Il 73° Convegno nazionale di studio dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, UGCI, celebrato a Catania, all’Università, nella prestigiosa sede del Monastero dei Benedettini, si è concluso ieri con la Concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Dominique Mamberti, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e assistente ecclesiastico dell’Unione internazionale dei Giuristi Cattolici, nella Cattedrale di Sant’Agata Vergine e Martire.
Il Convegno ha ricevuto dal Capo dello Stato Sergio Mattarella la medaglia del Presidente della Repubblica.
“Sono stati giornate di grande riflessione e certamente portiamo a casa dei frutti di conoscenza e di buona volontà per continuare il nostro lavoro” ha sottolineato in chiusura di Convegno il cardinale Francesco Coccopalmerio, assistente ecclesiastico dell’UGCI, che ha continuato: “io penso che la missione del giurista cattolico sia quella veramente di portare negli ambienti che noi frequentiamo normalmente la testimonianza di Gesù come autore e perfezionatore, diciamo, della nostra fede, come dice la lettera agli Ebrei, ma anche come testimone della verità del diritto e quindi ci affidiamo a Lui e al suo spirito perché ci guidi nella nostra missione”.
La sessione conclusiva del Convegno si è aperta con l’intervento dell’Avv. Prof. Alessandro Benedetti, professore di Diritto penale dell’economia all’Università Europea di Roma, sul tema “Il processo penale: tra verità processuale e ricostruzione storica (la trattativa stato mafia)”. Il professore Benedetti ha sottolineato, a proposito del compito di analizzare il rapporto tra verità storica e verità processuale anche alla luce della recente sentenza della Corte di Cassazione nel processo sulla cosiddetta trattativa tra stato e mafia: “se pensiamo alla fortuna che ha avuto nei secoli la formula che è stata poi ripresa da Hegel secondo cui “la storia del mondo” è “il tribunale del mondo”, possiamo comprendere quanto e da quanto tempo il tema dei rapporti tra storia e giustizia abbia appassionato i pensatori moderni”. L’analisi della verità processuale e del suo rapporto con la verità storica è stata esaminata fin dagli anni ‘30 da Pietro Calamandrei ma anche più recentemente da Carlo Ginzburg: è ricorrente la riflessione sull’affinità che passa tra storici e giudici, tra la ricerca storica e l’istruttoria processuale, tra la metodologia di ricerca del giudice e quello dello storico.
“Verità, Certezza, Trasparenza e Prevedibilità: le sfide della digitalizzazione e dei Big Data” è stato il tema su cui è intervenuto il Prof. Giuseppe Busia, Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Introducendo nel dibattito il criterio o l’elemento della prevedibilità che in qualche modo si avvicina e completa quelli di cui si è discusso in questi giorni, certezza e verità, è giunto a argomentare sul fatto che oggi sempre di più grazie ai Big Data utilizzati dalla Pubblica Amministrazione la prevedibilità diventa o si avvicina ad essere strumento per accertare la verità.
Infine il cardinale Mamberti è intervenuto sul tema “Verità, certezza e giustizia. Coordinate per il giurista cattolico”. Citando San Giovanni Paolo II nell’ udienza ai partecipanti all’incontro promosso dall’Unione internazionale dei Giuristi Cattolici, il Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica ha concluso: “l’identità cattolica e la fede che anima i giuristi cattolici non forniscono loro conoscenze specifiche dalle quali sarebbero esclusi quanti non sono cattolici. Ciò che giuristi cattolici e quanti condividono la loro fede possiedono è la consapevolezza che il loro appassionato lavoro a favore della giustizia, dell’equità e del bene comune s’inscrive nel progetto di Dio che invita tutti gli uomini a riconoscersi come fratelli, come figli di un Padre unico e misericordioso, e conferisce agli uomini la missione di difendere ogni individuo in particolare i più deboli e di costruire la società terrena conformemente alle esigenze dei Vangeli”. Il cardinale ha quindi citato l’allora cardinale Ratzinger nella sua Lectio alla LUMSA in cui affermò che l’amore cristiano come lo propone il Discorso della Montagna non può mai divenire fondamento di un diritto statuale, esso va molto al di là ed è realizzabile almeno embrionalmente solo nella fede. In questa sua lectio ricordava che la denigrazione del diritto porta sempre all’ingiustizia e al dispotismo e quindi “questa è la mia conclusione: abbiamo sempre più bisogno dell’apporto dei giuristi cattolici nella vita delle nostre società”.