La strada verso la conquista del cinema non è facile, perché all’inizio stenta persino a farsi assegnare piccole parti di contorno. I primi lavori sono da giovanissimo nel cast de Il feroce Saladino (1937) La Principessa Tarakanova (1938), La notte delle beffe (1940) e Cuori nella tormenta (1941). Il primo film da coprotagonista è I tre aquilotti (1942) di Mario Mattòli, una pellicola di guerra scritta da Vittorio Mussolini, figlio del duce, poco significativa sia per il regista che per l’attore.
Nel dopoguerra Sordi scrive il soggetto di un film sceneggiato da Vittorio De Sica e Cesare Zavattini intitolato Mamma mia che impressione! (1951), ma il personaggio è in anticipo sui tempi e il pubblico non lo comprende. Il regista Roberto Savarese guida Sordi nella caricatura di un uomo che mette in atto gli stratagemmi più assurdi per conquistare una ragazza, ma si caccia sempre nei guai. La commedia non regge, Sordi non è ancora noto come attore cinematografico e si limita a trasporre sul grande schermo alcuni popolari personaggi radiofonici.
Federico Fellini si accorge del suo talento e lo chiama a interpretare un meschino divo dei fotoromanzi ne Lo sceicco bianco (1952), primo film dove ha piena responsabilità di regia. Sordi è un divertente seduttore succube della moglie, interprete di storie d’amore nei panni dello Sceicco Bianco, che riceve lettere appassionate da una giovane sposa. Il pubblico non accetta Sordi come attore, anche se la sua interpretazione è ottima e calca la mano sugli aspetti grotteschi di un personaggio mediocre. Fellini scommette su di lui, lo vuole ancora protagonista de I Vitelloni (1953), ma toglie il suo nome dai manifesti perché non è amato dalla gente.
La pellicola fornisce un ritratto veritiero della vita in provincia attraverso le giornate di cinque fannulloni che inventano il quotidiano a Rimini. Fellini prosegue sulla strada di un cinema autobiografico, sincero e fantastico al tempo stesso, inserendo un personaggio simile a se stesso che fugge dalla provincia. Sordi resta nell’immaginario collettivo per il famoso gesto dell’ombrello seguito da pernacchia rivolto agli operai mattinieri e interpreta una parte da tragico burlone che non ha la forza di cambiare.
L’inverno a Rimini è soltanto noia e rimpianto del tempo perduto, tra amici che si sposano, scappatelle, aspirazioni frustrate, sogni infranti. In un soggetto come questo si sente la mano di grandi scrittori come Ennio Flaiano e Tullio Pinelli. Sordi conquista un Nastro d’Argento a Venezia per la caratterizzazione del nullafacente Alberto e il film si aggiudica il secondo posto.
L’attore romano fa breccia nei gusti del pubblico con Un giorno in pretura (1954) di Stefano Vanzina, detto Steno. La pellicola rappresenta un esempio imitato negli anni Settanta e Ottanta, un raccoglitore di casi giudiziari che fanno da cartina di tornasole per raccontare la vita italiana. Peppino De Filippo è un giudice che ascolta casi di abbandono del tetto coniugale, preti che fanno a botte nei bar, effusioni smodate con la fidanzata, ex ballerine che adescano clienti e altri esempi di varia umanità.
Alberto Sordi è un aitante ragazzone accusato di aver nuotato nudo in una marrana ed è proprio in questa pellicola che nasce il personaggio di Ferdinando Meniconi, americano de Roma, che nel film successivo si chiamerà Moriconi. Un’invenzione geniale, come idea e interpretazione, che dà corpo al sogno di tanti giovani italiani che vivono una realtà modesta, immaginano Kansas City e il mito statunitense. Il film segna anche la nascita della commedia a episodi da un’idea di Lucio Fulci, sceneggiatore insieme a Sordi, Continenza, Viganotti e Steno.
Un americano a Roma (1954) è ancora di Steno e ribadisce il successo popolare di Sordi con il personaggio di Nando Moriconi che vorrebbe essere nato a Kansas City, disprezza maccheroni e vino a favore di latte, marmellata e yogurt, ma alla prima tentazione mostra la sua italianità e si abbuffa di pasta e vino rosso. Nando è la macchietta riuscita che ridicolizza l’esterofilia da strapaese, guarda solo film americani, inventa un modo di parlare americanizzante che ha fatto epoca e dà vita a situazioni esilaranti.
Maccaroni, m’hai provocato e io te distruggo, pronunciata da Sordi davanti a un piatto di pasta è diventata una frase proverbiale. Lucio Fulci è ancora una volta lo sceneggiatore che inventa molte situazioni dell’americano a Roma, anche se Continenza, Scola, Sordi e Steno collaborano al soggetto.
Il successo di Un americano a Roma porta Sordi a girare anche tredici film in un anno, non tutti capolavori, ma sempre dignitosi e apprezzati dal pubblico. Il personaggio che si cuce addosso è quello dell’italiano medio e mediocre, visto dal lato comico, ma senza rinunciare a far pensare, dosando umorismo e cinismo. Gli italiani si immedesimano nei personaggi di Sordi, si vergognano e ridono dei loro difetti, soprattutto comprendono che quelle macchiette fanno parte della vita quotidiana. Pensiamo al dottor Guido Tersilli, convenzionato con la mutua,medico maneggione potente con i deboli e servile con i potenti. Non è cambiato molto. Per questo motivo le commedie di Sordi, come il buon vino, resistono al passare del tempo.
