“L’amica geniale – Storia della bambina perduta”, il consiglio è di fare altro il lunedì sera, magari restando sulla Rai

Articolo di Gordiano Lupi

Se una cosa funziona, fattela durare. Questo è il motto del bravo imprenditore. Un po’ meno dovrebbe essere quello del bravo scrittore, come afferma Elena in un dialogo del film: “L’editore mi ha chiesto un altro libro, ma io non ho ancora scritto una parola. Perché dovrei farlo se non ho niente da dire? Non è mica un lavoro”. Ecco, scrivere non dovrebbe essere un lavoro, anche se di questi tempi lo è diventato, certo non per tutti, solo per gli autori di successo, gli altri che si fottano, anche se hanno idee migliori. Non dovrebbe essere un lavoro produrre fiction inutili come queste, che sembrano telenovelas colombiane, livello fotoromanzo, soap-opera stile Un posto al sole … La prima serie de L’amica geniale non era niente male, sia per ricostruzione di ambienti che come storia narrata, ma diluendo la materia negli anni siamo arrivati alla frutta, sono cambiate persino le attrici, visto che i personaggi sono cresciuti. Irene Maiorino è Linù (nella prima puntata si vede poco), Alice Rohrwacher è Elena – la prima imprenditrice napoletana rimasta al quartiere, la seconda scrittrice di successo – che ci terranno compagnia per 5 puntate, dall’11 novembre al 9 dicembre. Forse la terranno ad altri, non a me che ho guardato svogliatamente la prima serata, tra un pisolino e un sorriso di sufficienza, ridendo a quattro ganasce su certi dialoghi altisonanti degni del miglior feuilleton. Mi è bastata questa prima storia di tradimenti, di una donna perduta con figli a carico che vuol fare la scrittrice, vaga da Firenze a Milano, passando per Napoli, vivendo in una sorta di comune femminista per poi capire che non può fare a meno dell’uomo della sua vita e che se è traditore se lo terrà traditore. Che capolavori della letteratura su grande schermo dobbiamo vedere! Che invidia per E/O che fa passare il ferro vecchio per oro! Tu pensa che L’amica geniale ha conquistato gli States (non è una garanzia di qualità) – l’hanno vista prima di noi! – pare che gli spettatori nordamericani ne siano rimasti entusiasti. Se la vedono i colombiani il successo è ancor più garantito. Laura Bispuri è la delusione più grande, passare da cose autoriali come Vergine giurata (2015), Figlia mia (2018) e Il paradiso del pavone (2018) a questa sottospecie di inserto a colori di Grand Hotel il passo è grande (ma all’indietro). I primi due episodi sono lamentosi e retorici, con la voce narrante della Rohrwacher che accompagna una stanca visione di eventi familiari e scontri tra amanti insoddisfatti, con un suicidio eclatante anticipato da una frase a effetto presa dai Baci Perugina (spero che non l’abbia scritta Elena Ferrante). Ricordiamo tra le cose buone un’ottima ricostruzione di ambienti, le scenografie e i costumi, anche la fotografia non va trascurata, mentre il montaggio è tipico da fiction, lento e compassato fino alla noia. Il consiglio è di fare altro il lunedì sera, magari restando sulla Rai, non voglio mica danneggiarla, perché Rai Play ha un catalogo cinematografico di grande qualità.

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