É una delle principali cause di morte per tumore. In Italia sarebbe responsabile di circa 3.300 morti ogni anno. Eppure nessuno parla mai del radon, un gas radioattivo che si sprigiona naturalmente dal sottosuolo e che si accumula spesso nelle abitazioni dai piani cantinati fino al terzo piano.
Agisce producendo particelle ionizzanti, che si depositano nei bronchi danneggiando il DNA delle cellule, fino a provocare tumore. Questo gas è incolore e inodore, quindi non c’è modo di rilevarne la presenza se non con un misuratore specifico.
Le prime indagini sul radon condotte dall’OMS hanno risalgono al 1988. Ad essere analizzati furono gli effetti di questo gas sui minatori delle miniere di uranio. In Europa, le prime analisi epidemiologiche furono pubblicate nel 2004, sul British Medical Journal. Si basavano sui dati rilevati in nove paesi e riguardavano il rischio di sviluppare cancro ai polmoni per effetto dell’esposizione al radon nelle abitazioni. L’Italia partecipò allo studio: su un totale di 7.148 casi di tumore polmonare e 14.208 controlli, dallo studio emerse che una concentrazione di 100 Becquerel per metro cubo (Bq/m3) aumentava del 16% il rischio di cancro al polmone. In Europa, si stima che ogni anno siano 20 mila casi di decessi per cancro ai polmoni dovuti all’esposizione al radon (il 9% di tutti i decessi per tumore polmonare, che corrisponde al 2% di decessi per tutti i tumori).
Secondo stime recenti il radon sarebbe responsabile di una percentuale tra il 6-15% dei tumori ai polmoni a livello mondiale. Attualmente è al secondo posto, dopo il fumo da tabacco, fra le cause principali di cancro ai polmoni. Gli studi hanno portato l’International Agency for Research on Cancer (Iarc) a classificare questo gas come sostanza cancerogena di “gruppo 1” e ad allargare l’analisi al rischio rappresentato dal radon presente negli edifici di uso quotidiano.
Particolarmente elevata la presenza di questo gas tossico in Italia. A fronte di una media mondiale tra 30 e 40 Bq/m3 e una media europea di circa 59 Bq/m3, la concentrazione media in Italia è quais il doppio: intorno ai 70 Bq/m3. Sul territorio nazionale poi esistono grandi differenze con i massimi registrati in Lazio (oltre 110 Bq/m3), Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Campania. Ben più basse le concentrazioni di radon in Calabria, Marche e Sicilia (dove si aggira intorno ai 35 Bq/m3). Da tenere presente che all’interno delle singole regioni sono possibili variazioni locali, anche notevoli, della concentrazione di radon indoor. Pertanto il valore della concentrazione media regionale non fornisce nessuna indicazione riguardo alla concentrazione di radon presente nella singola abitazione. A questo si aggiunge che i dati sono sorprendentemente “vecchi”: risalgono al periodo tra il 1989 e il 1999. Eppure, secondo le stime dell’ISS, i casi di tumore polmonare dovuti al radon sarebbero tra i 1000 e i 5500. Uno studio epidemiologico del 2005 (pubblicato su International Journal of Cancer di gennaio 2005) ha evidenziato anche una possibile correlazione tra radon e dieta: l’aumento di rischio prodotto dal radon risulta maggiore nei soggetti con dieta povera di alimenti antiossidanti.
