Tutte le chiese che ammettono il culto dei santi il 18 ottobre festeggiano l’evangelista Luca. Dai cristiani viene considerato il patrono degli artisti, pittori, chirurghi. Sarebbe stato il primo iconografo, secondo una tradizione orientale che risale al V secolo, che dipinse quadri raffiguranti la Vergine Maria e gli apostoli Pietro e Paolo.
Ma cosa sappiamo di quest’uomo? Probabilmente Luca è un’abbreviazione del nome Lucano e una lunga tradizione, confermata dagli Atti degli Apostoli (11, 1-26), lo vuole originario di Antiochia – in questa città fu utilizzato per la prima volta il termine «cristiano» – ove probabilmente conosce l’apostolo Pietro. Luca nasce ad Antiochia verso l’anno 9 d.C. Un’informazione riferita anche dallo scrittore cristiano antico Eusebio di Cesarea (265 ca-339 o 340) e da altri antichi scrittori cristiani. È il primo e l’unico scrittore del Nuovo Testamento non ebreo e di cultura ellenistica.
Verso l’anno 40 Luca è compagno di san Paolo in alcuni suoi viaggi: «Luca solo è con me» scrive l’apostolo Paolo nella Seconda lettera a Timoteo (2 Tm 4,11) redatta a Roma durante l’ultima prigionia che lo porterà al martirio. Sempre Paolo ricorda l’amico Luca e lo menziona tra i suoi più stretti collaboratori nella Lettera ai Colossesi: «Vi salutano Luca, il caro medico e Dema».
L’originalità della tecnica narrativa dell’evangelista Luca si manifesta subito già nel prologo del suo Vangelo: « Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate (akribòs), su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto».
Il Vangelo secondo Luca è l’unico scritto neotestamentario che incastona i tratti delicati della Vergine Maria che egli ha conosciuto e ascoltato di persona. La tradizione di origine orientale presenta Luca come «pittore del volto di Maria». La testimonianza più antica è quella dello storico bizantino Teodoro il Lettore (520 ca) il quale afferma che la regina Eudocia mandò da Gerusalemme alla regina Pulcheria un quadro della Madre di Dio dipinto dall’evangelista Luca. Quanti artisti, poi, hanno intinto i loro colori nelle parole del Magnificat – gemma letteraria del vangelo lucano – dando vita a opere d’arte di inestimabile valore (Botticelli, Antonello da Messina, Pontormo, Chagall, ecc.). Ma l’originalità di Luca si manifesta soprattutto nella parte centrale del Vangelo dove racconta l’autorevole insegnamento del maestro Gesù attraverso una serie abbondantissima di parabole come quella del buon samaritano (Lc 10, 29-37) del cosiddetto «figliol prodigo» (15, 11-32) ecc. Parabole che solo l’evangelista Luca racconta, tratteggia e che palesano la luce, i colori della misericordia che hanno incantato, fatto innamorare, solo per fare qualche nome, Van Gogh, E. Delacroix, Rembrant. Pagine di grande stupore che rivelano il grande talento letterario del medico antiocheno ma soprattutto l’affascinante parola di Gesù. Fra le righe del vangelo lucano non mancano neppure tracce di linguaggio medico («febbre alta», 4, 48; «paralisi» 5,18) testimonianza non solo dell’attività professionale dell’apostolo ma soprattutto manifesto della ineffabile tenerezza di Gesù.
Un’altra caratteristica dell’evangelista Luca sta nell’insistenza lessicale del «salvare» che nella sua «ricerca evangelica» ritorna venticinque volte e ventidue negli Atti. Nell’opera di Luca Gesù assume il volto, l’espressione della bontà salvifica di Dio verso tutti. Il ritratto che ne emerge dal testo dà particolare rilievo alla sua bontà accogliente verso i lontani, gli stranieri, le donne, i malati, i pubblicani, le categorie sociali emarginate che il giudaismo ufficiale riteneva senza possibilità di redenzione.
È l’evangelista prediletto dallo stesso Sommo Poeta Dante Alighieri, iscritto, ricordiamolo, all’Arte dei medici e degli speziali, che nel De Monarchia (I, XVI) lo consacra, lo esalta come «scriba mansuetudinis Christi» (Liber I, XVI).