La seconda ondata del COVID-19 copre, avvolge l’intera nostra penisola ma «il compito che ci aspetta è quello della convivenza forzata con un virus […] si tratta di prendere atto che non è ancora finita […] bisogna imparare a non negare il male ma a sostare di fronte ad esso, sopportare il suo peso […] è una postura mentale ma anche un’altra tremenda lezione di questo virus» (Cfr. Massimo Recalcati, «Prendiamo atto che ancora non è finita», in «la Repubblica», 25 ottobre 2020).
Nel DCC anniversario della morte del sommo poeta nazionale Dante Alighieri (1265-1321) chiediamo al nostro «ingegno di alzare le vele per percorrere miglior acqua» per riandare a ri-soffermarci e a ri-flettere su una notizia che l’Ufficio Stampa del MIBACT (Ministero per i beni e le attività culturali) ha pubblicato (https://storico.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_1435800865.html) in data 3 gennaio 2020. Ovvero, fra le quarantaquattro città candidate al titolo di Capitale Italiana della Cultura 2021 ben cinque sono siciliane: Catania, Modica, Palma di Montechiaro, Scicli e Trapani.
La Sicilia, un’isola al centro del Mediterraneo, una terra impastata dal sole, dal vento, dall’acqua e dal fuoco (l’Etna). Una terra che dalla più remota antichità si trova al «centro» del Mare nostrum, tra Occidente ed Oriente. Una superficie-cerniera tra popoli, culture, etnie, religioni, economie. Percorsa da più di settemila anni di Storia. Cantata da Omero, Dante e Goethe quale «chiave di ogni cosa» offre, candida le sue pietre scolpite da diverse civiltà, i suoi cibi, i suoi colori, i suoi profumi, i suoi riti, le sue meraviglie ad essere ancora una volta – come ai tempi dello Stupor Mundi e non solo – incoronate ad essere «capitali della cultura».
In questo tempo confuso ed offuscato da un virus che blocca e paralizza tante, tantissime attività questa è un’occasione di valorizzazione e di pianificazione economico-culturale nuova e straordinaria. Le Istituzioni regionali, provinciali, gli abitanti delle città candidate a questo ambito riconoscimento (la Legge 29 luglio 2014, la cosiddetta «Art Bonus», conferisce non solo il titolo, Capitale Italiana della Cultura, ma la città vincitrice riceve un milione di euro per realizzare il programma presentato all’atto della candidatura) mettano in moto la «macchina amministrativa» ma soprattutto tanta laboriosità. La città di Catania, la città della martire cristiana Agata e di uno dei più celebri operisti dell’Ottocento che gareggiava con Chopin, il giovane Vincenzo Bellini. La città di Modica – l’araba Mohac – che ha dato i natali ad un Premio Nobel per la Letteratura, Salvatore Quasimodo, una terra che da tre secoli lavora ed esporta nel mondo un prodotto d’eccellenza: il cioccolato. Palma di Montechiaro un’antichissima cittadina sicana resa immortale in alcune fra le più belle pagine del Gattopardo da Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Scicli, un antichissimo emporio siculo, poi arabo menzionato nei romanzi di Vittorini e Consolo. Infine, Trapani antichissimo porto dapprima degli Elimi di Troia, poi dei Fenici, terra della cultura della vinificazione e delle zolfare. La promozione alla candidatura a Capitale Italiana della Cultura è una sfida, una doppia sfida in questo tempo di emergenza. Ma soprattutto costituisce una forma di lotta apotropaica dalla quale ottenere solo il buono, il bello per una terra impastata dal sole, dal vento, dall’acqua e dal fuoco. La terra di Cerere, i mulini a vento e le bianche saline, l’oro nero e le «acropoli barocche» (Vittorini), smentendo in pieno lo stereotipo dell’arretratezza, tendono e/o tendano a rinsaldare il loro potere economico-culturale-sociale adesso sferzato da una tempesta virale: «alzate le vele dell’ingegno» esso offra la cura al morbo e la vittoria ad una delle cinque città.