L’arte di arrangiarsi (1954) di Luigi Zampa è un altro film basato sul personaggio Sordi che diventa Rosario Scimoni detto Sasà, arrivista e voltagabbana, opportunista come tanti italiani capaci di essere prima fascisti, poi comunisti e infine democristiani. Vitaliano Brancati scrive un film graffiante per mettere alla berlina l’italico vizio del trasformismo e la necessità di stare sempre dalla parte del più forte. Il seduttore (1954) punta l’indice su un italiano fanfarone, a parole conquistatore di belle donne, ma alla prova dei fatti è sposato e vive solo avventure fantastiche.
Primo incontro con l’abile sceneggiatore Rodolfo Sonego che in seguito scriverà molti dei suoi successi. Lo scapolo (1955) di Antonio Pietrangeli fa vincere a Sordi un Nastro d’argento per la caratterizzazione del mediocre maschio latino a caccia di donne, ma che finisce per sposare la ragazza voluta dalla madre. Il film è importante anche perché trasforma il personaggio di Sordi in un borghese che partecipa al boom economico.
Lo scapolo (1955) è un film dove Alberto Sordi interpreta un personaggio leggermente diverso dal solito. Pietrangeli fa attenzione a non cadere nei soliti cliché e nella macchietta, senza indugiare nella caricatura, evitando farsa e grottesco. Ruoli femminili interessanti sono interpretati da Sandra Milo, Madeleine Fischer, Anna Maria Pancani, Abbe Lane, Elvira Tonelli, Pina Bottin, Maria Asquerino.
Sordi è uno scapolo impenitente che seduce la hostess Sandra Milo (al debutto), la segretaria (Pancani) e molte altre donne, ma alla fine dimostra di aver paura della solitudine e riallaccia i rapporti con una vecchia fiamma (Fischer) che non si fida più di lui e non ne vuole proprio sapere. Molto bravo Sordi nella parte del mediocre, fanfarone, ipocrita e in fondo vigliacco, timoroso di invecchiare in solitudine, abbandonato da tutti. Ottima la sceneggiatura scritta dal regista con la collaborazione di Ruggero Maccari, Ettore Scola e Sandro Continenza. Bene Nino Manfredi (l’amico che dovrebbe sposare la sorella di Sordi), Francesco Mulè, Attilio Martella (l’amico che si sposa e lascia solo lo scapolo) e Fernando Fernán Gomez.
Piccola posta di Steno e Segno di Venere di Dino Risi sono due modeste commedie del 1955, nobilitate dalle eccellenti interpretazioni di Sordi al fianco di una bravissima Franca Valeri. Un eroe dei nostri tempi (1955) di Mario Monicelli vede ancora Alberto Sordi insieme a Franca Valeri e racconta la storia di un impiegato vigliacco che per sfuggire ai pericoli vi finisce dentro fino al collo. Il suo personaggio è un indeciso che non si fida di nessuno e che per stare dalla parte del più forte si arruola in polizia.
Rodolfo Sonego collabora con Monicelli alla sceneggiatura e disegna uno spaccato indimenticabile della borghesia italiana prima del boom economico. Arrivano i dollari! (1956) di Mario Costa vede ancora Sordi all’interno di una commedia del neorealismo rosa intrisa di convenzioni da cinema tranquillizzante, ma la sua interpretazione di un giovane megalomane porta un soffio di originalità. Sordi è un fannullone, millantatore, che si spaccia per conte, vuol vivere di rendita, senza impegnarsi e soprattutto senza lavorare.
La pellicola racconta la sua lotta con quattro fratelli per aggiudicarsi una cospicua eredità, ma non è immune da manierismi. Il conte Max (1957) di Giorgio Bianchi vede Sordi nei panni di un giornalaio che aspira a salire di classe sociale e fa di tutto per inserirsi nel mondo dei ricchi. Vittorio De Sica è il conte Max, un nobile decaduto, che lo aiuta ad apprendere come vivono i nobili e permette che utilizzi la sua identità per corteggiare una contessa.
Alla fine il giornalaio si rende conto che il mondo dei ricchi non fa per lui, torna a fare il suo mestiere e sposa una cameriera. Sordi interpreta ancora una volta un ragazzo ingenuo, millantatore, bugiardo, che vorrebbe essere quello che non è, ma in fondo buono, simpatico, capace di innamorasi e di slanci generosi. Non siamo fuori dai consueti clichè alla Poveri ma belli e Pane amore e fantasia, dove i poveri sono tutti buoni e generosi, nessuno è cattivo, regna l’altruismo e la comprensione. Il film è stato oggetto di un modesto remake da parte di Christian De Sica nel 1991.
Il marito (1958) di Nanni Loy è un film interessante che Sordi scrive insieme al fido sceneggiatore Sonego. Nanni Loy è un valido regista trascurato dalla critica ed è proprio sotto la sua guida che l’attore romano fornisce un’immagine dell’italiano medio al di là della semplice macchietta. Il marito è un ritratto credibile della società italiana, Sordi incarna le contraddizioni del borghese medio che vuole farsi una famiglia ma al tempo stesso la soffre e cerca una via di fuga.
