Regia: Lucio Fulci. Soggetto: Dardano Sacchetti. Sceneggiatura: Dardano Sacchetti, Giogio Mariuzzo, Lucio Fulci. Scenografie e costumi: Massimo Lentini. Effetti speciali e trucco: Giannetto De Rossi. Montaggio: Vincenzo Tomassi. Fotografia: Segio Salvati. Musiche: Fabio Frizzi. Produttore: Fabrizio De Angelis per Fulvia Film. Girato per gli interni nei Teatri De Paolis con la collaborazione di Louisiana Film.
Interpreti: David Warbeck (dott. John Mac Cabe), Katherine Mac Coll (Liza Merrill), Sarah Keller (alias Cinzia Monreale è Emily), Antoine Saint John, Veronica Lazar, Anthony Flees, Giovanni De Nava, Al Cliver (alias Pier Luigi Conti), Michele Mirabella, Giampaolo Saccarola, Maria Pia Marsala, Laura De Marchi.
Un grande film horror, forse il migliore di Lucio Fulci, che conclude il discorso aperto con Paura nella città dei morti viventi a proposito delle porte dell’inferno. Un vero incubo a occhi aperti, visionario e crudele, onirico, che fa del soprannaturale la sua vera forza. Si esce davvero turbati dalla visione di questa pellicola.
Il prologo è ambientato nella Louisiana del 1927 e porta subito in primo piano il “Libro di Eibon” con le sue profezie che si tramandano da quattromila anni. Una ragazza di nome Emily legge il libro nella parte che narra delle sette porte dell’inferno poste in sette luoghi maledetti. Intanto all’albergo “Le sette porte” (il nome è più che indicativo…) si sta consumando un atroce delitto. Un pittore maledetto che ha fama di stregone viene catturato nella stanza 36 da un gruppo di popolani inferociti. Il pittore sta dipingendo un quadro che rappresenta l’inferno e viene interrotto dalla improvvisa irruzione. Lui grida e maledice, dice di sapere che l’albergo è costruito sopra una delle sette porte del male, ma gli aguzzini non si fermano. Il pittore viene colpito da catene che gli devastano le carni in un tripudio di sangue che Fulci descrive con dovizia di particolari. Quindi è trascinato nello scantinato e crocefisso alla parete con due grossi chiodi e cosparso di calce viva che gli sfigura il volto. Quando il pittore maledetto è murato vivo divampa un incendio che brucia tutto, persino il “Libro di Eibon” tra le mani di Emily. “Guai a chi aprirà una delle sette porte dell’inferno”, dice una voce fuori campo.
Pare che questo prologo in origine fosse più lungo e che spiegasse meglio tante cose sul pittore maledetto, inoltre venne girato in bianco e nero e colorato dopo. L’antefatto comunque serve a far capire che in quel luogo c’è una porta infernale e quella è la chiave di volta del film.
Si passa alla Louisiana nel 1981 e conosciamo Liza Merrill che ha ereditato l’albergo e sta lavorando per ristrutturarlo. Accadono subito strani fatti. Un operaio muore dopo una caduta da un’impalcatura, impaurito per aver visto in una stanza dell’albergo una ragazza con gli occhi bianchi, una specie di essere infernale. Entra in scena il dottor John Mac Cabe che prova a curare l’uomo e lo porta in ospedale. Diciamo subito che i due attori principali sono molto bravi e ben calati nella parte. David Warbeck forse accusa alcune pause in una recitazione troppo impostata, ma Katherine Mac Coll è perfetta nel ruolo di una donna che passa dall’entusiasmo per l’eredità ricevuta al terrore davanti all’ossessione che è costretta a vivere. Altri fatti strani continuano ad accadere nell’albergo infernale. Un campanello suona dalla stanza numero 36 e dentro non c’è nessuno. Liza pensa a un falso contatto. Un idraulico muore nello scantinato dove cerca di riparare una perdita. Si tratta del sotterraneo dove il pittore maledetto è stato murato vivo e infatti il suo spirito maligno è ancora là in una forma mostruosa e infernale. Una mano che pare di pietra tanto è coperta di calce viva afferra l’idraulico e lo uccide. Liza incontra una donna che ha un aspetto inquietante: le sue pupille sono sbiancate ed è in compagnia di un cane. La donna compare davanti a Liza come emersa dal nulla mentre lei percorre in auto una strada suggestiva che attraversa un enorme lago. Emily è interpretata in modo magistrale dalla brava Cinzia Monreale che per l’occasione sfoggia lo pseudonimo anglofono di Sarah Keller. La Monreale è stata molto utilizzata dai registi dell’horror italiano, infatti la sua mimica facciale e la sua recitazione sono ideali per certe interpretazioni. Qui si cala a dovere nella parte di un essere infernale che cerca di far scappare Liza da un incubo, narrando la storia del pittore maledetto e della porta del male. Liza però non comprende che Emily è soltanto uno spettro, un essere che viene dall’Aldilà.
