La via referendaria e la necessità di riforme della giustizia

Articolo di Massimo Rossi

Non mi piace parlare di politica perché la politica si fa non se ne parla. E non mi piace assimilare la consultazione referendaria a qualcosa di politico che sa di schieramento, di contrapposizione, di clima da stadio. Amo osservare le cose e le persone e trarne una valutazione. La “chiamata” referendaria fa paura e non fa paura per il quorum o per l’eventuale risultato (se il quorum fosse raggiunto), ma fa paura perché crea una “breccia”. Crea un punto di passaggio tra l’intoccabilità dei magistrati e la loro “irresponsabilità” ope legis. Mette a nudo delle profonde criticità che la storia recente ha evidenziato. Su tutti vi è il c.d. Caso Palamara. Già il fatto che il fenomeno di scelta correntizia e non sul merito si chiami “Caso Palamara” la dice lunga sulla paura che la magistratura (strutturata in correnti) ha avuto che ciò deflagrasse come una bomba in un mercato estivo. La vicenda in se – di cui non voglio parlare essendo ancora sub iudice – la dice lunga sulla disinvoltura con la quale il “mondo a parte di taluna magistratura” operasse per “accaparrarsi” posti di “potere” e, per naturale conseguenza, di ricatto.

Lo scandalo è passato in sordina nonostante che il Dott. Luca Palamara abbia scritto ben due libri (insieme al Direttore Alessandro Sallusti), in cui parla di vicende gravissime che coinvolgono altri suoi ex colleghi (loro ancora in funzione). Lo scandalo è stato silenziato da una cattiva (e prona) informazione (o meglio “disinformazione”) dei media nazionali ed il tutto è passato come il caso di una persona che avrebbe (a loro insaputa?) gestito le nomine di alti magistrati (in particolare di Uffici delle Procure di Tribunali di primo piano). Una favola per chi ci vuole credere: noi non ci crediamo. Una favola, però, alla quale dopo un primo momento di scoramento (e terrore tra le fila dei coinvolti a vario titolo nelle chat) lo stesso CSM non ha dato il risalto dovuto, anzi, ha “cacciato” il Dott. Palamara dalla magistratura, ma ha tenuto dentro le fila chi era (a sua insaputa, evidentemente) intervenuto e/o favorito. Ora non è difficile capire che questa operazione è stata puerile e lascerà segni indelebili. I segni sono lo sconcerto nella opinione pubblica sempre più consapevole dell’ampio distacco tra il mondo della Giustizia ed il popolo, nel nome del quale la giustizia viene amministrata. Attenzione, molti pensano che la magistratura sia tutta coinvolta e qui l’altro errore che volutamente hanno cercato di far credere i media seguendo il principio: tutti colpevoli, nessun colpevole. Non è così!

La stragrande maggioranza della magistratura è senza potere reale, anzi è la prima vittima di tutto ciò come ci insegna già negli anni ‘80 il trattamento riservato al Dott. Giovanni Falcone dal CSM. Sono i giudici ed i PM che lavorano in modo serio e composto ad essere le prime vittime di questo sistema. “Sistema”, dal quale non è scevro neppur l’organo di autogoverno dei magistrati (CSM). Lo scandalo delle nomine pilotate per correnti è lo scandalo più grave degli ultimi 50 anni che abbia riguardato la magistratura italiana e questo (nonostante il silenziatore mediatico) fa paura a chi, oggi, non vuole che i cittadini si esprimano o dice di scrivere “no” sulle schede referendarie. Ecco perché i referendum fanno “paura” già in quanto tali. Figurarsi se la consultazione referendaria arrivasse a raggiungere il quorum. Il mondo politico non è preparato ad un cambio di passo e le forze retrograde si arrabattano per rifiutare l’idea che la Giustizia possa essere riformata. Fortunatamente, però, non tutta la politica (e questo in modo trasversale) ritiene che il passo referendario non debba essere compiuto. E così non tutta la magistratura è sorda ai richiami di una maggiore efficacia ed effettività. La cosa che più mi addolora, però, è non avere visto quel movimento culturale da parte della avvocatura che è rimasta in un angolo e non ha colto (per paura o per viltà) l’occasione riformatrice.

I referendum non sono la soluzione, ma sono (e possono essere) l’inizio di un percorso di riforma della Giustizia che non sia solo formale e dettato dalla finalità di avere denaro da spendere dall’Europa, ma che crei effettiva equità sociale e corretta applicazione delle norme, in primo luogo di quelle che riguardano coloro che per funzioni sono demandati ad applicare le leggi. Il ruolo grave ed importante di essere magistrato è e deve essere controbilanciato da un effettivo controllo e responsabilità. Questo non perché si deve limitare la libertà del magistrato, ma perché si vuole liberarlo dall’idea del “satrapo” o del “demiurgo” che sono i mali di una Giustizia non giusta. In una società evoluta e democratica non è possibile avere ruoli così apicali sciolti da “responsabilità”. Chi non vede tutto ciò e si ostina a preferire il mare alle urne referendarie è come quei cardinali che prima della breccia di Porta Pia ritenevano immutabile il loro mondo. Le riforme in ambito di Giustizia sono necessarie e possibili; la via democratica per le riforme si chiama referendum.

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