Emblematico il motivetto che ha fatto epoca Bongo bongo bongo strare bene solo in Congo non mi muovo, no no/ Bingo Bongo Bengo molte scuse ma non vengo, io rimango qui. È l’Italia prima del boom economico, semplice e provinciale, tra invadenze familiari, gelosie di amici che faticano a sbarcare il lunario, trappole e corruzioni politiche. Sordi porta ancora sul grande schermo un vitellone che si è sposato, ma sogna le domeniche allo stadio con gli amici a tifare Roma e rimpiange un passato da scapolo.
Negli anni Cinquanta Sordi interpreta commedie originali del neorealismo rosa, ma non ancora vera commedia all’italiana. Si tratta sempre di commedie tranquillizzanti, i poveri sono belli e felici, tutti gli italiani sono brava gente. Nasce la commedia all’italiana non appena i registi mettono in scena il vero volto dell’italiano medio, al di là del perbenismo ufficiale. In ogni caso senza il neorealismo rosa non sarebbe esistita la commedia all’italiana, perché i vecchi schemi narrativi devono esistere per essere superati.
Non ci sarebbe stata la commedia all’italiana senza un attore – autore come Alberto Sordi che trasforma il suo personaggio e lo rende più maturo e complesso. Il suo italiano medio viene ben definito e messo al passo con i tempi, non è soltanto una caratterizzazione comica, ma la realtà contemporanea trasportata in storie cinematografiche. La commedia all’italiana si sviluppa con il primo calo elettorale democristiano, dopo la morte di Pio XII che aveva scomunicato i comunisti, durante il boom economico, contemporaneamente alla diffusione della televisione, in pieno consumismo, tra elettrodomestici e automobili alla portata di tutti, alla fine di avanspettacolo e riviste umoristiche, con l’attenuarsi della censura, per merito di registi, sceneggiatori e attori di grande livello.
La commedia all’italiana mette in scena storie cittadine, anche senza lieto fine, critiche nei confronti della società e finalizzate a descrivere il conflitto tra l’individuo e la realtà contemporanea. Alberto Sordi è uno degli interpreti più convincenti di questi meccanismi narrativi, sia durante il boom economico che nelle commedie del dopo boom e del ripensamento, durante il periodo 1958 – 1980. Sono commedie che nascono con l’illusoria ricchezza degli italiani, il sogno del reddito medio elevato per tutti, l’ondata di euforia e di consumismo. Proliferano commedie tristi e disincantate in piena crisi, quando ci si rende conto che la ricchezza non sarà per tutti, ma solo per chi ne ha saputo approfittare.
La commedia all’italiana comincia da I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, vero padre del genere e grande continuatore. Non per niente Alberto Sordi interpreta La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, un capolavoro che Vincenzoni, Age, Scarpelli e lo stesso regista ricavano da Due amici di Guy De Maupassant. Alberto Sordi caratterizza la figura del soldato Oreste Jacovacci, un vigliacco che finisce al fronte insieme all’amico Giovanni Busacca (Vittorio Gassman).
Non c’è traccia di patriottismo in questa pellicola, dove due italiani medi cercano di sfuggire i pericoli della guerra, vengono catturati dagli austriaci e finiscono per morire da eroi, come non hanno mai vissuto. “Non voglio morire… sono un vigliacco!” grida Sordi davanti al plotone di esecuzione. Una pellicola dissacrante su un tema fino a quel momento intoccabile, che demolisce la retorica nazionalistica e punta il dito sui massacri della grande guerra. Sordi è ancora una volta premiato con il Nastro d’argento per la caratterizzazione geniale di un italiano medio che non cova nessun mito patriottico e nessuna ideologia militare. La pellicola conquista il Leone d’oro a Venezia ex aequo con Il generale Della Rovere (1959) di Roberto Rossellini.
Il vedovo (1959) di Dino Risi è una commedia nera che Sordi interpreta accanto alla bravissima Franca Valeri, moglie ricca da eliminare per diventare padrone e decidere senza una presenza ingombrante. La caratterizzazione dell’industriale incapace è perfetta, ma la cosa migliore del film sono i duetti tra i protagonisti con una irresistibile Franca Valeri che apostrofa il marito come cretinetti.
Il personaggio che Alberto Sordi porta sul grande schermo negli anni Cinquanta è un uomo piccolo, negativo sotto ogni aspetto, mammone, millantatore, fanfarone, piagnucolone, ipocrita, vitellone e spesso in balia del sogno americano. Questa caratterizzazione si modifica con il tempo e acquista qualche elemento positivo, eliminando dal personaggio alcuni difetti che vengono presentati come retaggio sociale.
L’italiano che Sordi impersona negli anni Sessanta e Settanta è vittima delle persone con cui condivide la vita, siano mogli, speculatori, politici o governanti. La modificazione del personaggio si presenta già con Il seduttore e Il marito, dove Sordi è vittima di mogli oppressive, ma anche ne Il vedovo deve fare i conti con imprenditori più navigati. La grande guerra, invece, mostra un uomo in balia della storia, elemento troppo grande con cui confrontarsi e che decide per lui.
Il moralista (1959) di Giorgio Bianchi rappresenta un importante nuovo tassello comico. Sordi è indimenticabile nella caratterizzazione del censore Agostino Salvi, segretario di un’organizzazione per la moralità pubblica, ma al tempo stesso capo di una banda che sfrutta le ballerine di night. Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini è un esempio calzante di come gli eventi della storia incidono sulla vita di un uomo medio. Sordi è un sottotenente dell’esercito che viene colto di sorpresa dall’armistizio firmato da Badoglio l’8 settembre 1943.
