Le foto dei figli sui social: lo fa il 75% dei genitori

Articolo di Francesco Pira

In questo vortice di iperprotezione recenti dati di ricerche confermano, però, che i genitori sono poco consapevoli dei pericoli e dell’uso che i loro figli fanno delle nuove tecnologie. Quasi un controsenso che dimostra come il ruolo della famiglia sia mutato nell’era della comunicazione digitale

L’avvento di Internet e lo sviluppo di nuove piattaforme tecnologiche, dal satellitare, al digitale, ai dispositivi mobili di comunicazione, uniti alla nascita dei social network e social media ha cambiato per sempre il nostro modo di comportarci e di relazionarci con gli altri.

Il cambiamento in atto ci mostra anche il nuovo rapporto tra genitori e figli. La comunicazione è diventata difficile ed è molto semplice accontentare i bambini donando loro uno strumento tecnologico.

Nel corso dei miei studi ho analizzato la figura dei genitori “elicottero”. Papà e mamme disposti a soccorrere i figli, a vigilare sul loro comportamento e a prestare aiuto in ogni circostanza.

I genitori “spazzaneve” eliminano ogni ostacolo dalla vita dei propri figli. E ancora i genitori “curling” strofinano il fondo davanti ai piedi dei figli affinché scivolino senza alcuno sforzo lungo il cammino della vita.

In questo vortice di iperprotezione recenti dati di ricerche confermano, però, che i genitori sono poco consapevoli dei pericoli e dell’uso che i loro figli fanno delle nuove tecnologie. Quasi un controsenso che dimostra come il ruolo della famiglia sia mutato nell’era della comunicazione digitale.

Tutti i componenti della famiglia trascorrono il loro tempo in chat e questo genera un isolamento generale.

Nel suo blog “AdoleScienza”, qualche anno fa, Maura Manca, Psicologo Clinico e Psicoterapeuta, Psicodiagnosta forense e clinico, ha descritto come sia cambiato il ruolo dei genitori: “Stiamo assistendo ad un fallimento del ruolo genitoriale di massa che indirettamente grava sulla salute mentale dei figli. Se mancano i punti di riferimento i figli cresceranno senza una direzione e ci sarà chi compenserà e chi devierà. I bambini hanno bisogno di chi non fa da paracadute solo per un egoismo personale, perché si fa prima, perché è meno faticoso, perché non si ha voglia di discutere con il figlio senza capire che se lo si cresce con la consapevolezza che avrà sempre e comunque un paracadute non spiegherà mai le sue ali. Deve crescere con la consapevolezza di un legame stabile, di essere riconosciuto e accettato, di avere un porto sicuro che gli permetterà di partire, di osare, di sperimentarsi perché sa che avrà dei pilastri su cui contare”.

La famiglia deve essere un punto di riferimento essenziale per un bambino ed è necessario che si istituisca una vera e propria “Scuola per Genitori” per guidare le “vecchie e le nuove generazioni” alla scoperta dei pericoli e delle opportunità della rete

Recentemente Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, saggista e opinionista italiano, è tornato a parlare dei genitori. Crepet è intervenuto su La7, sostenendo che le critiche dovrebbero essere rivolte ai 45enni. Una generazione “rimbecillita” che fotografa qualunque cosa per poterla condividere su Instagram o Facebook.

Secondo Crepet si tratta di “un’ossessione patologica per l’approvazione dei social media e un distacco dalla realtà”.

Uomini e donne che non si interessano più ai problemi importanti, ma che si immergono in una “sorta di specchio digitale”. Lo studioso evidenzia come questa continua ricerca di approvazione sia davvero pericolosa.

Proprio per questo ha invitato tutti a leggere e a pensare a ciò che conta veramente, evitando di continuare a cercare consenso sulle piattaforme.

Il portale orizzontescuola.it ha riportato i numeri di recenti statistiche che vedono il 75% dei genitori condividere foto e dati dei propri figli sui social media. Un’abitudine rischiosa, perché la rete presenta numerose insidie per la privacy e la diffusione dei dati personali.

Un video prodotto da Telekom, la più grande azienda di telecomunicazioni della Germania e d’Europa, ha acceso i riflettori su quando sta accadendo.

Il video ha come protagonista Ella, una ragazzina di 9 anni, la cui immagine online è curata da sua madre e suo padre. Condividere le immagini dei minori può essere imprudente. Infatti, l’intelligenza artificiale trasforma le foto di Ella, dando vita ad una gemella digitale adulta che compare all’improvviso in un cinema.

La gemella digitale di Ella parla e spiega ai genitori come le immagini possono essere utilizzate per creare una falsa identità, possono violare la sua privacy e, nella peggiore delle ipotesi, trascinarla in situazioni molto gravi come attività criminali.

Un video forte che punta a sensibilizzare i genitori nell’era del Metaverso e dell’Intelligenza Artificiale. Tutto quello che viene immesso in rete lascia un segno incancellabile che potrebbe accompagnare il bambino per sempre.

A confermare queste preoccupazioni anche i pediatri che, qualche tempo fa, hanno lanciato un allarme sul fenomeno diffuso della condivisione sui social delle foto dei minori. Si chiama “Sharenting” e la Società italiana di pediatria ha calcolato come per ogni bambino tutti gli anni siano circa 300 le fotografie caricate in rete. “Le prime tre destinazioni sono Facebook (54%), Instagram (16%) e Twitter (12%). I rischi in agguato sono molti e spesso gli stessi genitori ne sono inconsapevoli”.

Pensiamo anche ai baby influencer: bambini che non avendo compiuto 13 anni non potrebbero avere un profilo social e che invece spinti dai genitori o per loro iniziativa postano foto personali sulle piattaforme virtuali alla ricerca del consenso del pubblico. Le motivazioni molto spesso sono legate ai guadagni perché, di frequente, li vediamo vendere prodotti per guadagnare un po’ di denaro.

A sbagliare siamo noi adulti, incapaci di impegnarci e di comprendere di cosa hanno bisogno i giovani. Oggi, è necessario rieducare i padri e le madri per risolvere le numerose difficoltà presenti nelle famiglie. Le fragilità e le insicurezze di tanti preadolescenti e adolescenti si possono risolvere solo se gli adulti smettono di essere “adulscenti” e ritrovano il senso della responsabilità genitoriale.

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