Le Idi di Marzo: una morte profetizzata

Articolo di Armando Giardinetto

Generale, console, pontefice massimo, scrittore e grande uomo politico – sarebbe stato definito “Homo Novus” – il suo potere fece tremare il Senato romano; Cesare divenne dictator nell’anno 49 prima dell’inizio dell’era volgare; giusto cinque anni prima di quello che la storia ha registrato come cesaricidio. Dopo la nomina a console di Marco Antonio e di altri esponenti politici, tra cui Gaio Cassio Longino, per Cesare la vita giungeva silenziosamente, ma non inavvertitamente, al termine.

La congiura anticesariana fu promossa proprio da Cassio che si definiva difensore dei valori repubblicani; infatti egli, come altri, rigettava ogni forma di potere personale e dittatoriale.

La congiura nacque per vari motivi e, tra questi, sono importanti gli antefatti che si ebbero nel mese di febbraio di quell’anno quando, per esempio, si potevano vedere lungo le strade romane statue di Cesare con il diadema, simbolo di regalità, oppure ci si accorgeva che Cesare presenziava alle feste vestito con drappi e ornamenti regali, indizio che il suo potere andava quindi consolidandosi. Questo provocò molto astio nei cuori dei congiurati perché iniziavano a pensare e a credere che tutto poteva accadere tranne che la restaurazione della Repubblica dopo la dittatura di Silla e dei successori. Cassio ed altri congiurati (circa 80 senatori furono interpellati) cercarono l’appoggio di Marco Giunio Bruto – nipote di Catone Uticense (messo da Dante a guardia del Purgatorio, ritenendolo un martire della libertà) e figlio di Servilia, che Cesare amò più di ogni altra donna tanto da adottarne proprio il figlio Bruto – e di alcuni amici dello stesso Cesare, i quali si sentivano delusi da certi comportamenti del dittatore. Alcuni erano favorevoli all’uccisione, altri decisero di non schierarsi. La morte di Gaio Giulio Cesare, però, venne a più riprese divinata, infatti va detto che, come successe anche per altri numerosi imperatori della storia romana, l’omicidio fu preceduto da molti presagi e, tra i molteplici straordinari eventi che vanno in questa direzione, ne menzionerò due in particolare. Il primo risale alla scoperta del sarcofago di Capi, fondatore di Capua (in provincia di Caserta), che avvenne proprio in quegli anni poiché fu scoperta, su una delle lastre della tomba del suddetto personaggio mitologico, una frase: “Quando verranno scoperte le ossa di Capi, un discendente di Iulo verrà assassinato per mano dei suoi consanguinei”. L’altro presagio riguarda la moglie di Cesare, Calpurnia, la quale, la sera prima, ebbe un incubo in cui vedeva Cesare morto assassinato e adagiato sulle sue gambe, tra le sue braccia. Tuttavia i presagi non terminarono.

Dirottiamoci in quella mattinata del 15 marzo, 44 anni prima della nascita di Gesù Cristo, giorno dedicato al dio della guerra: Marte.

Cesare uscì senza scorta dalla sua villa intorno alle 11:00 per recarsi al Senato, venne fermato da un indovino che gli diede un foglio e gli consigliò di leggerlo, ma Cesare non ebbe modo di farlo e questo segnò la sua vita, anzi la sua morte. Forse, se lo avesse letto, non si sarebbe recato al Senato, dove invece arrivò, vi entrò e si sedette; i congiurati – probabilmente 22 – gli fecero reverenza. Falsi come non mai! Il fidato generale Marco Antonio, intanto, veniva trattenuto fuori con una scusa quando, ad un certo punto, dopo il segnale convenuto, ci fu la prima coltellata al collo, ma fu un colpo non mortale tanto che Cesare rimproverò il congiurato, questi allora (Publio Servilio Casca) chiese aiuto ai compagni del grande tradimento, i quali immediatamente sfoderarono i loro pugnali e si accanirono senza pietà sul Console, il quale, vedendo che anche Bruto lo colpiva all’inguine e capendo che ormai la sua ora stava per venire, si coprì coraggiosamente e dignitosamente il capo con la toga che fece scendere fino al ginocchio, emettendo un solo sospiro doloroso e morendo ai piedi della statua di Pompeo. I congiurati inflissero in totale 23 coltellate, tuttavia sola una fu mortale, quella data al centro del petto. L’ultima frase di Cesare? Ormai è leggenda: “Tu quoque, Brute, fili mi!”, cioè “Anche tu, Bruto, figlio mio!”.

Tutti fuggirono, mentre Cesare giaceva morto a terra; poi venne portato a casa su una lettiga da tre schiavi. Cesare era morto e lo si vedeva chiaramente dal braccio penzolante che cadeva da uno dei lati della lettiga.

Il cesaricidio generò solo ulteriori disordini politici e guerre interne che portarono Ottaviano Augusto (nipote dello stesso Cesare) ad accentrare tutto il potere nelle sue mani e a salire sul trono imperiale, sì imperiale, perché Ottaviano cancellò di conseguenza per sempre la Repubblica e diede vita all’Impero Romano.

Per quanto concerne la sorte di Bruto e Cassio, beh, ad essi ci pensò Dante: Bruto e Cassio, dopo la loro miserabile vita terrena, giacciono nel ghiacciato Lago di Cocito, nella Divina Commedia, tra i traditori dei benefattori, maciullati eternamente dai terribili denti della bocca di Lucifero: Bruto si trova nella bocca della faccia nera di sinistra del mostro, si contorce e non dice neppure una parola; invece Cassio si trova nella bocca della faccia gialla di destra di Lucifero; mentre nella bocca della faccia centrale del diavolo c’è il più grande traditore di tutti i tempi: Giuda Iscariota. Quei due assassini, Bruto e Cassio, traditori del benefattore, sono colpevoli dell’omicidio premeditato più famoso di tutta la storia, l’omicidio di Cesare, che non credette alla profezia di Spurinna, un altro indovino – questa volta etrusco – il quale, fermandolo, gli disse di stare attento alle Idi di marzo; Cesare gli rispose che erano già le Idi di marzo; “Ma non sono ancora passate”, gli replicò Spurinna, quella stessa mattinata.

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