La sua compagnia si sfalda, lui si mette in marcia verso casa, vede deportare un amico, assiste alla fuga del padre con Mussolini, finalmente decide di stare dalla parte degli alleati e spara contro i tedeschi. Un film intelligente che approfondisce un momento buio della nostra storia, dimenticato dalla retorica della resistenza partigiana. Sordi regala una delle migliori interpretazioni e riesce a mantenere un registro in bilico tra comicità e dramma.
Il vigile (1961) di Luigi Zampa appartiene a una sorta di sottogenere dedicato ai tutori dell’ordine ed è la metamorfosi di un cretino che la divisa trasforma in un prepotente. Alberto Sordi caratterizza bene il personaggio ideato da Sonego e ispirato a un fatto realmente accaduto di un vigile che multa il sindaco di Roma. La commedia non è omogenea, ma fa capire come malcostume e corruzione vengono accettate dal popolo come cose normali.
Una vita difficile (1961) di Dino Risiè un eccellente affresco del dopoguerra italiano che punta il dito sul clima di opportunismo politico e di stagnazione intellettuale. Sordi è un ex partigiano collaboratore di un giornale di sinistra, cerca di mantenere anche nella vita una coerenza politica, ma non è facile. Il regista mostra la caduta negli inferi di un personaggio positivo, che finisce in miseria, si trova in galera e viene abbandonato dalla moglie.
Il riscatto e la riconquista della moglie arrivano soltanto quando accetta di diventare segretario di un uomo che aveva denunciato come esportatore di capitali. Un finale eclatante vede Sordi ribellarsi alle umiliazioni del datore di lavoro che getta in piscina con uno schiaffone memorabile. Il futuro è accanto alla sua donna (Lea Massari) e può affrontare con la vecchia coerenza ciò che verrà. Rodolfo Sonego firma una delle sceneggiature più belle della sua carriera e Alberto Sordi interpreta un eroe positivo raccontato in chiave grottesca, senza concessioni alla retorica. C’eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola è quasi un remake aggiornato e sviluppato ai tempi recenti.
Il mafioso (1962) di Alberto Lattuada è una commedia nera con un Sordi in gran forma nei panni di un mafioso che commette un delitto e resta impunito. Nessuna concessione alla comicità più facile, ma tanto realismo per mostrare un personaggio immorale e la piaga mafiosa.
Il commissario (1962) di Luigi Comencini vede Sordi nei panni di un commissario di polizia travolto dai poteri forti politico – giudiziari che non gli consentono di muoversi in autonomia. Una bella satira dell’Italia corrotta con Sordi che presta volto e stranissima pettinatura per la caratterizzazione di un commissario costretto a cambiare lavoro.
Il boom (1963) di Vittorio De Sica presenta uno spaccato dell’Italia in pieno boom economico dove non tutti hanno trovato la loro strada. Sordi impersona l’italiano medio travolto dalla situazione economica, pieno di debiti, disperato al punto di voler vendere un occhio per campare. Un personaggio meschino che rende bene la sceneggiatura di Cesare Zavattini, vittima delle sue paure fino in fondo. “Io non so più dove sbattere la testa” commenta Sordi in una delle prime scene. Per qualcuno sarà pure arrivato il boom, ma per la maggior parte delle persone i problemi aumentano.
Il maestro di Vigevano (1963) di Elio Petri è tratto da un romanzo di Lucio Mastronardi ed è uno dei migliori film interpretati da Sordi in questo periodo. Racconta la storia di un mite maestro elementare tartassato dal preside, frustrato sul lavoro e succube della moglie. Il maestro viene convinto dalla moglie a dimettersi e a impiegare la liquidazione per aprire una fabbrica di scarpe in società con il cognato. Sordi interpreta bene una figura di maestro sofferente che si vede portare via la moglie da un industriale ed è tartassato dalla guardia di finanza. L’attore dà vita a un grande personaggio negativo, il ritratto della stupidità, un uomo schiacciato dagli eventi e destinato al fallimento.
Il personaggio di Sordi nasce come una caratterizzazione totalmente negativa dell’italiano medio, ma si modifica nel tempo in un personaggio complesso. Resta l’uomo medio pieno di difetti, ma interpreta una realtà che non condivide e che vorrebbe cambiare, ma non ce la fa. La società italiana e i suoi poteri forti (leciti e illeciti) sono peggiori dell’uomo medio che si dibatte in un mondo assurdo. I personaggi di Sordi non sono mai monodimensionali, merito della sua capacità di attore, di sceneggiatori validi come Rodolfo Sonego e di registi preparati.
I tipi negativi portati sul grande schermo dall’attore romano possiedono sempre un fondo di umanità e di innocenza che li riscatta. I personaggi positivi non sono mai perfetti, uomini irreali tutti d’un pezzo, ma hanno umane debolezze che li rendono uomini veri e non semplici caratterizzazioni. La galleria dei personaggi interpretati da Sordi è sterminata. Borghesi senza scrupoli, arrivisti, uomini in crisi per le loro malefatte, poveracci che non vincono mai, borghesi vittime dei meccanismi, uomini che giudicano e condannano, preti donnaioli e attori da strapazzo che mettono la vita in musica. Tutte le tipologia umane che l’attore porta sul grande schermo restano nell’immaginario collettivo, fanno capire come eravamo e immaginare quello che diventeremo.