All’albergo viene ritrovato nella vasca da bagno completamente coperto d’acqua il cadavere dell’idraulico e anche quello decomposto del pittore. Vengono portati entrambi all’obitorio. La moglie dell’idraulico mentre veste il marito per il funerale grida di terrore perché vede un morto che si muove. La figlia entra nella stanza e resta impietrita davanti alla madre distesa sul pavimento e sfigurata in volto da un boccione di acido rovesciato. Un miscuglio di acido e di sangue della madre si dirige verso la bimba che si spaventa e comincia a darsi alla fuga. Davanti a una delle porte c’è un morto che si piega in avanti, lei si spaventa e grida. Una scena molto suggestiva e ben realizzata come effetti speciali. Cambio di scena e siamo al cimitero dove la bambina seppellisce i due genitori, la camera si ferma sui suoi occhi che sono diventati bianchi, privi di pupille come quelli di Emily. Questa è un’altra scena ottima, ad alta gradazione di suspense. L’inquadratura degli occhi sbiancati fa capire che la bambina è posseduta dai demoni. Si torna a Liza che incontra di nuovo Emily e viene a sapere tutta la storia dell’albergo e del pittore maledetto. Un lugubre lamento accompagna le parole di Emily: “Lui è qui. Lo sento respirare. Perché non hai voluto ascoltarmi? Dovevi andare via. Questa casa è costruita sopra una delle sette porte dell’inferno”. Suona un campanello dalla stanza 36, la camera dove il pittore è stato ucciso. Pare che lui sia tornato ed Emily ammonisce Liza di stare lontana da quel luogo. A conferma delle sue parole Emily versa sangue dalle mani come avesse le stigmate, così come uscì sangue dalle mani del pittore crocifisso. Liza invece sfonda la porta della stanza 36, trova il “Libro di Eibon” e mentre la porta cigola vede il pittore murato vivo e crocifisso al muro con il volto deturpato dalla calce viva. Fugge via terrorizzata, ma quando torna nella stanza insieme al dottor John Mac Cabe trova soltanto due chiodi e non c’è traccia di sangue, pure il libro è sparito. Pochi giorni dopo crede di vedere il “Libro di Eibon” nella vetrina di un sinistro antiquario, però quando entra e sfoglia le pagine si rende conto che si tratta di un altro libro. Continuano i lavori di ristrutturazione dell’albergo e l’architetto incaricato (un modesto Michele Mirabella che in seguito si dedicherà alla televisione) consulta le vecchie mappe in biblioteca. L’architetto scopre qualcosa che non doveva sapere, forse che nell’albergo c’è la porta del male, per questo motivo la scala cade e lui precipita al suolo stordito. La scena che segue è un piccolo capolavoro del macabro. Entra in azione uno stuolo di ragni giganti (sono finti ma davvero ben realizzati) che scarnificano il povero architetto uccidendolo a morsi e strappando brandelli di carne viva, le pupille e la lingua. La sequenza è ripresa con dovizia di particolari ed è molto ben costruita. Giannetto De Rossi supera se stesso e fa miracoli di effetti speciali. Quando l’architetto muore tra atroci dolori scompare pure la pianta dell’albergo. Il dottore viene a sapere che Emily non esiste e che la casa dove Liza dice di essere andata è disabitata da molti anni. Emily è morta lo stesso giorno del pittore mentre leggeva il “Libro di Eibon”, ma questo neppure John lo sa. Il dottore sospetta solo che Liza abbia raccontato un sacco di balle. La stanza 36 fa un’altra vittima. La donna delle pulizie mette una mano dentro la vasca da bagno per ripulirla dall’acqua torbida e compare il cadavere dell’idraulico zombizzato, uscito fuori dalla porta del male. Lo zombi spinge la testa della donna verso un chiodo conficcato nel muro e pare la scena di Zombi 2 girata al contrario. La nuca della donna è sospinta lentamente verso il chiodo che le penetra il cranio ed esce dalla pupilla. Ottimi gli effetti gore.
