Le società dell’odio

Articolo di Frank Iodice

L’umanità si sta suicidando. Migliaia di civili muoiono ogni giorno, vittime di guerre volute dalle nazioni avide di petrolio. Donne e bambini pagano con la vita il prezzo degli affari ultra miliardari e ultra nazionali derivati dal commercio delle armi. Gli Stati Uniti vendono ordigni di distruzione di massa all’Arabia Saudita e vengono bombardati gli ospedali di Medici Senza Frontiere nello Yemen. In Florida compri un fucile d’assalto automatico esibendo la patente e firmando un formulario, e uccidi decine di persone in pochi secondi. In Svizzera hanno costruito barriere di cemento “anti-tir” ai lati delle strade per permettere alla gente di assistere serenamente ai fuochi d’artificio. Le mafie gestiscono il commercio delle armi e riciclano il ricavato nelle banche del Vaticano. E quando un bambino con un bel faccino sopravvive per miracolo a un bombardamento, invece di soccorrerlo, viene usato per un servizio fotografico che fa il giro dei giornali di proprietà dell’establishment politico. E tutti noi, come pecore, ci passiamo la fotografia sui social invece di sputare in faccia ai nostri televisori.

Dietro le guerre c’è il commercio delle armi. Come in un gioco macabro senza capo e senza coda, per venderle c’è bisogno di guerre. Ma le guerre hanno innescato anche altri meccanismi, come le migrazioni di massa che hanno raggiunto numeri superiori a quelli del secolo scorso, quando proprio noi italiani lasciavamo un paese devastato dalla fame e partivamo in cerca di fortuna.

Tanti italiani hanno dimenticato le loro origini e disprezzano gli immigrati e i rifugiati, li ricoprono di insulti, li vorrebbero rispedire nei loro paesi. Basta scorrere i dibattiti sulle testate nazionali, che non si prendono neanche la briga di cancellare i commenti offensivi, anzi, se ne servono per fare follower, più importanti della deontologia.

I “cittadini nazionali” che puntano il dito sui profughi, si arrogano il diritto di decidere chi può scegliere di partire e chi invece deve rimanere a casa in attesa di accordi reali tra paesi ricchi e paesi poveri, che – lo sappiamo tutti – non arriveranno mai.

Dopo aver subìto maltrattamenti e violenze sessuali nei centri d’accoglienza, dopo essere stati sfruttati lavorando o prostituendosi nei campi di pomodori per due lire al giorno e aver vissuto nelle gabbie con le galline, devono affrontare cittadini bianchi che scelgono la via più facile: quella dell’odio.

Più della metà degli italiani (secondo le statistiche) si fa convincere dai governanti che i responsabili di un sistema marcio dalle fondamenta, da secoli fondato su clientelismo e raccomandazioni, siano queste poche migliaia di persone da qualche anno apparse sullo scenario europeo. E che se oggi in Italia non c’è lavoro, la colpa è degli extracomunitari. Troppo comodo per le classi politiche che negli ultimi decenni sono state le vere sanguisughe del nostro paese.

Nel frattempo, mentre il razzismo viene legittimato dalle nuove mode politiche e gli italiani si divertono a non pensare, a non leggere, a non amare né sé stessi né gli altri, ecco come riassumerei la triste situazione del mio paese d’origine:

Milioni di giovani si rifiutano di rimboccare le maniche e andare a cercare un lavoro, e preferiscono rimanere nella piazza del paese a giocare al Pokemon Go, mentre con la pensione della nonna se la spassano al bar. Altri ci provano, studiano e cercano di superare le difficoltà di un’intera generazione rovinata dalla cattiva politica dei loro genitori, e se tutto va bene riescono a ottenere un posto in un call center o un lavoro a tempo pieno con uno stipendio part-time. Le donne musulmane vengono costrette a togliersi il burkino per questioni di sicurezza, e le italiane vengono invitate a togliersi le mutande per questioni di carriera. Le famiglie ricche e sterili spendono migliaia di euro per adottare bambini africani e dar loro nomi italiani, incuranti delle migliaia di minori che continuano a morire fuori dai confini sotto le macerie. E succede tutto mentre dalle nostre scomode poltrone Ikea ci diciamo: l’importante è che non vengano a bombardare a casa mia. Senza sapere che le nostre sono società già bombardate, dalla paura.

Società in cui la vita non ha più alcun valore, in cui è normale violentare bambini e bambine che viaggiano verso paesi civili in cerca di salvezza. Società in cui ogni giorno dopo le notizie d’obbligo su chiesa e politica si parla di attentati e si fa il bilancio delle vittime. Non c’è più il tempo di dire i loro nomi, di fare ricerche e reportage sulle loro storie, perché dalle agenzie arriva notizia di un’altra esplosione e i nuovi migranti non sono più nomi e storie ma soltanto voti.

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