Alberto Sordi è molto divertente nei panni di Guglielmo il dentone, episodio girato da Luigi Filippo d’Amico e inserito nel modesto I complessi (1965), soprattutto trasmette il messaggio positivo di un uomo pieno di qualità che si fa strada nonostante un difetto fisico appariscente. Made in Italy (1965) di Nanni Loy è un film a episodi costruito a imitazione de I mostri (1963) di Dino Risi (dove non c’era Sordi) per mettere alla berlina vizi e difetti dell’Italia in pieno boom economico. Sordi interpreta alcune brevissime caratterizzazioni nel blocco di episodi al limite della barzelletta dedicati alla famiglia.
Fumo di Londra (1966) è il primo film con Alberto Sordi impegnato alla regia, ruolo in cui firma una ventina di pellicole non molto omogenee e di diverso valore. Preferiamo Sordi attore, perché come regista spesso gira film lenti, compiaciuti, sentimentali e moraleggianti che non sempre colgono nel segno. La sua produzione da regista è dignitosa ma non eccelsa e tocca momenti di stasi in lavori come Io e Caterina (1980).
Persino Fumo di Londra presenta difetti di impostazione e la storia di un italiano all’estero raccontata dal regista è piena di luoghi comuni. Sordi attore è perfetto. Indossa baschetto e bombetta, si lascia sedurre dalla cultura hippy, si fa affascinare da ragazze inglesi e dalla caccia alla volpe, ma alla fine viene rispedito in Italia dalla polizia. Scusi lei è favorevole o contrario? (1966) vede ancora Sordi alla regia con la collaborazione dello sceneggiatore Sergio Amidi.
Ancora una volta è ottimo l’attore, un contraddittorio funzionario delle imposte che ha un’amante per ogni giorno della settimana, ma si dichiara contrario al divorzio. Il registro è comico, ma la regia non funziona. Un italiano in America (1967) è la terza regia di Sordi che interpreta un benzinaio italiano alla ricerca del padre (Vittorio De Sica) negli Stati Uniti. Sordi e De Sica sono bravi nel duetto televisivo dove avviene l’incontro, ma una storia scontata si perde nella differenza tra sogno americano e realtà. Il padre del benzinaio è pieno di debiti perché ha il vizio del gioco.
Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa è un film memorabile tratto dal bel romanzo di Giuseppe D’Agata, ancora attuale come messaggio satirico. Sordi sceneggia la storia con la collaborazione di Zampa e Amidi e si cuce addosso la figura spregevole del dottor Guido Tersilli, medico privo di scrupoli che si procura con metodi poco leciti un buon numero di mutuati. Finisce ricoverato per esaurimento nervoso, teme di essere curato da colleghi che vogliono ereditare i suoi pazienti, fugge dalla clinica e continua a visitare per telefono.
A questo film succede Il Prof. Dott. Guido Tersilli, primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue (1969) di Luciano Salce, che con minor efficacia approfondisce il discorso del simpatico mascalzone interpretato da Sordi. Il dottor Guido Tersilli è un uomo avido, abietto, arrivista e leccapiedi, ma Sordi con un’interpretazione sopra le righe, lo rende quasi simpatico. Sono due film attuali, rimasti nell’immaginario collettivo al punto di produrre gustose parodie come Il ginecologo della mutua (1977) di Joe D’Amato con Renzo Montagnani e Pierino medico della SAUB (1981) di Giuliano Carnimeo con Alvaro Vitali.
Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968) di Ettore Scola vede Sordi nei panni di un annoiato editore romano che parte per l’Africa nera alla ricerca del cognato (Nino Manfredi) scomparso da due anni. L’uomo non è morto e nemmeno si è perduto, ha soltanto deciso di abbandonare la civiltà e di vivere in una tribù indigena che lo venera come uno stregone. Il film ottiene un grande successo di pubblico e la critica apprezza la satira sulla proverbiale arroganza dell’italiano arricchito nei confronti del terzo mondo. Sordi è un personaggio quasi positivo, alla ricerca di se stesso e di una verità contraddittoria in un mondo naturale che lo affascina e lo respinge. Non riesce a prendere la stessa decisione del cognato. L’uomo medio non sa decidere, rinuncia per non rischiare di perdere il certo per l’incerto.
Amore mio aiutami (1969) è la quarta regia di Sordi che incontra Monica Vitti sul grande schermo per interpretare una coppia moderna che vuole vivere un rapporto sincero. La donna prende la cosa sul serio, confida di essersi innamorata di un altro e il marito diventa folle di gelosia. La scena dei sonori ceffoni che Sordi rifila alla Vitti sul lungomare di Ostia è indimenticabile. Sordi è un grandissimo attore ma un modesto regista e non riesce a mettere alla berlina un’Italia che non ce la fa a modernizzarsi. Il film si ferma alla caratterizzazione dell’italiano geloso.
Nell’anno del Signore (1969) di Luigi Magniè importante perché è la prima commedia storico – romanesca e rappresenta un grande successo commerciale per merito di un grande cast. Alberto Sordi è un ottimo frate che interpreta a dovere un ruolo insolito. La camera è un episodio girato e interpretato da Sordi all’interno de Le coppie (1970), film composto di tre episodi diretti anche da Monicelli e De Sica. Sordi è un operaio che tenta di festeggiare l’anniversario con la moglie in un albergo della Costa Smeralda, ma è anche un amante bloccato dalla presenza di un leone nell’episodio diretto da Vittorio De Sica.