Un’altra scena degna di nota è quella che vede Emily tormentata dagli spiriti del male che cerca di difendersi incitando il suo cane ad attaccare. Il cane in un primo tempo pare assecondarla, poi si rivolta contro la padrona e la morde al collo rispedendola definitivamente nel mondo dei morti. La scena è ben girata e c’è un silenzio thriller che contribuisce a creare un’atmosfera di tensione. A questo punto John va da Liza e la trova nel sotterraneo dell’albergo in preda al terrore perché è stata aggredita da uno spirito del male. John non ci crede e pensa che la donna sia una mitomane, poi però un’improvvisa tempesta di vento e sangue gli fa cambiare idea. Come viene pronunciata la parola “inferno” crolla ogni cosa, il dipinto maledetto, che raffigura una scena infernale tra deserto e cadaveri, comincia a sanguinare e un vento innaturale sconvolge il sotterraneo. “Ora tu affronterai il mare delle tenebre e ciò che vi è di inesplorabile”, dice una voce fuori campo. John e Liza si ritrovano in ospedale dove regna un silenzio innaturale e le stanze sono in preda a zombi vaganti che colpiscono e uccidono. L’idea degli zombi fu della produzione e Fulci ne avrebbe fatto volentieri a meno. Pare che li impose la distribuzione tedesca per motivi di vendita sul loro mercato. A nostro parere queste scene con gli zombi lungo i corridoi dell’ospedale sono del tutto fuori luogo. John si mette a sparare ai morti viventi e ci sono le solite sequenze di sempre con gli zombi che si avvicinano e l’eroe di turno che fa il tiro a segno. John e Liza ritrovano la bambina ma si rendono conto che pure lei è uno spirito del male e che va abbattuta come gli altri zombi. Dopo numerose e inutili sparatorie contro gli zombi i due si ritrovano inspiegabilmente nel sotterraneo dell’albergo. A questo punto accade la cosa più incredibile e sconvolgente ma in sintonia con il modo in cui Fulci intendeva un finale di pellicola. John e Lisa finiscono dentro al quadro infernale del pittore maledetto e si ritrovano nel mondo dei morti. Ci sono voci lugubri che li chiamano, loro si voltano indietro e cercano di fuggire, ma si trovano la strada inesorabilmente chiusa da pareti invisibili. Sono intrappolati all’inferno che si presenta come una spettrale distesa infinita disseminata di cadaveri, lo stesso soggetto dipinto. John e Liza hanno varcato la settima porta del male e i loro occhi si sbiancano come quelli dei demoni. La voce fuori campo dice: “Ora affronterai il mare delle tenebre e ciò che vi è di inesplorabile”.
Non esiste lieto fine in questo horror soprannaturale di Fulci e come in Paura nella città dei morti viventi resta la consapevolezza che il male non si può sconfiggere e ha sempre la meglio sulle possibilità umane. La pellicola approfondisce un discorso già iniziato nel film precedente e apre la strada a lavori successivi di identico tenore. Si pensi per tutti a La Chiesa di Michele Soavi, al ciclo di Dèmoni di Lamberto Bava ma pure a film recenti come La nona porta di Roman Polanski (1999).
