Gli spettatori esterni delle elezioni americane, soprattutto europei, sin dalla campagna elettorale per le presidenziali statunitensi, hanno nutrito la convinzione che una volta cambiato l’inquilino della Casa Bianca, la politica americana sarebbe anch’essa radicalmente mutata. E questo è forse vero per quanto attiene all’Unione Europea e all’Alleanza Atlantica. Ma sicuramente sono rimasti delusi coloro che credevano che con Biden si andasse verso una pacificazione delle relazioni con i principali competitori globali, specialmente Russia e Cina. Di certo non lo credeva la Russia, che sosteneva in maniera non molto celata la rielezione di Donald Trump.
Quest’ultimo, infatti, si rifaceva ad una corrente della politica americana che vorrebbe tornare ad un isolazionismo e smettere di intervenire in una serie di teatri di guerra che hanno per lungo tempo impegnato l’esercito americano. Questo minore interventismo aveva avvantaggiato in questi anni tanti attori locali, come la Russia e la Turchia, in primo luogo nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Questa linea pare essere stata immediatamente abbandonata da Biden che ha stabilito una riaffermazione dell’importanza e del ruolo di primo piano della politica atlantica e del legame con gli alleati europei.
Nella sua nuova strategia il primo dei nemici attuali è la Russia, come dimostrato dalla recente intervista rilasciata dallo stesso Biden, nella quale l’aver definito Putin un “killer” non può essere definita una gaffe, ma il frutto di un cambio di passo nei confronti della Russia, che troppo è riuscita ad ottenere in termini strategici in Siria e Libia, ma che dal punto di vista economico vede ridursi le leve a sua disposizione per contrastare le mire statunitensi, dato anche il crollo del prezzo del petrolio e del gas. Questa offensiva potrebbe, tuttavia, gettarla fra le braccia della Cina, con cui il rapporto non è al momento del tutto idilliaco.
Il nemico principale rimane, però, la Cina, con cui, a detta di diversi commentatori, pare potersi innescare una nuova Guerra Fredda. Il rischio più grande sarebbe quello della cosiddetta “trappola di Tucidide”: una potenza affermata dichiara guerra ad una potenza in ascesa che potrebbe minare il suo predominio. E la rapidità e l’efficacia con cui la Cina ha superato la crisi pandemica ha portato ancora una volta la questione al centro.
La differenza più netta che possiamo notare fra le scelte di politiche estera di Trump e quella di Biden sta nei toni utilizzati: mentre il primo affermava il principio dell’”America First” nello stabilire i dazi contro la Cina, il secondo punterà principalmente sulla questione dei diritti umani, della minoranza musulmana nello Xinjiang e dei diritti politici ad Hong Kong, senza dimenticare la questione della sovranità di Taiwan. La stessa cosa nel conflitto con la Russia, dove il veto che si vuole imporre alla Germania sul nuovo gasdotto North Stream potrebbe essere giustificata da ragioni ambientali. La realtà dei fatti sembra dirci che gli Stati Uniti hanno intenzione di abbandonare l’isolazionismo e di contrastare l’ascesa cinese, dimostrando che, dietro le belle parole, non cambiano gli interessi strategici.