Un film a episodi senza nerbo sui vizi italiani e una critica velata al primo consumismo che si sente soprattutto nell’episodio Il frigorifero diretto da Monicelli. Il presidente del Borgorosso football club (1970) di Luigi Filippo d’Amico è un film satirico sul mondo del calcio che non piace alla critica ma entusiasma il pubblico. Sordi eredita la squadra dopo la morte del padre, si appassiona a uno sport che non conosce e diventa un vulcanico presidente tuttofare. Il registro è più da farsa che da commedia all’italiana, ma il film diverte parecchio.
Il prete, episodio di Contestazione generale (1970) di Luigi Zampa, è molto più efficace come messaggio polemico nei confronti di una società dal sesso facile e dei preti che non possono sposarsi. Negli anni Settanta – Ottanta la commedia esaspera temi e stile inserendo spesso ragionamenti politico – sociali, ma in alternativa sfoggia totale disimpegno (Amici miei) e meditazioni generazionali (La terrazza).
Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy è una commedia carceraria scritta da Rodolfo Sonego e rappresenta una critica feroce al sistema giudiziario italiano. Per Gianni Canova è una vibrante denuncia del mal funzionamento della giustizia dei tribunali (Canova). Il soggetto di Rodolfo Sonego ma si basa su un’inchiesta di Emidio Sanna, sceneggiato da Loy con la collaborazione di Sergio Amidei. Sordi è perfetto nei panni di un inerme cittadino nelle mani della legge, accusato di un omicidio che non ha commesso, che non sa come difendersi. L’imputato finisce per prendere un esaurimento nervoso perché tra lungaggini burocratiche e prevaricazioni resta in galera e non viene giudicato.
Un ottimo film che fa pensare più che ridere, ma anche un lavoro importante per definire la maschera Sordi come uomo medio in balia delle circostanze. Il regista racconta l’odissea di un italiano tornato a casa per una vacanza con la moglie svedese (Elga Andersen) che si trova coinvolto in un’assurda accusa per omicidio colposo. L’incubo condurrà il protagonista al crollo psicologico prima che tutto venga chiarito come un caso di omonimia. La pellicola serve a Nanni Loy per denunciare le condizioni del sistema carcerario italiano, ma anche per stigmatizzare l’uso eccessivo della carcerazione preventiva.
La più bella serata della mia vita (1972) di Ettore Scola vede ancora Sordi nei panni di un borghese senza scrupoli che va in Svizzera per depositare illegalmente dei fondi. La storia è tratta da La Panne, racconto nero di Friederich Dürenmatt con un finale leggermente modificato. Il senso della critica sociale resta e Sordi è bravo a interpretare l’uomo medio travolto da una storia che pare un tragico scherzo, ma a un certo punto diventa più grande di lui.
Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (1972) di Luigi Zampa punta il dito sulle contraddizioni nel mondo dell’emigrazione. Alberto Sordi è un italiano che vive in modeste condizioni economiche nel deserto australiano, ma cerca moglie spacciandosi per un amico ricco e mettendo inserzioni. Vorrebbe una compatriota illibata, ma la sola persona che risponde è una ex prostituta romana. Sordi è perfetto nell’interpretazione di un personaggio caratterizzato da un buffo taglio di capelli e dall’epilessia, ma il film non fa ridere, resta una storia malinconica e a tratti patetica.
Lo scopone scientifico (1972) di Luigi Comencini segna un punto di passaggio importante dalla commedia all’italiana verso temi più importanti. Sordi e la Mangano sono una coppia di sottoproletari che giocano a carte con una miliardaria americana che ogni anno si fa accompagnare a Roma dal suo autista. Il regista mette in primo piano il potere del denaro e i rapporti di forza tra Stati Uniti e Italia con una commedia paradossale sceneggiata da Rodolfo Sonego.
Polvere di stelle (1973) è una nuova regia di Sordi, forse tra le migliori, che interpreta un film importante assieme a Monica Vitti. Un attore (Sordi) riesce ad allestire con la sua compagnia uno spettacolo per gli alleati. La compagnia è modesta, non è abituata a recitare su grandi palcoscenici e per platee numerose, ma riporta un grande successo. Gli attori comprendono che si tratta di un momento straordinario e irripetibile, dettato soltanto dall’euforia del momento storico. Sordi riesce a tratteggiare un affresco nostalgico dell’avanspettacolo, delle compagnie di una volta dove bastava mangiare per essere soddisfatti e di un teatro che non esiste più. L’attore romano scrive pure la famosa canzone Ma ‘n do’ … Haway? e la canta in coppia con Monica Vitti.
Finchè c’è guerra c’è speranza (1974) vede ancora Sordi regista di se stesso per interpretare un commerciante d’armi che non dice a nessuno cosa fa per vivere. Moglie (Silvia Monti) e figli lo vengono a sapere e in un primo tempo lo disprezzano, ma dopo lo convincono a non lasciare perché non vogliono perdere il tenore di vita conquistato. Leo Benvenuti e Pietro De Bernardi scrivono il film insieme al regista che dà il meglio di sé nella caratterizzazione di un italiano mediocre.