L’Aldilà ricalca alcune atmosfere già viste in Inferno di Dario Argento (1980) ma fa un discorso autonomo e soprattutto molto più orrorifico. Un pessimo critico di cinema dell’orrore come Domenico Cammarota definisce il film di Fulci “una commistione delirante pregna di rozzi contenutismi”, mentre in realtà proprio l’impianto surrealistico e ricco di citazioni letterarie lo rende un film pregevole. Confortati da un pezzo critico di Maurizio Maggioni (vero esperto di materie esoteriche) comparso nel volume “Tra magia e satanismo” edito da Il Foglio di Piombino nel 2002, diciamo che il film di Fulci è di sicuro debitore di autori horror come Frank Graegorius, Max Dave e Morton Sidney, del cinema “blood & gore” di Tobe Hooper e Michael Winner e del cinema fantastico di Pupi Avati. Ma i referenti più importanti sono il culto lovecraftiano degli Antichi e gli scrittori dei Miti apocalittici di Cthulhu della Corrente 777, specie il “Libro di Eibon” (The Book of Eibon) dell’omonimo stregone Eibon di Yperborea, adoratrice della nera Tsathoggua – Ecate (alias Clark Ashtin Smith). Lo stesso Maggioni dà un’interessante e originale interpretazione esoterica della pellicola e soprattutto della sorprendente scena finale.
Riportiamo per intero il suo pensiero. “La scena dantesca del passaggio di Liza e John all’inferno ricorda il deserto di Leng con la montagna di Kadath. L’altopiano di Leng è il luogo lovecraftiano dove la vita è una non vita e dove ogni cosa è artificiale e voluta dagli Antichi Signori. Questo luogo è accessibile solo agli eletti (come Lisa e John), mentre i profani vengono uccisi dai quattro demoni guardiani di Hualla. Il deserto di Leng riflette l’inconscio con i suoi mostri notturni, rappresentato dal Tridente di Shiva e dal castello di Kadath. Lisa e John, divenuti ciechi, mano nella mano vagano nel mondo sotterraneo della Morte prigionieri per l’eternità in quella macabra, raggelante dimensione”.
L’interpretazione è affascinante e condivisibile anche perché Fulci si ispira molto a Lovecraft, quindi certe cose le conosceva di sicuro.
Tornando a un tipo di critica più cinematografica e tradizionale diciamo che il film piace a Paolo Mereghetti che gli concede due stelle e mezzo e definisce la pellicola “un horror libero e anarchico, tra i più visionari del fantastico italiano e capace di creare un mondo in preda a un caos apocalittico al di fuori di qualunque logica interna o esterna al genere”. Mereghetti cita pure alcuni difetti condivisibili come quello sull’inutile inserimento dello capitolo zombesco, realizzato su pressione del distributore tedesco. Il film piace persino a Tullio Kezich che su Panorama lo recensisce quasi bene, pure se sottolinea “la banalità dei contenuti e il cattivo gusto sanguinolento” ma salvando “una scrittura filmica efficace e persino elegante”.
A nostro giudizio si tratta di uno dei migliori film di Fulci e in assoluto di uno dei più riusciti horror soprannaturali italiani. Metafisico, lirico, crudele e ispirato, visionario e onirico. “Un film artaudiano” come disse Alberto Moravia e come amava ripetere Fulci. Gli effetti speciali ad alti livelli di Giannetto De Rossi e una perfetta ambientazione in una spettrale e paludosa Louisiana contribuiscono a rendere grande il film. Un finale suggestivo e lirico (a parte gli zombi) rende la pellicola indimenticabile, soprattutto perché si arriva alla scioccante conclusione dopo una serie di scene efferate ben costruite. Condividiamo in pieno il giudizio di Antonio Tentori che definisce L’Aldilà “un horror assoluto che sfugge a qualsiasi struttura tradizionale”.