La vita di Natalia Ginzburg come un «Lessico famigliare»

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Nata a Palermo nel 1916, Natalia Levi, è figlia dello scienziato Giuseppe Levi (il «maestro» dei premi Nobel Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco). Nel 1938 sposa il letterato Leone Ginzburg, uno dei più importanti intellettuali italiani degli anni Trenta-Quaranta. Ginzburg è il cognome con cui firmerà ogni sua opera, anche dopo il secondo matrimonio, nel 1950, con Gabriele Baldini.

Dagli anni Cinquanta lavora fino alla fine nella redazione della casa editrice torinese Einaudi. Per la quale riesce a portare a termine il suo ultimo lavoro letterario, la traduzione di Una vie di Guy de Maupassant, qualche mese prima che la morte la raggiungesse nella notte fra il lunedì 6 e martedì 7 ottobre 1991 nella sua bella casa romana di Piazza Campo Marzio.

La vita di Natalia Ginzburg attraversa le tragedie e le ombre del Novecento: dal processo e prigionia dapprima del padre e poi del primo marito alla strage di Piazza Fontana, in seguito alla quale intensifica il suo impegno politico e letterario.

Natalia Ginzburg è una scrittrice di grande sapienza letteraria in apparenza semplice (e qui sta appunto la sua naturale sapienza). Nella storia della nostra letteratura le sue opere sono incastonate come pietre Miliari. Innanzitutto la raccolta di saggi e racconti Le piccole virtù pubblicata nel 1962 che ci trasporta nella Storia del Novecento attraverso semplici ma profonde testimonianze di vite, ed amicizie.

Questa raccolta prende il nome dall’ultimo brillante e memorabile saggio dedicato all’educazione dei figli. A loro, scrive l’Autrice, devono essere insegnate le grandi virtù: non il risparmio, ma la generosità, non la prudenza, ma il coraggio, non l’astuzia, ma la schiettezza, non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere.

«È meglio che i nostri figli sappiano fin dall’infanzia, che il bene non riceve ricompensa e il male non riceve castigo: e tuttavia bisogna amare il bene e odiare il male: e a questo non è possibile dare nessuna logica spiegazione […] Quello che deve starci a cuore è che ai nostri figli non venga mai meno l’amore alla vita. E cos’è la vocazione di un essere umano se non la più altra espressione di amore per la vita? […] perché l’amore alla vita genera amore alla vita».

Nel 1963 pubblica Lessico famigliare (Premio Strega) un libro che mostra e ricostruisce il disagio socio-economico degli anni Sessanta. Ma non solo. È un libro che racconta il lessico famigliare di una famiglia borghese, intellettuale, ebrea ed antifascista, a cavallo della seconda guerra mondiale. A proposito di questo libro, Natalia Ginzburg ossessionata dalla verità, scrive, in una breve nota introduttiva: «Luoghi, fatti e persone sono reali.

Non ho inventato niente: e ogni volta che, sulle tracce del mio vecchio costume di romanziera, inventavo, mi sentivo subito spinta a distruggere quanto avevo inventato. Anche i nomi sono reali. Sentendo io, nello scrivere questo libro, una così profonda intolleranza per ogni invenzione, non ho potuto cambiare i nomi veri, che mi sono parsi indissolubili dalle persone vere.

Forse a qualcuno dispiacerà di trovarsi così, col suo nome e cognome, in un libro. Ma a questo non ho nulla da rispondere». Un libro che è dunque una testimonianza storica e letteraria. Privata e sociale. Sulle pagine dell’opera omnia della Ginzburg la letteratura e la vita si intrecciano. Ad intrecciarla è la memoria. Essa domina la grande ricostruzione del saggio-romanzo La famiglia Manzoni (1983). La storia di una grande famiglia ricostruita con lo stile Ginzburg attraverso gesti e semplici quotidiani.

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