Il commerciante d’armi è un uomo piccolo e pieno di difetti, ma anche la famiglia non è da meno, perché preferisce lucrare sulle disgrazie altrui piuttosto che perdere vantaggi economici. Il comune senso del pudore (1976) è una regia abbastanza ispirata di Sordi che confeziona un divertente film a episodi sul ruolo del sesso nella società consumista. Interpreta il primo episodio con Rossana Di Lorenzo, recupera i personaggi del film Le coppie e finisce per sbaglio in un cinema porno, ma anche gli altri episodi sono gustose macchiette sul sesso al cinema, nelle riviste, all’interno di una società che sta cambiando.
L’ascensore di Luigi Comencini è un episodio di Quelle strane occasioni (1976) e vede ancora una volta Sordi nei panni di un prete che non sa resistere alle tentazioni. Siamo in piena commedia del disimpegno con grande importanza al fattore erotico che una Stefania Sandrelli molto sexy valorizza da par suo.
Un borghese piccolo piccolo (1977) di Mario Monicelli è un altro caposaldo della comicità di Sordi, uno dei titoli più rappresentativi della maschera indossata dall’attore romano. Sordi è Giovanni Vivaldi, un impiegato statale prossimo alla pensione, che ripone ogni speranza nel figlio ragioniere. La commedia sfocia in tragedia quando il figlio viene ucciso durante una rapina, Vivaldi rintraccia l’assassino, lo cattura, lo sequestra e lo uccide sotto gli occhi della moglie. Alla fine il pensionato si trasforma in un giustiziere per vendicare il torto subito.
Il soggetto di Vincenzo Cerami aggiunge al personaggio di Sordi una drammaticità maggiore. Vivaldi è un uomo meschino, egoista e qualunquista che diventa persino massone per favorire la carriera del figlio, ma si trasforma in un mostro appena modificano i suoi piani. “Pensa a te, Mario. Pensa solo a te…” dice spesso al ragazzo che alleva come un secondo se stesso, tra egoismi e meschinità. Un borghese piccolo piccolo è una commedia volutamente sgradevole, ma il contrasto tra la vita del mediocre impiegato e la vendetta finale è notevole.
I nuovi mostri (1977)di Dino Risi, Ettore Scola e Mario Monicelli presenta il Sordi che era mancato a I mostri, ma è meno efficace dell’originale, più cinico, gratuito e poco credibile. Qualche critico ha voluto vedere nei quattordici episodi una metafora sulla fine della commedia all’italiana. Sordi porta alle estreme conseguenze il suo personaggio: è un aristocratico che non trova posto in ospedale per un pedone che ha soccorso e decide di lasciarlo sul posto dell’incidente, un nuovo ricco che chiude la mamma in un ospizio, un attore di varietà che improvvisa una scenetta comica davanti alla bara di un collega.
Le vacanze intelligenti è un episodio del film Dove vai in vacanza? (1978) diretto da Bolognini, Salce e Sordi. Non è un film molto omogeneo perché mette insieme tre momenti di comicità diversi. Sordi dirige e interpreta il terzo episodio, si cala nella parte di un fruttivendolo che si fa convincere dai figli a portare la moglie in una vacanza intelligente tra diete, monumenti e cinema d’autore. Sordi tenta di realizzare un affresco sui conflitti generazionali ma non ci riesce, anche perché un finale qualunquista stempera tutto in una bella spaghettata.
L’ingorgo (1979) di Luigi Comencini presenta Sordi come un avvocato arrogante, fermo in auto per colpa di un ingorgo, che tra un grido e un altro trova il tempo per meditare nuove speculazioni. Il film rappresenta una galleria di personaggi indovinati, uniti da un destino comune, resi da grandi attori come Marcello Mastroianni, Stefania Sandrelli e Annie Girardot. Ne vengono fuori molti italici vizi non ancora eliminati che rendono la pellicola attuale e con ambizioni sociali.
La terrazza (1980) di Ettore Scola segna la fine della commedia all’italiana in senso stretto, ma in Italia si continuano a realizzare commedie. Alberto Sordi è in prima fila anche nella nuova commedia contemporanea, come attore e regista, partecipa alla così detta commedia dei vecchi, che spesso si segnala come commedia del disimpegno.
Io e Caterina (1980) è una nuova deludente regia di Sordi che realizza una storia lenta ed eccessivamente lunga rispetto alle cose da dire. Alberto Sordi è un maturo dirigente d’azienda oppresso da moglie (Valeri), amante (Spaak) e cameriera. Pensa che la soluzione possa essere l’acquisto del robot-cameriera Caterina che dovrebbe sostituire le donne della sua vita.
Purtroppo l’automa femminile dimostra di avere un carattere geloso e possessivo, sino a scatenarsi quando si presenta in casa una bella rivale come Edwige Fenech. Un soggetto abbastanza misogino di Rodolfo Sonego che andava bene per un medio metraggio ma non per una pellicola di un’ora e cinquanta. Il film vorrebbe essere satirico e tenta di fare un discorso impegnato sul rapporto uomo – donna.
Il marchese del Grillo (1981) di Mario Monicelli fa riscoprire il miglior Sordi, attore in una commedia del disimpegno, una sorta di Amici miei ambientato nella Roma papalina. L’attore romano interpreta un doppio ruolo, caratterizza un nobile privo di ideali che sfrutta la sua posizione per fare la bella vita e compiere scherzi feroci. Io so’ io e voi non siete un cazzo, è l’espressione che riassume una sordida morale da intoccabile arrogante, corruttore di giudici e vessatore di poveri, ma in fondo simpatico.
