, le parole del tuo primo libro. E dopo averlo riscritto aspetti altri tre mesi. Adesso è di nuovo perfetto, ma più perfetto di prima. È il momento di mettersi in gioco e scegliere un editore, anzi un paio, anzi, facciamo una decina per essere più sicuri.

Hai diciott’anni, stampi e spedisci i manoscritti con gli ultimi soldi della paga del Mc Donald’s, hai ancora le mani che puzzano di patatine fritte e candeggina mentre tiri un sospiro da condannato a morte e infili l’ultimo plico nella buca, una buca scura, nera, un buco nero insomma. Ti consola il fatto che arriveranno delle risposte. Negative, di sicuro, ma anche quelle ti serviranno per capire dove hai sbagliato, e daranno dignità al tuo lavoro, alla fatica degli ultimi anni. Anni difficili in cui le ragazze ti evitavano quando scoprivano che passavi la notte a scrivere e non conoscevi neanche un locale. Ci vorrà un sacco di tempo per capire che le donne non sono le ragazze del tuo liceo, ma tutt’altra cosa, un universo infinito in cui ti perderai, e su cui fonderai la tua ricerca quando sarai un autore professionista.

Ma torniamo a quando non lo eri.

Passano anni e anni, e nessuna risposta nella cassetta, anche se hai scritto il tuo nome più grosso di quello degli altri condomini e lo hai evidenziato con l’uni-posca. Perché non rispondono alle mie e-mail? ti chiedi (perché nel frattempo, mentre ti cresceva un po’ di barba, c’è stato il boom di Internet e dalle lettere di carta si è passati a quelle elettroniche). Ci vorrà molta camomilla, poi la birra, molta anche di quella, per realizzare che l’attesa è la parte più noiosa ma la più emozionante di questo lavoro.

Ora ti concentrerai solo su quello e non staccherai gli occhi da questi fogli, perché è impossibile, è impossibile che la qualità, la bellezza di queste storie passi in secondo piano. Ti ostini a rimanere chiuso in casa anche d’estate perché il prossimo, ti ripeti, è quello giusto, perché in questi libri non solo ci sono le tue esperienze ma anche quelle degli altri. E sarebbe bello se leggendo le ritrovassero e le rimettessero nella memoria colmando un po’ del vuoto che, come te, si portano dentro dalla nascita. Impiegati, contabili, infermieri, non importa il mestiere. Non crederai forse di essere il solo a tormentarsi perché non viene “pubblicato”? Siamo tutti “inediti”, cerchiamo tutti di “venire al mondo” e non restare nell’anonimo limbo cui siamo destinati.

Dopo quasi vent’anni di lavoro, ti rendi conto di esserti giocato tutto, gli affetti, il tempo, la salute, le persone che ti stavano accanto e ti hanno aspettato fino a quando hanno resistito, e tante altre cose che non si possono descrivere in un articolo. Eppure questa è una parte piccolissima della tua storia, la parte che riguarda le tue prime pubblicazioni e la fine della tua prima vita, quella spesa a interpretare i silenzi. Eccoti qua. Ancora infelice. Ma perché?

Sei infelice perché sei solo. Nella tua fatica per farti pubblicare, per convincere la gente che scrivi libri veri e ci metti dentro tutta quella roba di cui stiamo parlando, sei sempre stato solo. Hai trascorso nottate intere a fare da agente, distributore e promotore di te stesso. Hai cercato di sostenere le librerie indipendenti comprando da loro piuttosto che online, mentre molte fallivano sotto i colossi oppure, peggio ancora, diventavano cartolerie. Hai spedito centinaia di copie ai giornalisti, e anche loro, nella maggior parte dei casi, non hanno risposto. Ancora silenzio. Poi sono arrivate le prime recensioni, i bigliettini con i numeri di telefono delle ragazze, e i sorrisi di persone che neanche conosci e si avvicinano a te dopo la presentazione per ringraziarti. E ogni volta ti chiedi: ma ringraziarmi per cosa? e la dedica ti viene sempre male, scrivi la seconda parola che ti viene in mente e la seconda quasi mai è quella giusta. Comunque, sei sicuro che il sorriso della gente non si compra con i servizi a pagamento delle agenzie pubblicitarie e non serve fare demarketing, che va tanto di moda adesso, perché non è il successo che ti interessa. I successi costruiti crollano su se stessi, come palazzi, è solo questione di tempo e il vento butta giù ogni cosa. Il vero successo è quello che non fa rumore, perché sta dentro la pancia dei lettori. A meno che tu non voglia metterti a fare anche il chirurgo, non lo vedrai mai, lo potrai solo immaginare.

Ora sei un autore professionista, ami scrivere storie, ne hai fatta la tua professione e la porti avanti con passione, costanza e onestà intellettuale. Questo vuol dire essere professionisti, non guadagnarci uno stipendio. Te lo ha detto una volta il vecchio scrittore senza una mano, che ti ha regalato il suo piccolo computer portatile, il tuo primo computer, un Toshiba tra i primi modelli. Era pieno di file di testo, sul desktop rosa non c’era più spazio. Ora sei qui e continui a riempire desktop. Il tuo lavoro quindi è riempire desktop. Non sai più immaginarti a fare altro, se non per gioco o sperimentazione. E anche di quello sei un po’ stanco.

Vivi in una bella casa, dalla terrazza si vede un prato con i cavalli, hai una parete piena di libri, tua figlia ci giocava e ci si sentiva a proprio agio già quando aveva pochi mesi, abituandosi al libro anzitutto come oggetto. Mentre la guardi leggere le sue prime parole col dito e con gli occhi, ti ripeti che i libri sono oggetti strani. Nessuno può averne davvero il controllo. Dopo essere stati stampati, i libri dovrebbero essere messi davanti alle scuole, in quelle piccole casette di legno con le porticine antipioggia, e i bambini e le bambine dovrebbero avere libero accesso a tutte le copie che vogliono.

Non vivi di sola scrittura perché nel tuo paese su 100.000 autori solo 1.600 hanno uno stipendio decente e tu fai parte dei restanti 98.400. Ma i giovani ti mandano i loro libri per avere un’opinione e i vecchi ti sorridono con la serenità dei vecchi perché stai diventando vecchio pure tu. Ai primi, dici tutto quello che avresti voluto che dicessero a te vent’anni fa, con la speranza di parlare a chi ha voglia di ascoltare. Agli altri, continui a dire che un giorno, forse, anche tu sarai in grado di sorridere così.

Tutto quello che hai fatto e che hai scritto in questi anni, comunque, non ti basta per non sentirti solo. Forse hai iniziato a scrivere le storie degli altri perché non ti piaceva la tua? Forse sei solo perché sei italiano. E l’Italia è sempre stato il paese in cui menti solitarie, idiote o eccelse, hanno realizzato grandi opere. È questa la tua fortuna e la tua condanna? Non ne sei ancora sicuro. Ciò di cui sei sicuro è che scrivi per dare amore, non per realizzare grandi opere. Scrivi con l’idea di costruire un romanzo che “emozioni” e non confezionarne uno che “funzioni”. Un romanzo che segua la regola della passione per l’umano e le sue contraddizioni irrisolvibili, che risponda alle tue domande interiori, perché nella maggior parte dei casi, coincideranno con le domande interiori di chi lo leggerà, in qualunque epoca.

E adesso che hai capito tutto questo? Adesso sei soltanto all’inizio. A capo. Nuova pagina. Capitolo uno…

foto: Frank Iodice ad Annecy, marzo 2021

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