A fronte di dati così preoccupanti è sorprendente il fatto che quasi nessuna regione, finora, ha definito ufficialmente le proprie “radon prone areas” (aree ad alto rischio di radon indoor). Farlo sarebbe importante: è in queste aree che dovrebbero essere applicate le prescrizioni di legge a protezione della popolazione. Nel 2013, in Veneto è stata emessa una legge regionale (20/2013) per la Prevenzione e salvaguardia dal rischio gas radonche prevede tra l’altro l’Individuazione delle zone e dei luoghi di lavoro ad elevata probabilità di alte concentrazioni di attività di radon e l’adozione di prescrizioni costruttive e di accorgimenti tecnici nelle nuove edificazioni. Nel 2012, in Toscana, una Delibera della Giunta Regionale (DGR 1019/2012) ha individuato le aree ad elevata probabilità di alte concentrazioni di radon e sono stati identificati, sulla base dei risultati delle indagini svolte, 13 comuni per i quali la percentuale stimata di abitazioni con concentrazione di radon superiore a 200 Bq/mq è pari ad almeno il 10%. La Regione Lombardia, nel 2010, ha approvato le Linee guida per la prevenzione delle esposizioni al gas radon in ambienti indoor (Decreto 12678 del 21-12-2011). La Regione ha anche inviato una nota (H1.2011.0037800 del 27.12.2011) in cui si sollecita i Comuni ad attivare entro 3 anni dall’emanazione di tale nota, le procedure per la revisione dei Regolamenti Edilizi Comunali (REC) e ad adottare norme tecniche basate sulle citate Linee guida. Nel 2010, anche in Piemonte è stata emessa una legge regionale (5/2010) Norme sulla protezione dai rischi da esposizione a radiazioni ionizzanti, contenente disposizioni sulla Prevenzione e riduzione dei rischi connessi all’esposizione al gas radon. Stessa cosa era stata fatta nel 2006, in Friuli-Venezia Giulia e, nel 2005, nel Lazio. In Sicilia, l’ARPA ha elaborato un Piano Regionale Radon che prevede la collocazione di 6000 dosimetri. Sono state effettuate rilevazioni nel comune di Trapani, in alcuni luoghi di lavoro ospedalieri, nelle acque, a Catania e a Palermo. Tutte analisi preliminari finalizzate alla realizzazione della mappa in accordo al Piano Regionale. Inoltre, nel 2010, ha condotto un progetto pilota nella Provincia di Ragusa che ha coinvolto 400 abitazioni in 12 comuni con il risultato di una media aritmetica della concentrazione pari a 75 Bq/m3.
Secondo alcuni il ritardo a livello nazionale sarebbe da imputare al timore di danneggiare l’economia di alcune aree. Per altri, sarebbe addirittura la strategia di difesa dall’inquinamento radon ad essere messa in discussione. Tale teoria si basa sul fatto che non esisterebbe una soglia nella concentrazione del radon nell’ambiente al di sotto della quale non esistano danni al nostro sistema respiratorio. In realtà, questa soglia è già stata definita a livello internazionale. La Direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio dell’Unione Europea, che avrebbe dovuto essere recepita dagli Stati Membri entro il 6 febbraio 2018, prevede che gli Stati Membri dell’Unione Europea adottino un livello di riferimento di concentrazione di radon non superiore a 300 Bq/m3. Nel 2009, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva raccomandato di non superare 100 Bq/m3.
In Italia, al momento, una normativa sul radon esiste solo per i luoghi di lavoro e per le scuole. La direttiva europea 2013/59/Euratom in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti contiene anche disposizioni riguardanti il radon nelle abitazioni e una più stringente protezione dal radon nei luoghi di lavoro appare obsoleta. Tale direttiva infatti prevede che gli Stati Membri dell’Unione Europea adottino un livello di riferimento di concentrazione di radon non superiore a 300 Bq/mq. Ma questo livello massimo è inferiore a quello di 400 Bq/mq previsto dalla Raccomandazione europea 90/143/Euratom del 1990 per le abitazioni esistenti. Quindi la Raccomandazione 90/143/Euratom è da considerarsi già superata.
In Italia, non è mai stata emanata normativa per la protezione dall’esposizione al radon nelle abitazioni. Nel 2008 è stata prodotta la “Raccomandazione sull’introduzione di sistemi di prevenzione dell’ingresso del radon in tutti gli edifici di nuova costruzione” nell’ambito del progetto PNR-CCM. Il punto è che la concentrazione di radon in una abitazione può dipendere da molti fattori. Dalla permeabilità del suolo ai materiali da costruzione, dalle tecniche costruttive fino allo stile di vita dei suoi abitanti.
Intanto un recente studio dell’OMS/Europa ha confermato che, ogni anno, in Europa, muoiono 3 persone per ogni 100.000 abitanti a causa di tumori polmonari causati dal radon. E i governi e autorità locali a ritardano a rivedere le politiche abitative per proteggere la salute dei cittadini.