Sordi è anche un umile carbonaio vittima di scherzi atroci come sosia del marchese, un povero che non comprende ma si trova in mezzo ai guai. Fu un grande successo di pubblico. Tra i film in costume del filone disimpegnato citiamo Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1984) di Mario Monicelli, la miniserie televisiva I promessi sposi (1988) di Salvatore Nocita (Sordi è un ottimo Don Abbondio), L’avaro (1990) di Tonino Cervi e In nome del popolo sovrano (1990) di Luigi Magni.
Nella seconda parte della sua carriera, dalla metà degli anni Settanta in poi, Sordi elimina la cattiveria e la satira feroce dal suo cinema e assume toni moralistici che emergono in alcune pellicole meno graffianti. In questa fase calante dirige molti film, ma come abbiamo visto il Sordi regista non vale il Sordi attore. In viaggio con papà (1982) è uno dei migliori lavori, rappresenta un ideale scambio di consegne tra il vecchio e il nuovo interprete della comicità romanesca. Carlo Verdone è il figlio timido e sognatore.
Alberto Sordi è il padre cinico e donnaiolo che crede solo al potere dei soldi. Un viaggio insieme li fa conoscere meglio. Sordi mette in scena una nuova commedia di viaggio, molto frequente nella sua produzione, che riproduce un credibile scontro generazionale. Io so che tu sai che io so (1982) è una commedia impegnata che tenta di affrontare il problema della droga, ma anche in questo film preferiamo Sordi attore al regista che narra il dramma di un padre e di una figlia drogata. Il tassinaro (1983) cerca di raccontare Roma attraverso i viaggi di un tassista che accompagna personaggi anonimi e famosi per le strade della capitale. Vediamo persino Andreotti e Fellini. Tutti dentro (1984) è una commedia satirica sulla corruzione che anticipa i tempi di tangentopoli e le scalate berlusconiane.
Un tassinaro a New York (1987) rappresenta un improbabile ritorno del personaggio romanesco in trasferta negli Stati Uniti per assistere alla laurea del figlio. Assolto per aver commesso il fatto (1992) racconta l’ascesa e la caduta di un faccendiere, si ispira a un fatto realmente accaduto, ma la morale è qualunquista e il film risulta poco incisivo. Nestore l’ultima corsa (1994) è un film testamento molto autobiografico che racconta l’ultimo giorno di un anziano vetturino che porta il cavallo al mattatoio.
Incontri proibiti (1998) è l’ultima regia e l’ultima interpretazione di Sordi, una commedia che vuole essere una riflessione sulla vecchiaia e racconta una relazione tra due persone con cinquant’anni di differenza. Sordi impiega una pessima Valeria Marini nella parte della donna che concupisce l’anziano. Il film viene rieditato nel 2002 con il titolo Sposami papà! ed è importante per l’autocitazione di Un americano a Roma con Sordi che si trova davanti a un piatto i maccheroni.
Alberto Sordi non ama parlare della vita privata, protegge la sua famiglia da ogni tipo di indiscrezione, è un uomo riservato, persino schivo nei confronti dei media che invadono la sfera affettiva. Non si sposa perché troppo assorbito dal lavoro, non ha tempo sufficiente da dedicare a una donna e la sua lealtà gli impone di rinunciare a farsi una famiglia. Sordi sostiene di avere milioni di figli: chi vede i suoi film resta legato all’attore da un affetto quasi filiale.
Nonostante tutto si sente un uomo realizzato, soddisfatto di aver rappresentato con il suo umorismo e con la sua risata un italiano medio così difficile da caratterizzare. In vita sua fa di tutto ma non la pubblicità, non può vendere oggetti al suo pubblico, non vuole essere confuso con il prodotto che reclamizza. In televisione non si vede molto, comincia a frequentarla quando è già famoso, non si serve del mezzo per incrementare la fama. Non ama il piccolo schermo, perché al suo interno l’immagine offusca il contenuto e non vuole scendere a compromessi con un media che non condivide.
Nel 1966 ricordiamo una storica apparizione a Studio Uno e un duetto con Mina che segna un record di ascolti. Per coronare una brillante carriera ci sarebbe voluto un Oscar, unico premio mancante in un lungo palmares di soddisfazioni, ma la sua comicità è troppo lontana dal modo di vivere statunitense. Alberto Sordi muore a Roma il 24 febbraio 2003. Al suo funerale, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, partecipano oltre cinquecentomila persone. Resta memorabile il commosso ricordo funebre di Carlo Verdone e la grande partecipazione affettiva dimostra quanto il popolare attore fosse amato.
In quella occasione il regista Mario Monicelli afferma: “È stato l’attore più grande ma è stato soprattutto uno straordinario autore, l’artefice del suo personaggio con cui ha attraversato più di cinquant’anni di storia italiana. Da regista dico che era facile lavorare con Sordi, proprio perché era un grandissimo: bastavano poche occhiate e ci si capiva sul tono da dare alla sua interpretazione e quindi al film. È stato un comico capace di contraddire tutte le regole del comico”.
Nel modesto Una botta di vita (1988) di Enrico Oldoini, Sordi interpreta un anziano che fa un viaggio in Costa Azzurra con l’amico Bernard Blier. “Vorrei essere immortale, ma non per sempre, però”, sussurra in una breve sequenza. Alberto Sordi non è immortale, ma lo sono i suoi personaggi che divertono almeno da quattro generazioni.