Da quarant’anni il gruppo de La Vallisa ruota intorno alla rivista fondata da Daniele Giancane, poeta, scrittore, pedagogista e docente di Letteratura per l’Infanzia all’Università di Bari. Nata da un’idea di alcuni poeti e scrittori, si basa su un programma di autogestione e progetta incontri per parlare di poesia, che non ha un mercato e non produce ricchezze materiali. E’ bene che sia così perché la sola forza di potere consiste nel creare un centro di solidarietà tra coloro che amano la “parola bella”. Giancane ha sempre considerato il poeta non rinchiuso tra le mura dl uno studio, avvolto nel suo narcisismo esasperato, che attende una recensione o premi letterari. Egli crede fermamente nella frequentazione del gruppo perché favorisce un arricchimento culturale, si apre al mondo permettendo di parlare insieme e trovare il cammino che conduce ad essere se stessi.
Giorgio Barberi Squarotti leggendo i suoi versi lo definisce un poeta che esprime una “carsica inquietudine esistenziale”. Per Giancane scrivere è meraviglioso. E’ un modo di esprimersi creativamente perché la poesia è un viaggio, che attraversa momenti della vita. Se la poesia non rispecchia il viaggio a cosa serve? In alcuni suoi versi leggiamo: Non credo alla mia vita / fuggirono gli anni / come jet / ma io sono ancora fanciullo / che s’incanta al verde più verde / del noce del convento / ingiurato dal tempo. / Si inumidiscono gli occhi / ad un verso tenero / come sul greto / un fruscio d’acqua.
Una poesia che non è solo sentimento, ma anche voce che parla di sè e di tutta l’umanità. E’ espressione che esige una parola profonda ed una ricerca della propria voce unica ed originale. Si tratta di indagare nel cuore di se stessi e mediare un rapporto con la realtà. In una delle splendite poesie del Bosco, che formano la seconda sezione della raccolta “Specchio a tre facce” (2012), Giancane si rivolge ad un vecchio faggio che ha vissuto a lungo e scrive: “Ed ora vecchio vecchio / sei il custode del bosco / il guardiano delle donnole / e del sonno”.
Il poeta, in fondo, è un po’ come quel vecchio faggio nel Bosco, che negli anni conserva ed irradia la presenza di sè.